Cuccioli e principesse. La passione sempre fashion per le campane di vetro

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1 Settembre 2017

«Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena da nessuna parte. Vedi che non nascondo le mie piaghe. Tu sei medico, io sono malato: tu sei misericordioso, io sono misero».
Agostino, Confessioni

Le bacheche dei nostri social sono spesso piene di cuccioli e principesse, epiteti carini per celebrare il primo starnuto dei nostri figli o per festeggiare il grande traguardo della fine della seconda elementare.

Raramente ho trovato commenti che aiutino a capire che mentre si cresce ci può essere anche il fallimento, la sconfitta e la sofferenza. Anzi, è proprio di questi giorni la notizia secondo cui la buona scuola prevede che alle elementari e alle medie non si possa di fatto bocciare: non discuto la pedagogia che può esserci dietro questa visione, mi chiedo solo se non sia espressione di quegli stessi genitori che vorrebbero cancellare dalla strada dei proprio figli il confronto con la verità di se stessi, continuando a farli vivere sotto una campana di vetro, che purtroppo poi la vita stessa si incaricherà di infrangere, con esiti più devastanti.

Il rifiuto della fatica di vivere è antico. C’è cascato anche san Pietro, il quale non voleva riconoscere nel suo percorso il passaggio attraverso la sofferenza. Leggere questa pagina del Vangelo oggi ha per me un sapere diverso, dopo che, nei giorni scorsi, ho accompagnato, durante un corso di Esercizi spirituali, un uomo cinquantenne tetraplegico, quasi impossibilitato a parlare. In uno dei colloqui mi parlava del suo desiderio di fare di più. Sentiva che il Signore gli chiedeva di non accontentarsi, di non fare come i giocatori della Virtus [squadra di basket di cui ignoravo l’esistenza, n.d.r.] che avevano iniziato il campionato dicendo di puntare all’ottavo posto! Lui era chiamato a migliorare, affrontando la sofferenza che si portava addosso.

Tante volte vorremmo che la vita andasse da un’altra parte. Pietro vuole mettersi davanti a Gesù. Vuole indicargli la strada. Mette davanti a Dio i suoi progetti e poi gli chiede di entrarci dentro. Dio non ci sta, si sottrae, non accetta di essere manipolato. La vita infatti ci chiede di passare anche attraverso strade faticose che non vorremmo percorrere.

Vorremmo metterci davanti a Dio e indicargli la strada, come molti genitori spazzaneve che continuano a mettersi davanti alla vita dei loro figli per spianare loro la strada, impedendo loro di allenare quei muscoli che sarebbero utili nei momenti in cui i genitori non potranno essere presenti. Per questo ci troviamo spesso davanti a giovani atrofizzati e spenti, che non hanno mai imparato a combattere per ottenere qualcosa.

Il discepolo, anche quello di Gesù, impara mettendosi dietro. Solo così ci si può allenare a vedere dove il maestro mette i suoi piedi. Si assume uno stile, si impara un modo di stare nella vita. Se Pietro avesse camminato dietro a Gesù, si sarebbe accorto che il suo maestro non evitava la sofferenza, ma aveva il coraggio di guardarla in faccia.

Pietro avrebbe imparato che la fatica più grande è spogliarsi ogni giorno delle proprie ragioni, delle proprie attese, dei proprio pregiudizi (rinnegare se stessi), per assumere (cioè prendere su di sé) la logica del Vangelo, il modo di pensare di Gesù, la croce. La croce è il modo di vivere di Gesù che non evita la sofferenza, ma la mette in conto!

L’illusione che ci getta nella frustrazione è quella di poter guadagnare il mondo, cioè di essere i migliori, i primi, i più belli, cucciolotti cresciuti e principesse spietate! La verità che Gesù ci insegna è invece che la vita possiamo solo perderla, cioè donarla. A volte ci capiterà di essere sconfitti, perdenti e indeboliti, ma certamente saremo più veri.

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Testo

Mt 16,21-27

Leggersi dentro

  • Che rapporto hai con la sofferenza?
  • Che differenza c’è tra il tuo modo di pensare e quello di Gesù?

TAG:
CAT: Religione

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