Caterina
Bonetti

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Annata 1984, parmigiana per caso. Un dottorato in italianistica e un'inclinazione particolare per la fotografia. Attualmente "in campo" nel marketing sportivo. Blogger dal 2003, è stata referente locale per Virgilio. Autrice per la webzine Softrevolution, femminista, collabora con la rivista Saltinaria. Scrive di cultura e analisi sociale, passando dalla sua grande passione: la politica.

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Ultimi commenti

Pubblicato il 11/08/2016

in: Requisiti minimi per lo sport e per il giornalismo

Certamente. Posso condividere quanto scritto e di sicuro non è da oggi che la qualità dell'informazione (e della formazione dei lettori-consumatori) è cambiata. Ciò non significa che si debba agire con atteggiamento rassegnato. Meno che mai che ci si possa concedere il lusso di "lasciar correre". Non si tratta tanto di questione "femminile", ma di [...] onestà intellettuale e qualità dell'informazione. Ogni giorno pretendiamo "il massimo" dai professionisti che incontriamo. Dal parrucchiere che non deve sbagliare il tono della tinta all'architetto che non può non risolvere i problemi di spazio di un bilocale. Estremizzo. Chiediamo a tutti onestà, serietà, professionalità e competenza. Siamo quelli che hanno iniziato a mettere in discussione i metodi d'insegnamento di maestri e insegnanti a cui un tempo si dava del lei. E li mettiamo in discussione senza nessuna competenza di pedagogia o didattica. Giusto o sbagliato che sia siamo molto attenti alla "qualità del servizio". Quando si parla d'informazione però le cose si fanno più "rilassate". Più volte ho sentito dire "In fondo era solo un aggettivo in un articolo". Il punto è che quell'aggettivo è un mestiere. Dare correttamente le notizie, con scrupolo e onestà è un mestiere. Da cui pretendere né più né meno quello che pretendiamo da altri. Cercando di avere la stessa attenzione critica che riserviamo ad altri contesti.

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Pubblicato il 25/03/2015

in: La pedagogia delle casse di frutta del padre-ministro Poletti

Il punto credo stia proprio nella libertà di scelta. Io non credo in un mondo "a servizio" del mercato del lavoro, ma capisco benissimo che possa essere una prospettiva. Una fra tante. Un'altra prospettiva potrebbe essere quella legata al "meno lavoro, ma lavoro per tutti" e questa visione sicuramente non viene facilitata dalla creazione di [...] sempre maggiori spazi di lavoro gratuito o a titolo volontario. Ripeto, si tratta di visioni. A 14 anni però se la scuola ti "vincola" a scegliere per forza un "compito" per l'estate (oltre ai già presenti compiti) non sei di fronte a un'opzione, ma un obbligo. Si citano in questo dibattito i modelli stranieri, dimenticando però che in molti paesi d'Europa non esiste il concetto di "compiti a casa" e che i ragazzi, proprio come i lavoratori tradizionalmente fanno, terminate le ore di "impiego" sui banchi, vengono lasciati liberi di gestire lo spazio "vuoto" del tempo extra scolastico. In Italia invece esistono i compiti a casa, i compiti per il fine settimana, i compiti delle vacanze. Non facciamo più vacanze rispetto agli altri paesi, ma le "concentriamo" in determinati periodi. Che questa prassi possa essere rivista è un dato oggettivo, ma penso che vada garantito ai più giovani il tempo di pensare e agire in modo libero e disimpegnato. Poi è chiaro che l'ozio rappresenta un rischio, ma è responsabilizzante se declinato in modo "sano".

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