Quando i conti non tornano in chiusura di bilancio

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22 Aprile 2016

C’è un bisogno molto antico dentro di noi, è il bisogno di essere amati. Un bisogno che si traduce nel desiderio di essere cercati e riconosciuti. Un bisogno antico che rimane impresso nella nostra memoria affettiva. Da grandi, incontriamo situazioni che ci feriscono più del necessario, che ci pesano in maniera sproporzionata, semplicemente perché ci rimandano a quei ricordi lontani, quando ci siamo sentiti inermi nel nostro senso di solitudine e di impotenza.

 

Diventare adulti significa ascoltare una parola nuova, per non lasciare che quel bisogno iniziale diventi il monologo predominante, e sempre più inquietante, che abita il teatro della nostra coscienza. Accanto al desiderio di essere cercati, occorre ascoltare la voce del desiderio che ci spinge a cercare. Diventare adulti significa diventare responsabili dell’amore, prendersi cura del bisogno di essere riconosciuto che incontro nel volto di ogni altra persona.

 

Possiamo rimanere tutta una vita nell’angolo a chiederci chi è il nostro prossimo: chi mi è vicino? Chi mi vuole bene?Come un bambino, stretto in un angolo, completamente chiuso nel suo legittimo bisogno di essere voluto bene, senza però saper dare una forma adeguata a quel bisogno. Oppure possiamo uscire dall’angolo per diventare prossimo di qualcun altro, per farci vicino, come un adulto che si fa carico dell’inevitabile bisogno di ciascuno di essere riconosciuto.

 

La trappola della buona educazione ci impone di rispondere con cortesia e in modo adeguato alle manifestazioni di attenzione che riceviamo. Abbiamo costruito tutta la nostra cultura occidentale sul mito della reciprocità: se qualcuno ci fa un regalo, mentre scartiamo il pacco, stiamo già pensando a come rimettere le cose in equilibrio, come sdebitarci. E se ci mettiamo a disposizione di qualcuno, ci aspettiamo, senza dirlo, che alla prima occasione l’altro si possa sdebitare.

Perché dunque questo invito ad amarci gli uni gli altri sarebbe un comandamento nuovo?

Nell’antica Grecia, quando Socrate voleva donare generosamente la sua sapienza, non solo faceva finta di non sapere, ma si sceglieva attentamente il fortunato destinatario della sua parola. Socrate non donava indiscriminatamente le sue parole. Consegnava le sue idee a chi in qualche modo avrebbe potuto valorizzarle. Socrate ha segnato la nostra vita e noi continuiamo a scegliere oculatamente i nostri interlocutori perché ci aspettiamo sempre una ricompensa.

 

Al contrario, il Seminatore di cui parla Gesù non analizza il terreno prima di gettare il seme, non ha pregiudizi sul terreno, non semina in base alla speranza di ottenerne un ritorno: il Seminatore spreca il seme su ogni terreno, anche su quello che non è pronto.

La nostra cultura è molto più socratica che cristiana. Siamo commercianti dell’amore. Giriamo sempre con la partita doppia sotto il braccio: pretendiamo che i conti dell’amore ci tornino. Investiamo per poter guadagnare o, al più, per chiudere in pareggio. Si ama invece solo quando si ha il coraggio di chiudere in rosso il proprio bilancio.

Il pericolo dell’amore è l’ossessione della reciprocità. Per questo Gesù non dice solo “amatevi gli uni gli altri”, ma per fortuna (o purtroppo) aggiunge “come io ho amato voi”. Se non ci fosse questo come, continueremmo a misurarci l’un l’altro nell’amore, continueremmo a essere criterio l’uno per l’altro. L’amore diventerebbe, e spesso lo diventa, sdebitarci l’uno con l’altro, superare il senso di colpa, mettersi a posto la coscienza.

 

Cristo invece ci ha amato sprecando la vita, come un vasetto che si spacca e l’olio profumato che si disperde senza poter essere più recuperato. Cristo è il Seminatore che dona la parola perché si fida di ogni terreno, perché considera ogni terreno degno della sua attenzione. Cristo è l’amico che offre la vita anche per Giuda che è appena uscito per tradirlo.

È in questo amore in perdita che il Padre viene riconosciuto, è nell’amore come sconfitta che Dio rivela il suo volto, è nell’amore come spreco che si diventa discepoli. Altrimenti saremmo solo buoni cittadini, abitanti della polis, discepoli di Socrate, l’uomo dell’equilibrio più che dell’amore.

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In copertina, Marinus van Reymerswaele, Il cambiavalute e sua moglie (1539)

 

Testo

Gv 13, 31-35

Leggersi dentro

Sei ancora nell’angolo a chiederti chi ti vuole bene?

Sei anche tu uno che cammina con la partita doppia sotto al braccio?

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CAT: relazioni

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