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Pubblicato il 20/04/2017

in: Se l'inchiesta di Report sulla farmacovigilanza diventa un regolamento di conti

Io penso che all'autore dell'articolo non è molto chiaro il problema reale dietro questa vicenda: il problema reale è che rai 3 non è seguita solo da scienziati, che sanno come funziona il metodo scientifico e sanno fare un'analisi critica della vicenda. Questi sono dibattiti da riservare con serenità alle sedi competenti, non alla TV. Nella [...] scienza non c'è accordo su tutto, è ovvio, altrimenti come progredirebbe se tutti fossero d'accordo con ciò che oggi si sa? Le nuove ed eccezionali scoperte da colpi di genio che rivoluzionano tutto sono poche al giorno d'oggi, in cui la scienza sa quasi tutto; la maggior parte del progresso si basa sull'affinamento di vecchie conoscenze. Tuttavia il progresso e l'accordo sulle singole questioni è una questione graduale. Far emergere, su un tema di sanità pubblica, una apparente confluttualità data in pasto all'utente medio, che a malapena sa comprendere una favola di Walt Disney, per di più con un piccolo condimento di "guarda il cattivo di turno che mangia alle tue spalle" (se non è il politico, è big pharma) è sbagliato, perché il pubblico non ha le competenze per capire la scienza. Questo significa esattamente che in tema di scienza il pubblico non ha diritto di sapere tutto, come se fosse la politica; il pubblico deve sapere quella che è la corrente predominante e comunemente accettata in medicina, non la miriade di ipotesi alternative, delle quali solo una minima percentuale in futuro diventeranno scienza ufficiale. È chiaro che il progresso parte da qualche parte, ma è anche chiaro che non si può accettare qualsiasi ipotesi a priori, altrimeni distruggiamo l'intera scienza medica; serve tempo, servono dati, servono evidenze che mettano d'accordo la maggior parte della comunità scientifica su un dato argomento. Ad esempio, la questione sui dati di efficacia del vaccino è dibattuta, ma esattamente come scritto nell'articolo, la verità si potrà sapere solo fra anni. Perché quando vai a prevenire una malattia che ci mette in media 30-40 anni per generarsi, devi aspettare 30-40 anni per vedere l'influenza dell fattore protettivo (o di rischio) sui grafici di incidenza: è come la relazione "diffusione fumo di sigaretta - k. del polmone". C'è uno sfasamento di circa 30 anni fra i due elementi (ad esempio il fumo fra le donne ha avuto un boom nel dopoguerra, prima fumavano quasi solo gli uomini, e solo negli anni '70-'80 si è avuto un significativo aumento di incidenza di k. nelle donne). Per cui questo non è un argomento da dare in pasto al pubblico, perché il pubblico non ha i pre-requisiti per analizzare e soprattutto tende a generalizzare: "sul vaccino dell'HPV non c'è accordo? significa che non c'accordo su nessun vaccino", così ragionano le persone. Un problema enorme è anche che nello spettatore si è generata una confusione, che andava assolutamente evitata, fra una questione strettamente FARMACO-ECONOMICA (il disaccordo è: costa più curare il cancro o prevenirlo?) con una questione di efficacia, intesa come reale ATTIVITÀ del vaccino nel prevenire l'infezione (che è indubbia! chi la nega dovrebbe andare in galera). Perché un medico sa come stanno le cose, ma lo spettatore medio no: il vaccino non protegge da tutti i sierotipi di HPV, dunque comunque una certa percentuale di cancro residuerà. Allora, economicamente, la vaccinazione conviene o tanto varrebbe curarli tutti, sia i prevenibili che i non prevenibili? Se devo vaccinare X persone, e prevengo la malattia in Y persone, l'intervento conviene oppure no? Se X è 50 milioni e Y sono 10 persone, è chiaro che non conviene e non sarà fatto, ma quando i dati sono più equilibrati come ci si comporta? Attenzione: nelle linee guida della medicina, spessissimo, si aprono anche dilemmi etici, fra l'economia, che va gestita oculatamente per poter curare tutti, e la salute del singolo, che spesso trarrebbe un vantaggio maggiore dall'opzione più costosa (per esempio chi lo va dire a quei 10 che si sono ammalati perché costava troppo vaccinare 50 milioni di persone solo per loro? Loro moriranno e da un punto di vista socio-sanitario è giusto così; ma da un punto di vista etico? Avete una remota idea per quante terapie, non solo vaccini, si pone questo problema del singolo vs. la comunità?). Allo stesso modo lo spauracchio dei metalli pesanti: cosa significa dire "ci sono tracce di questo e di quello" (sostituendo "questo e quello" con nomi paurosissimi di cose a caso)? Quelle cose ci sono pure nel nostro cibo quotidiano (e tra l'altro per alcune di quelle sostanze abbiamo addirittura un "fabbisogno giornaliero", se non lo sapeste), e poi per esempio l'alluminio è un adiuvante importantissimo per molti vaccini. Il problema è "quanto": supera i limiti di sicurezza? Altrimenti di cosa stiamo parlando? Su PubMed non esiste nessuna voce in merito, quindi direi di no. Ma ovviamente nel servizio hanno accuratamente omesso quella parte sulle quanittà, sui numeri che sono l'unica cosa che conta nella medicina e che, penso (o spero?), il prof. non abbia trascurato. Mi sa tanto di intervista tagliata e rigirata a piacimento, insomma. Oppure, se così non fosse, mi ricorderebbe quella storia di Wakefield e del vaccino trivalente MPR contente tracce di mercurio, che a suo dire era correlato con l'autismo. Che paura la parola "mercurio" vicino a quella "vaccino" per il cittadino medio, no? Ancora oggi paghiamo i danni di quella bufala. Ora vogliamo dare in pasto all'opinione pubblica anche il cromo, lo zinco, il silicio e bla bla bla?

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