Morto Max Mannheimer

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24 Settembre 2016

 (Max Mannheimer il 4 maggio 2009 al liceo francese di Monaco – ©AMJ).

 

Dava voce alla memoria dei sei milioni di ebrei uccisi nella Shoà. Nato nel 1920 a Neutitschein nell’allora Cecoslovacchia, vicino al confine con la Polonia, da una famiglia di commercianti tedeschi ebrei, è morto venerdì all’età di 96 anni.

 
In fuga agli aguzzini di Hitler in Ungheria, internato a Theresienstadt, Auschwitz, Varsavia e Dachau, lavoratore coatto a Karlsfeld e Mühldorf, aveva passato tutte le fasi dell’inferno delle persecuzioni naziste. Ad Auschwitz-Birkenau aveva perso praticamente tutta la famiglia: la moglie Eva con cui si era sposato da poco, i genitori, due fratelli ed una sorella; un altro fratello fu ucciso nelle prigioni della Gestapo nel 1942. Quando fu liberato dagli americani alla fine dell’aprile 1945 a Tutzing, insieme ad un altro fratello, denutrito e malato di tifo, pesava appena 47 chili.

 
Dopo la guerra dapprima tornò nella città natale, si era ripromesso di non mettere più piede nel Paese dei suoi aguzzini. Nel 1946 si risposò però con la ex resistente tedesca Elfirede Eiselt e decisero di vivere proprio a Monaco di Baviera, la città che aveva visto l’ascesa del movimento nazista. Ebbero una figlia, Eva. Dopo la scomparsa della seconda moglie per un tumore nel 1964 Mannheimer scrisse per lei un primo libro di memorie. Allora, indica Ernst Eisenbichler, il passato di Mannheimer non era noto che in una piccola cerchia in cui si faceva chiamare col nome fittizio ben Jakov.

 
Si risposò per la terza volta nel 1965 con l’americana Grace Franzel ed ebbe un figlio. Fino alla pensione fu il gerente di una concessionaria di pelletteria.

 
Lo storico Wolfgang Benz e la allora direttrice del memoriale del lager di Dachau Barbara Diestel nel 1985 gli chiesero di rendere pubbliche le memorie che aveva scritto per la figlia Eva; poi apparse anche in Italia col titolo “Una speranza ostinata”. Dal 1986 e per oltre trenta divenne quindi la missione della vita di Mannehimer chiarire pubblicamente nelle scuole ed in interviste l’orrore delle persecuzioni naziste. Nel 1990 fu nominato direttore della comunità di sopravvissuti dell’ex lager di Dachau nello stesso anno -riferisce sempre Eisenbichler per il Bayerischer Rundfunk- aiutò un allora noto neonazista a lasciare la militanza.

 
Mannehimer tornò solo nel 1991 per la prima volta ad Auschwitz Fu accompagnato da una studentessa della scuola di cinema, Caroline Otto, che fece delle riprese che sono state poi usate solo diciotto anni più tardi nel documentario biografico “Il corvo bianco” prodotto dalla televisione bavarese. In un secondo volume autobiografico Mannheimer stesso rivela come dopo aver rivisto il lager avesse sofferto di depressioni.

 
Nel 2013 invitò Angela Merkel a visitare Dachau ed il 20 agosto ella fu la prima Cancelliera a visitare ufficialmente l’ex lager. Ci tornò ancora due anni dopo il 3 maggio per le celebrazioni del 70nnale della liberazione dell’ex campo di concentramento. Il portavoce del Governo Steffen Seibert ha commentato a nome di Angela Merkel via Twitter l’impegno di Mannheimer alla trasmissione della memoria senza odio: “Lo dobbiamo ringraziare”.

 

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Max Mannheimer con Angela Merkel a Dachau il 3 maggio 2015 ©AMJ

 
Con la scomparsa di Max Mannheimer viene a mancare una delle più importanti voci di ammonimento che ha tenuta desta la coscienza nazionale tedesca.

TAG: Germania, Max Mannheimer
CAT: Storia

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