Squilibrati e perfetti. I paradossi dell’amore sconfitto

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17 Febbraio 2017

Il pensiero rigido non è divino
perché Gesù ha assunto la nostra carne che non è rigida
se non nel momento della morte.
Papa Francesco

Facciamo fatica a sopportare lo squilibrio, le cose devono ritornare al loro posto, tutto deve essere sotto controllo.

Per questo non riusciamo ad amare, perché l’amore è sproporzione, è perdita, eccesso, è trovarsi nell’impossibilità di controllare.

Molte volte il successo è frutto di una strategia, per questo è così lontano dall’amore!

Perché la corrente passi, occorre una differenza di potenziale: in una situazione di perfetto equilibrio, non c’è vita. La nostra esistenza avviene dentro una continua perdita di equilibrio, quella che gli scienziati chiamano entropia: è impossibile vivere pensando di mantenere l’equilibrio.

Siamo messi continuamente davanti all’esperienza di una perdita di controllo: gli antichi greci avevano certato di arginare questa paura, immaginando il tempo come un cerchio che ritorna continuamente su se stesso.

Nella storia di Siddhartha Gautama Sakyamuni mi ha sempre molto colpito l’inizio del suo cammino che coincise con la scoperta del dolore del mondo: nella sua biografia si raccontano quattro momenti in cui il Principe esce dalla sua casa e incontra un vecchio che avanza reggendosi a un bastone, un malato a torso nudo, un feretro accompagnato da persone disperate per il lutto, e poi un asceta. L’incontro con il dolore del mondo spezza l’equilibrio in cui Siddhartha è vissuto dentro la custodia delle mura paterne. La sua risposta è la ricerca dell’illuminazione: diventa un rinunciante per ritrovare l’equilibrio.

A me sembra che Gesù in questo passo del Vangelo ci inviti invece proprio a fuggire la tentazione di voler ripristinare l’equilibrio per poter restare tranquilli.

Per evitare il pericolo di rimanere smarriti nella nostra vita, abbiamo fatto dell’amore un calcolo. Davanti alla paura di perdere, di giocarci, di amare fino in fondo, abbiamo messo dei confini all’amore.

Il monito di Gesù si rivolge proprio a coloro che non sanno amare al di fuori dei loro confini di sicurezza: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico…è l’imperativo che è scritto dentro di noi fin da bambini e che ci garantisce davanti al pericolo di perdere l’equilibrio, il pericolo di amare in una maniera vera.

Il prossimo e il nemico sono diventati termini per segnare i confini del proprio gruppo: abbiamo bisogno di chiarezza per capire chi dobbiamo amare e chi dobbiamo odiare. Continuamente formiamo gruppi, lobbies, partiti, inciuci, proprio per aver chiaro chi amare e chi odiare. L’amore diventa così interesse.

L’idea di poter amare senza sperarne un contraccambio ci spaventa, ma l’amore o è gratuito e disinteressato o non è! Vedo molte coppie che si trascinano in un amore falso, rinfacciandosi continuamente quello che l’uno fa per l’altro e mettendo continuamente in evidenza (prima in silenzio nel proprio cuore e poi palesemente alzando la voce contro l’altro) l’insufficienza dell’amore dell’altro. Quando l’amore diventa confronto è già morto.

Per assicurare questo equilibrio, gli antichi avevano legalizzato la proporzione anche del male: occhio per occhio, dente per dente non è l’espressione di un’inaudita violenza, ma era un modo per controllarla, per fermare la spirale di violenza, per porre un argine a una vendetta senza fine. Cerchiamo una proporzione persino nel male!

Nel suo Vangelo, Gesù ci sprona continuamente ad abbandonare calcolo ed equilibrio e ad abbracciare un amore che è sproporzione e perdita, perché solo in questo amore squilibrato e folle c’è vita piena!

Nell’amore per il nemico non ci può essere equilibrio, ma solo perdita.

Porgere l’altra guancia non è abbandonare la partita, ma cercare attivamente di vedere le cose anche da una prospettiva diversa: se proviamo a porgere l’altra guancia, dovremo inevitabilmente cambiare sguardo, il volto si gira, le cose ci appaiono in una luce diversa. Porgere l’altra guancia vuol dire non restare fissati su un’unica prospettiva. L’odio infatti ci irrigidisce, ci paralizza. Solo cambiando lo sguardo, il volto si scioglie.

L’amore per chi ci fa del male non è immediato, non arriva subito, forse non arriverà mai. Intanto però posso cominciare a camminare, invece di fare un miglio, posso farne due: camminare con l’altro mi permetterà di conoscerlo di più!

La perfezione di cui parla Gesù non può essere allora quella delle statue greche, le cui misure sono perfettamente proporzionate. E non è neanche la perfezione del nirvana, non è la condizione in cui abbiamo abbandonato tutti i nostri desideri, prendendo le distanze dal mondo.

Quando Matteo ci invita a essere perfetti usa una parola che ha a che fare con l’obiettivo, lo scopo, il fine della vita, con il telos della nostra esistenza.

In che modo Dio è perfetto, se non nell’amore? Eppure l’amore di Dio è spreco, è perdita: non considerò un tesoro geloso la sua divinità. L’amore di Cristo è sangue sparso sulla croce, seme gettato nelle pietre e nelle spine dell’esistenza umana. Quale contraccambio? Quale equilibrio?

Dio è squilibrato, è continuamente in perdita, sbilanciato, non contraccambiato. È amore.

Diventeremo perfetti come il Padre dunque se saremo capaci di rinunciare all’illusione del perfetto equilibrio, per quello c’è tempo: ce lo regalerà la morte!

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Testo

Mt 5,38-48

Leggersi dentro

Come stabilisci chi amare e chi odiare?
Come reagisci quando nelle relazioni non ti senti contraccambiato adeguatamente?

TAG:
CAT: Religione

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