Non dialogano le religioni ma gli uomini

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3 Gennaio 2018

“E’ opportuno sgombrare il campo da un fatale equivoco: il dialogo tra religioni è impossibile. Le religioni, al livello della loro struttura teologica, della loro rispettiva “verità” non dialogano. Non possono dialogare. E se le religioni non dialogano, sono invece gli uomini a volere e a poter dialogare…c’è molta strada comune che tutti gli uomini di buona volontà possono percorrere insieme, nonostante le diversità del loro credere e del loro non credere, del loro sapere e del loro ignorare”.

Questa osservazione di Franco Cardini, apprezzato professore di storia medievale, apre con una sua prefazione un libro molto bello: NATI DA ABRAMO. Un’ebrea, un cristiano e un musulmano: dalla conoscenza al dialogo, Marietti 1820.

In questo momento sono in molti autorevoli osservatori a considerare che il pluralismo religioso, è uno degli aspetti più rilevanti della società italiana in ordine al suo sviluppo e al suo rapido mutamento.

Dunque di letture che invoglino alla curiosità, permettano la conoscenza e favoriscano gli incontri c’è gran bisogno oggi.

Il libro non propone letture teologiche. Presenta in modalità autobiografica l’esperienza di tre persone che per le circostanze della loro vita e della loro professione vivono concretamente il dialogo interreligioso e interculturale: si tratta di Paolo Branca, cattolico, islamista e insegnante all’Università cattolica di Milano, responsabile per la diocesi di Milano delle relazioni con i musulmani; Myrna Chayo, ebrea, docente di lingua araba all’Università degli studi di Milano; Moulay Zidane El Amrani, arabista, docente all’Università degli studi di Padova.

Una domenica nella mia piccola chiesa battista ne ho lette alcune pagine. Quelle relative alla testimonianza di El Amrani che racconta il rapporto con il pane nella sua infanzia a Casablanca in Marocco. Una particolare cura che arriva quasi a configurare una ritualità riservata ai bambini, incaricati di portare al forno le pagnotte da cuocere e di riportarle a casa.

Al termine del culto un fratello anziano si è avvicinato dicendo che si era commosso ad ascoltare queste parole che lo rimandavano alla sua infanzia nel sud d’Italia di alcuni decenni fa.

Una piccola esperienza ma significativa di quanto mondi all’apparenza così lontani sono invece così vicini e confini che a noi sembrano muri invalicabili sono invece linee sottili che avvicinano e rendono possibile l’incontro.

Lascio la parola proprio ad El Amrani perché indichi la direzione e motivi la speranza del “viaggio arduo e complesso di un possibile riavvicinamento” (Paolo Branca).

«Sono cresciuto a cavallo dei tre monoteismi. Figlio di genitori musulmani, abitavo nel quartiere ebraico e frequentavo la scuola cristiana. La sinagoga, la chiesa e la moschea erano a poche decine di metri l’una dall’altra. Nel mezzo c’eravamo noi bambini a giocare. Eravamo già consapevoli delle nostre diversità religiose, ma poco ci importava. Ci chiamavamo per nome e non per appartenenza. L’unica appartenenza che contava era quella alla piccola squadra di calcio o di mosca cieca. Il venerdì nell’arco di mezzogiorno i vicini di casa ebrei non facevano giocare per strada i loro bambini per non disturbare la preghiera collettiva dei musulmani. E così facevano i nostri genitori dal venerdì sera alla domenica per rispetto allo Shabbat ebraico. Era tradizione.

Ricordo con tenera gratitudine le suore che mi insegnarono a leggere e scrivere prendendosi amorevolmente cura di me nella missione cattolica. Suor Rosalina ci insegnava musica, e quando noi bambini le facevamo perdere la pazienza, ci sgridava chiamandoci “i piccoli sporchi arabi”.

Dopo la mattina nella scuola cattolica, nel pomeriggio i miei genitori mi mandavano nella scuola coranica per imparare la mia religione e la lingua araba. Tutti noi bambini e bambine stavamo seduti a gambe incrociate su un grande tappeto di paglia con le lavagne di legno in mano. Sidi Hassan, il nostro maestro coranico, sedeva di fronte su un pouf coperto di lana d’agnello e teneva in mano una lunga canna per poterci picchiare da lontano senza alzarsi. Era anziano. Come tutti i bambini a volte ci facevamo i dispetti, e sgridandoci ci diceva che avevamo i cuori neri come i cristiani.

Quindi la mattina ero uno sporco arabo e il pomeriggio avevo il cuore nero come un cristiano.

Ricordo con profonda gratitudine suo Rosalina e Sidi Hassan. Mi hanno iniziato al sapere e lo hanno fatto con amore e dedizione. Per ambedue educare era una missione e lo facevano gratuitamente, senza ricompensa alcuna, ma appartenevano a due mondi che non si conoscevano tra di loro.

Per la suora forse “i piccoli sporchi arabi” erano la discendenza delle guerre sante. Nella sua immaginazione rappresentavano il feroce Saladino delle crociate.

Per il mio maestro coranico “i cuori neri dei cristiani” erano quelli dei francesi che hanno colonizzato la sua Patria, espropriato i suoi terreni e umiliato e ucciso i suoi compatrioti per oltre quarant’anni. Gli unici cristiani che il mio maestro coranico aveva conosciuto erano gli occupanti francesi.

Per me, suor Rosalina e Sidi Hassan appartenevano a due mondi così vicini e così lontani. Vicini pochi chilometri e allontanati da secoli di pregiudizi e di reciproche paure. Avrebbero potuto facilmente conoscersi e stare meglio entrambi, ma non si sono dati l’opportunità di farlo.

Sono passati più di quarant’anni da questa storia, ma nell’essenza il contesto attuale non presenta grandi differenze. La paura e il pregiudizio continuano a essere figli della non conoscenza.

“Sarai un uomo di fede solo con la conoscenza, non vi è fede nell’ignoranza” (Mustapha Mahmoud)».

 

Gabriele Arosio

TAG: dialogo interculturale, dialogo tra le religioni
CAT: Religione

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