Se non siamo disposti a ricominciare, siamo già morti

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3 Dicembre 2016

Coloro che non cambiano mai le proprie opinioni
si amano più di quanto amano la verità
J. Joubert

Testo del Vangelo: Mt 3,1-12

Ogni vero inizio richiede un cambiamento. Iniziare un cammino, un viaggio, una relazione, vuol dire scomodarsi, tagliare, rischiare. Forse è per questo che i nostri inizi sono spesso finzioni. Sono inizi immaginari. Il viaggio che desideriamo intraprendere rimane una fantasia o, al più, una buona intenzione.

Iniziare vuol dire cominciare a cambiare. E la concretezza dei segni ci aiuta a riconoscere questo cambiamento in noi. Ignazio di Loyola, per esempio, comincia la sua esperienza di conversione cambiando il suo vestito. Da cavaliere si fa pellegrino. In una singolare veglia d’armi, nel santuario di Monserrat, Ignazio depone le sue vesti di uomo di corte scambiandole con quelle di un mendicante. L’abito dice chi sono. Ignazio non vuole più restare chiuso nella torre della sua fortezza interiore, ma desidera partire da se stesso per essere compagno di qualcun altro.

Anche la prima parola di Gesù nel Vangelo è un invito al cambiamento: metanoeite ovvero cambiate modo di pensare. Abbiamo tradotto in genere questa parola con convertitevi e abbiamo dato a essa un’accezione morale: eppure Gesù intende dire che i cambiamenti morali sono vani e inefficaci se non presuppongono un cambiamento nel modo di pensare. Rischiamo di essere ridicoli: facciamo finta di essere mendicanti, ma continuiamo a indossare l’abito del cavaliere.

Cambiate modo di pensare perché Dio (il Regno dei cieli) è vicino: finora hai pensato di doverti sforzare, migliorare, fortificare la volontà per raggiungere la perfezione di Dio. Cambia questo modo di pensare perché in verità è Dio che ti viene incontro. Abbi l’umiltà di lasciarti raggiungere, abbi la disponibilità di fargli spazio, abbi l’onestà di riconoscere che è lui che costruisce una casa per te e non tu per lui.

Giovanni Battista è il primo a vivere quel cambiamento che serve per iniziare: prende le distanze.

Abbandona i luoghi del potere, dell’istituzione e del sacro. Figlio del sacerdote Zaccaria, Giovanni abbandona le vesti sacerdotali della sua stirpe. Giovanni ha intuito che occorre ripartire in modo nuovo.

Come in un gioco dell’oca, Giovanni si riposiziona nel punto di partenza. Torna nel deserto, vicino al Giordano. Il deserto infatti è il luogo in cui è iniziata la relazione di Dio con il suo popolo: è il luogo dell’intimità, del dono della Legge, della paura e della scoperta. Nel suo cammino verso la terra promessa, il popolo si fermò proprio davanti al Giordano. Quello è il punto in cui ci fu un nuovo inizio: Mosè salutò il popolo per consegnarlo a Giosuè.

Per ripartire in una relazione, in una vocazione, in un percorso di vita, occorre tornare all’inizio, occorre rifare l’origine in modo nuovo.

Ricominciare, soprattutto quando le relazioni si spezzano, non è mai un automatismo. A volte per ricominciare occorre avere il coraggio di ascoltare la parola dura che ci rimanda nella casella numero 1. [Nel gioco dell’oca, la casella 58 (“scheletro”), posizionata poco prima dell’arrivo (casella 63), rimanda il giocatore alla casella 1].

La parola di Giovanni è una parola dura perché vuole scuotere dall’illusione di voler ricominciare senza un vero cambiamento. È la parola dura che Giovanni rivolge ai Farisei e ai Sadducei, ovvero a coloro che sono identificati come l’insieme di coloro che si oppongono alla novità di Gesù.

Farisei e Sadducei siamo noi quando ci opponiamo al cambiamento che Cristo viene a suggerire alla nostra vita. E spesso è la rigidità che ci impedisce di cambiare, l’attaccamento ai rituali, la volontà di preservare la comodità o i privilegi. Si è fatto sempre così! È il rigido rituale che spegne sul nascere il desiderio di Cristo di scuoterci dal nostro torpore. Come direbbe Jung, «ciò a cui opponi resistenza persiste. Ciò che accetti può essere cambiato».

Un  nuovo inizio è sempre una sfida, un rischio, una sorpresa. Neppure Giovanni sa esattamente dove porta la strada che invita a spianare. Nel seguito del Vangelo lui stesso resterà sorpreso dalla novità di Gesù. Si è aperto al cambiamento, ora occorre lasciarsi sorprendere.

Se davvero vogliamo partire, allora prepariamo la strada. La volontà di cambiare è reale se ci diamo da fare concretamente per preparare il terreno dove mettere i piedi. Spesso il desiderio di riconciliazione in una relazione resta una parola o un pensiero senza nessun segno di concretezza. Se vogliamo veramente fare un viaggio, allora ci diamo da fare per renderlo possibile.

Il battesimo segna un inizio, una volontà di camminare, perciò non può essere ricevuto se non si ha alcuna reale intenzione di cambiare. Come Ignazio e come lo stesso Giovanni Battista, nel battesimo abbandoniamo l’abito dell’uomo vecchio per prendere un vestito nuovo.

La madre non può conservare in sé il bambino e l’albero non può impedire al seme di germogliare. La vita ci chiede continuamente di cambiare. Le stagioni ci ripropongono continuamente un nuovo inizio: la scure torna a essere posta alla radice dell’albero e il grano prima o poi dovrà essere vagliato. La vita ci chiede di generare, di portare frutto, ci chiede di cambiare. Se non siamo disposti a ricominciare, siamo già morti.

 
Leggersi dentro

  • Quali sentimenti suscita in te l’idea del cambiamento?
  •  Ci sono situazioni della tua vita in questo momento che chiedono un nuovo inizio?

 

TAG: cambiamento, Gesù, Gioco dell'Oca, Giovanni Battista, vangelo, Vita
CAT: relazioni, Religione

Un commento

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  1. andrea-lenzi 7 anni fa

    Non a caso il battesimo si fa esseri inermi ed inconsapevoli, affinché la propaganda continui e nulla cambi
    ;-)

    Facile sarcasmo a parte, avrebbe potuto essere un articolo interessante se non fosse infarcito di superstizione religiosa.

    So che è dura, essendo tutti noi condizionati fin da piccoli e continuamente anche da adulti al punto che molti credano che la religione di stato sia il cattolicesimo, ma è possibile vivere bene, fare del bene, cambiare, senza alcuna superstizione religiosa o divinità.

    Anzi, il bene ragionato ed attuato senza religione è più efficace, come dimostrano le molte Onlus, anche perché manca la parte di continuo giudizio sia divino sia da parte dei credenti

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