Vent’anni di errori, favori e propaganda: così la monnezza ha travolto Roma

14 Maggio 2017

I sacchi della spazzatura fuori dai cassonetti e l’immondizia ammassata negli impianti di trattamento, trasformati di fatto in discariche. Il caos nell’azienda che dovrebbe gestirli, l’Ama. E le tasse più alte d’Europa. Intanto, il comune di Roma e la regione Lazio di Zingaretti da giorni non fanno che beccarsi su poteri e competenze, mentre Manlio Cerroni chiede, dalle aule di tribunale, di essere accolto di nuovo come il salvatore. Visto da lontano, il quadro dei rifiuti romani non promette nulla di buono. E Matteo Renzi, che oggi chiede al popolo del Pd di scendere in piazza a pulire, non fa che soffiare sul fuoco. Chi conosce bene la situazione da dentro non ha dubbi: «Fra cinque anni saremo ancora ridotti così» Ancorati all’anno zero della monnezza romana: quello iniziato il 30 settembre 2013, quando Ignazio Marino decise di chiudere la discarica di Malagrotta, senza avere un piano b già pronto. Anche perché, nel corso del tempo, un po’ tutti avevano fallito. L’ex sindaco Gianni Alemanno, Renata Polverini, Nicola Zingaretti, o i vari commissari nominati dal governo, come l’ex prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. Tutti incapaci di trovare, o almeno proporre, una valida soluzione alternativa.

Se c’è un responsabile, quindi, non è certo Virginia Raggi, che tuttavia, in questi giorni ha provato a minimizzare la portata degli eventi nella speranza di riuscire a recuperare in tempo i disagi. Però, a Roma il problema non ha riguardato solo qualche cassonetto, come ha provato a sostenere il vicepresidente della Camera Luigi di Maio, ma intere strade e quartieri, tanto che i costi extra per fronteggiare la mini emergenza ammontano a due milioni di euro. Certo, sarebbe bastato leggere sulla rete gli sfoghi e gli auspici sindacati o dei dipendenti Ama, come quelli che frequentano la pagina Facebook LILA (Laboratorio Idee Lavoratori Ama), per capire che l’intoppo era solo dietro l’angolo. Ma Virginia Raggi, come già era accaduto a Ignazio Marino, ha sottovalutato ogni avvertimento.

Feste, maledette feste. «La domenica la città di Roma genera una quantità di rifiuti che è uguale a quella di tutti gli altri giorni della settimana», aveva spiegato l’ex ad di Ama Daniele Fortini quando il 20 giugno 2016 durante il processo Mafia Capitale di fronte ai giudici provò a riassumere le criticità del sistema dei rifiuti cittadino. Con il risultato che recuperare il ciclo dopo che due lunedì di festa, come è accaduto fra la Pasqua e il primo maggio,  diventa praticamente impossibile in tempi brevi. Perché se già con fatica ogni giorno si riesce a chiudere il cerchio, figuriamoci quando la spazzatura si accumula sempre di più, vanificando così anche gli sforzi di chi differenzia con cura. D’altronde a Roma ogni abitante produce 660 chilogrammi di rifiuti urbani, circa 150 in più rispetto alla media nazionale. E alle 700 mila tonnellate di rifiuti della raccolta differenziata, va sommato un altro milione di indifferenziata, lavorata in 55 impianti differenti dislocati 6 regioni diverse. Tanto che a volte basta un incidente sulle autostrade che conducono verso il nord per mettere in sofferenza il sistema.

Di certo la sindaca Virginia Raggi non è stata aiutata dalla sorte. L’assessore all’ambiente Paola Muraro, l’unica che forse l’avrebbe potuta aiutare veramente, vista la stima e l’influenza di cui ancora gode in Ama,  se ne è dovuta andare, dopo aver ricevuto un avviso di garanzia. Era solo ottobre e da fuori, ora, non perde occasione per impallinare la sua erede Pinuccia Montanari, da Reggio Emilia. Che alla prima difficoltà non ha avuto timore di agitare un grande classico della politica capitolina: lo spettro del complotto, gettando un’ombra sui lavoratori di Ama per un guasto che ha colpito un mezzo, fermandolo 4 ore. A quattro mesi dalla sua nomina, la Montanari sembra non aver preso le misure da Roma. Il suo piano, annunciato lo scorso febbraio, di sicuro è ambizioso: prevede di portare la differenziata – ferma al 43% da un anno – al 70% entro il 2021. Ma, in che modo, non è proprio chiaro.

In una fase così delicata, neanche Beppe Grillo sembra essere d’aiuto. Ieri con un post su Facebook il leader del Movimento ha provato ad indicare la strada da seguire per il futuro. Il modello per il comico è Barcellona, dove «c’è uno dei più grandi separatori di immondizia, non brucia niente, separa le materie prime dalle secondarie e poi vende alluminio, carta, vetro, plastica». La soluzione, per lui, è a portata di mano, insomma. Basta mettere due impianti di questo tipo a Roma ed è fatta. Detta cosi, sembra una rivoluzione. Ma Grillo, oltre a dimenticare che a Barcellona sono in funzione anche una discarica e due inceneritori, ignora che di impianti del genere, tecnicamente chiamati Tmb (trattamento meccanico biologico), a Roma ce ne sono già quattro. Uno di questi, quello di Rocca Cencia, dove Ignazio Marino aveva immaginato di mettere realizzare l’ecodistretto, il Movimento 5 Stelle vorrebbe però  chiuderlo. O almeno, così ha promesso in campagna elettorale ai cittadini della zona, nella periferia Est di Roma,  che in massa hanno votato per Virginia Raggi.

Senza nuovi inceneritori o termovalorizzatori, con i comitati cittadini, sostenuti dai politici locali, anche del M5S, pronti a mettersi di traverso di fronte a qualsiasi soluzione alternativa, come sta accadendo ad Ostia per il tritovagliatore mobile o nei comuni della provincia suggeriti dalla sindaca (tra cui Palestrina e Gallicano nel Lazio), l’unica prospettiva concreta, per ora, rimane quella di trasportare i rifiuti fuori dalla regione, sfruttando al meglio le strutture esistenti. «Tutti gli impianti che ci sono – disse l’ex presidente di Ama Giovanni Hermanin, quando fu ascoltato in veste di testimone al processo Mafia Capitale –  sono stati finanziati e realizzati con il piano triennale per l’ambiente, quando io ero assessore regionale (dal 95 al 2000 ndr). Sia prima che dopo non fu fatto nulla». Dai Tmb di Rocca Cencia e Salario, all’impianto di compostaggio di Maccarese. Senza dimenticare i termovalorizzatori di San Vittore e Colleferro. Tutti impianti, contestati dalle popolazioni locali, che sono stati pensati da quella sinistra ambientalista, vicina a Legambiente, che negli anni 90 ha monopolizzato le strategie sui rifiuti, occupando di volta in volta posizione strategiche, tanto nei consigli comunali e regionali, quanto nelle municipalizzate. Spesso incolpati di aver “flirtato“ eccessivamente col ras dei rifiuti Manlio Cerroni, vivono ora la loro rivincita. Perché se Roma riesce a barcamenarsi affannosamente senza dipendere totalmente dal «Supremo» è anche grazie alla loro eredità.

Lui, Cerroni, sta a guardare, imbrigliato dall’interdittiva antimafia che pende sulla sua testa e tolto di mezzo – a suo dire – «per permettere all’ACEA di presentarsi “vergine” al matrimonio pubblico con l’AMA che portava in dote i rifiuti della città». Nessuno a Roma conosce la delicata questione dei rifiuti come lui. «La mia storia professionale, di oltre 70 anni di attività ininterrotta nel campo del trattamento dei rifiuti solidi urbani si intreccia indissolubilmente con la storia della monnezza di Roma». Gli argomenti di chi lo difende in Ama, e ce ne sono ancora tanti, sono sempre gli stessi. «Con Cerroni Roma risparmiava. Siamo passati dal suo monopolio ai monopoli delle multiutilities del Nord Italia». E lui dal canto suo, in una lettera inviata al ministro Galletti lo scorso 11 maggio, ha proposto la soluzione per scongiurare l’emergenza. «Tornare a rendere operativa la stazione di ricevimento e tritovagliatura di Rocca Cencia (la stessa sui si scontrarono Paola Muraro, che voleva riattivarla, e Daniele Fortini ex ad di Ama ndr) e mandare in esercizio l’impianto di Guidonia per stabilizzare la frazione umida (FOS) e preparare la frazione secca per essere trasferita ai forni e/o ai cementifici nel Lazio, in Italia e all’Estero». Il re dell’immondizia però al momento pare essere isolato. Tanto da Virginia Raggi e dal Movimento 5 Stelle, quanto dalla regione di Nicola Zingaretti. L’unico suo alleato è l’ex premier Matteo Renzi. E’ stato il suo governo infatti ad inserire il Gassificatore di Malagrotta, attualmente fermo, nel Decreto “Sblocca Italia” dell’ottobre 2016. Un segnale chiaro, che contribuisce ancora di più ad ingarbugliare la scena, che oggi sarà dominata dall’ex premier che ha invitato i militanti Pd ad indossare una maglietta gialla per andare a pulire la città. Un’azione «civica» che quando Roma era governata da Ignazio Marino non venne nemmeno presa in considerazione. In quel caso, invece di scendere in piazza in sostegno del sindaco, i consiglieri capitolini furono invitati a rivolgersi dal notaio. Altri tempi.

P.s. Le foto sono state realizzate nella mattina del 14 Maggio a Ponte di Nona a poca distanza dal luogo in cui il prossimo 16 maggio verranno allestiti i campi da gioco per gli Internazionali di tennis.

TAG: rifiuti
CAT: Roma

Un commento

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  1. tom-joad 7 anni fa

    “Senza nuovi inceneritori o termovalorizzatori…”: costruire un inceneritore richiede diversi anni oltre a costi molto alti (centinaia di milioni di euro). Quindi questa non può essere una soluzione da prendere in considerazione. Oltre ai tempi e costi di realizzazione è una strategia che si scontra con i principi delle normative e, cioè, la riduzione della produzione di rifiuti, il riutilizzo e il riciclaggio. Un inceneritore ha bisogno di tanti rifiuti per essere conveniente. Meglio costruire impianti sempre più efficienti di TMB, di trattamento della frazione organica per produrre energia, calore e compost, cartiere, vetrerie, fonderie, ecc.. Più che modello Barcellona, da seguire sarebbe quello di San Francisco, che già da diversi anni persegue la strategia “zero waste”. Inoltre c’è assoluto bisogno di “educare” la popolazione a produrre meno rifiuti e, quindi, ad avere un comportamento virtuoso nelle fasi di acquisto dei prodotti che le serve e nelle fasi di “fine vita” di questi prodotti.

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