Ambra a ritroso nei Tradimenti di Pinter

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21 Gennaio 2017

Ambra Angiolini attrice pinteriana di buon livello. Sorpresa al Manzoni, ma forse nemmeno troppo per l’acuta front woman già impegnata in passato in drammi elisabettiani e in commedie plautine. Si vede subito che Ambra non recita a braccio, confidando nell’amore incondizionato del pubblico, magari emotivamente coinvolto nelle madeleine televisive di Non è la RAI – il sottoscritto non è da meno. Ma l’attrice sembra del tutto consapevole delle raffinate maglie del teatro di Harold Pinter, realista e assurdo insieme.

È Michele Placido a dirigerla «à rebours», attraverso uno dei tanti amori clandestini descritti dal drammaturgo inglese. I tradimenti del titolo, quelli di un lui e di una lei, sposati ma non tra loro, si riavvolgono in un flashback a zig zag attraverso anni più o meno passionali fino al giorno in cui tutto ebbe inizio, lo stesso delle nozze di lei – lui migliore amico dello sposo, ovviamente. Nove quadri di routinaria infedeltà e rancori ovvi, amori «col silenziatore» – come rappava Ambra diciassettenne, la smetto subito -, chiacchiere insignificanti che cercano di coprire il vertiginoso vuoto borghese anni settanta. Ma è un vuoto che si infiltra ovunque nei silenzi e nelle pause sgranate del testo, angosciante proprio per quello che non dice.

E se Ambra ha lavorato sul senso della pausa pinteriana, funziona benissimo anche l’interpretazione discreta ma sempre caustica di Francesco Biscione, marito tradito per nulla innocente. Invece rompe quest’equilibrio coniugale l’amante Francesco Scianna con un personaggio in continua regressione sessantottina. È questo infatti il senso della regia di Placido, più interessato agli aspetti socio-politici che a quelli esistenziali. Lo spettacolo diventa così una riflessione-confessione sull’amore libero, o meglio sulle delusioni dell’amore libero, una ricerca delle cause prime di tutte le ipocrisie e autogiustificazioni in nome della rivoluzione sessuale. Ma per fare Pinter serve altro.

In alcuni passaggi i due amanti si chiedono, a bocca chiusa, come sarebbe cambiare vita, lasciare mariti e mogli per riempire di bambini la casa vuota dei loro pomeriggi illegittimi. Ma proprio non ci riescono a fare sul serio e la domanda cade, e non per superficialità post-hippie. Invece la regia è troppo presa a contestualizzare il testo di Pinter in quel decennio per affrontare essere e nulla, la condizione umana di questi personaggi anonimi e universali. Così se lo spettacolo funziona, nonostante la linearità di questa lettura, è merito degli attori. Splendida scena con trasparenze e modernariato di Gianluca Amodio.

TAG: Ambra Angiolini, Francesco Biscione, Francesco Scianna, Harold Pinter, Michele Placido, Teatro Manzoni
CAT: Teatro

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