Questa non è una guerra

23 Marzo 2020

Si chiamava Leonardo Marchi, era un infettivologo e dirigeva la casa di cura San Camillo a Cremona. E’ notizia di oggi: lui è il diciottesimo medico, l’ultimo in ordine di tempo, morto per Coronavirus. Qualcuno dice: è un guerra. Io dico: fermiamoci un attimo. Cosa sta succedendo?

Da un mese c’è un epidemia, e ancora, in molti ospedali, c’è penuria dei mezzi più elementari per affrontarla: le mascherine, gli scafandri, gli occhiali protettivi. Ci sono stati perfino medici che, per non farsi contagiare dal virus, hanno usato sacchi dell’immondizia (ad Aosta, scorsa settimana). Ogni giorno che passa, la situazione si fa più grave: il virus sta letteralmente dilagando da Nord a Sud, colpendo anche tra dottori e infermieri, che finiscono a letto, alcuni intubati; altri non ce la fanno e finiscono anche loro nel novero, sempre più alto, delle vittime. Si profila il rischio, più che concreto, che chi si ammala muoia non solo per la malattia, ma perché non si riesce a curarlo e che il paese, prima dal punto di vista sanitario e poi anche economico, finisca al collasso.

Come racconteremmo, come parleremmo di questa cosa noi giornalisti, ma non solo noi giornalisti, se stesse capitando a un altro paese, magari un paese fragile, del cosiddetto Terzo Mondo?

Ecco, io dico che di fronte a una situazione così non parleremmo di guerra, ma di una potenziale, grave, crisi umanitaria. Crisi così – che investono un intero paese e lo schiantano completamente – siamo abituati a vederle da lontano. Di solito siamo noi a spedire infermieri, dottori, mezzi, magari a fare una qualche raccolta fondi, per le povere vittime che vediamo, da lontano, attraverso gli schermi della tivù e le news sui telefonini.

E invece.

Ieri alla Malpensa sono arrivati medici e infermieri cubani. Sono 53 e andranno subito in corsia a Crema. Sempre ieri, all’aeroporto di Pratica di Mare, in Lazio è arrivato un aereo cargo carico di materiale e personale sanitario – provenienza: in questo caso, Russia. E sempre dal paese di Putin stiamo aspettando altri 9 cargo così. I cinesi, poi, è ormai da tempo che ci stanno dando un mano con consigli, uomini, cose.

E in campo ci sono da giorni anche le organizzazioni non governative. Dal 9 marzo, Medici senza frontiere, con ben 25 operatori, è all’ospedale di Codogno. Emergency, a Milano, consegna pasti, farmaci e beni di prima necessità a chi è in quarantena; ma non solo, gli uomini e le donne di Gino Strada sono al lavoro anche Brescia e presto lo saranno anche nell’ospedale che ospiterà solo pazienti Covid a Bergamo. Una ong americana, Samaritan’s purse, ha aperto un ospedale da campo a Cremona. Un’altra no-profit americana che si chiama Hope ha donato  ventilatori polmonari alla Lombardia.  Ancora deve arrivare il colpo, durissimo, della chiusura di fabbriche, uffici e negozi. Ma all’emporio solidale di Garbagnate, gestito dalla Caritas, gli accessi sono aumentati, da fine febbraio dell 30%.

Quelli che hanno bisogno di aiuto siamo noi, questa volta.

Come siamo finiti così? Com’è possibile che un paese come il nostro, uno dei più ricchi al mondo, stia patendo così tanto; molto di più di Hong Kong, Taiwan, Corea del Sud che il virus l’hanno praticamente già messo alle spalle? Com’è che nella sola Lombardia, ci sono state più vittime che in tutta la Cina che fa oltre un miliardo di abitanti? E di nuovo e a proposito dei medici e personale sanitario di cui parlavo all’inizio: com’è possibile che in Italia si siano infettati, in un mese, più operatori che in tutta la Repubblica popolare cinese che ha combattuto il coronavirus  per mesi?

Sono passate quattro settimane e invece di avere uno stato che distribuisce mascherine ai cittadini, ci sono aziende e privati che donano mascherine e altri dispositivi di protezione allo stato. Ma vi pare normale?

Raccontare questa storia come una guerra non ci sta aiutando a capire e a rispondere a queste e ad altre domande fondamentali – vedi il ruolo dell’Europa – su cosa non abbia funzionato.

Qui non c’è nessun nemico, c’è una malattia da curare. Non bisogna uccidere nessuno, anzi dobbiamo cercare se possibile di salvare tutti. Non ci sono trincee, ma corsie d’ospedale. E se io non do a medici e infermieri tutti gli strumenti per proteggersi dal virus, se io li faccio lavorare il triplo del normale anche perché nel frattempo i colleghi continuano ad ammalarsi uno dopo l’altro, non faccio di loro degli eroi, ma delle vittime o delle potenziali vittime.

Ed esporre medici a rischi che si possono evitare non è solo vergognoso, è stupido. Medici e personale sanitario per l’appunto non sono fanti o marines: se qualcuno “cade”, non puoi semplicemente addestrare velocemente qualcun altro, mettergli un camicie sulle spalle e mandarlo in “battaglia”. Per fare di un medico, un infermiere o un operatore sanitario un buon medico, un buon infermiere, un buon operatore sanitario non basta qualche rudimento e uno stetoscopio al collo come nelle fiction. Ci vogliono anni di studio e di esperienza. Non solo. Questi non sono mestieri che può fare il primo che passa: ci vogliono doti non comuni e una vera e propria vocazione. Sacrificarli è una follia: quanti saperi, medici come Leonardo Marchi, che aveva una sessantina d’anni, avranno portato via con se e non potranno più trasmettere ai giovani?

Magari, per qualcuno, parlare di battaglie e trincee potrà anche essere un bell’esercizio di retorica. Lo è sicuramente per Angelo Borrelli, della Protezione civile, che ogni sera alle sei del pomeriggio, mentre fa la conta dei “caduti”, ci ammannisce una metafora bellica dietro l’altra. E lo è stato pure per il nostro presidente del consiglio, Giuseppe Conte, che in un post su Facebook, dicendo che questa era la nostra ora più buia, ha perfino scomodato Winston Churchil e la seconda guerra mondiale.

Ma i militari, che pure sono stati mandati dal governo a pattugliare le strade, il virus non lo possono prendere a fucilate. E invocare la patria unita serve a niente, se non a respingere le critiche. Qui ci vogliono soluzioni. E sopratutto chi ha sbagliato, deve prendersi le sue responsabilità, perché è evidente – al di là degli slogan – che no, non sta andando tutto bene. Manco per niente.

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CAT: Sanità

5 Commenti

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  1. xxnews 4 anni fa

    concordo , ma con una struttura sanitaria a livello nazionale come la nostra ci sono sempre stati POLITICANTI DA STRAPAZZO che ne hanno fatto loro FEUDI PERSONALI da cui RUBARE DENARO DA POMPARE NELLE LORO STESSE TASCHE , si potrebbe anche pensare … ma nessuno se ne accorge , e allora non ci dimentichiamo che rano loro stessi I CONTROLLORI E NON DA un paio di anni ma come minimo da una quarantina
    perfetto parallelo con AUTOSTRADE aviazione civile e TRASPORTI NAZIONALI e motlo altro
    un paio di “cose a caso” : MOSE TAV

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  2. uldio-calatonaca 4 anni fa

    In effetti certa retorica non solo è inesatta ma talvolta controproducente. Tuttavia va almeno ricordato che il linguaggio è una stratificazione mobile del pensiero e dell’agire comune, la lingua evolve ma si poggia molto sul passato, i termini, le parole e le locuzioni prendono in prestito usi linguistici del passato per poi adattarli al presente. Siamo infinitamente pieni di esempi del genere, quasi ogni parola in origine ha avuto significati diversi da quelli poi diventati ed i neologismi, che ci sono (così come i termini di origine straniera) piano piano diventano (alcuni, non tutti) modi di esprimere “cose” nuove. Detto ciò è vero che la sovrapposizione o la metafora tra guerra e pandemia è inesatta e forse inadatta se non altro perché ad una guerra si può anche porre fine unilateralmente. Basta dichiarare la resa o l’indisponibilità a proseguire e ad esempio pensiamo all’armistizio italiano dell’8 settembre ’43, o all’uscita della Russia dalla Prima Guerra mentre contro un virus non si può mandare i diplomatici a firmare alcun trattato.

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  3. mlupimey 4 anni fa

    La tragica lezione che stiamo imparando in questo difficile momento è che lo Stato non c’è! Lo stato inteso come organizzazione di una comunità in grado di prendere decisioni per il bene collettivo, la sua sicurezza, la sua prosperità.
    L’Italia si è trovata completamente impreparata davanti a questo evento, non ha saputo cogliere i segnali, non ha valutato i rischi, non ha analizzato scenari, non ha preparato contromisure e quindi ora affronta l’emergenza in ordine sparso, con una buona dose di disorganizzazione, incapacità e si rifugia nella retorica.
    Da una nazione che è nel G7 mi aspettavo che uno scenario del genere fosse stato analizzato, si fossero preparate delle procedure, si fossero analizzati i settori strategici da preservare e tutelare. Invece nulla, nulla, nulla.
    Quindi la conclusione è che non solo chi ci guida non è all’altezza, ma abbiamo tutta una classe dirigente che purtroppo è incapace.
    Una lezione da tenere ben presente.

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  4. gianmario-nava 4 anni fa

    xxnews gode come un riccio

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  5. andrea-lenzi 4 anni fa

    La sanità (e l’Italia in generale) è senza soldi.
    Ecco perché non si aprono ospedali e quelli esistenti hanno problemi.

    In compenso, lo stato da soldi alla sanità privata.

    Soluzioni pratiche:

    -per avere una sanità PUBBLICA forte la dobbiamo smettere di finanziare la privata con i soldi pubblici (gradualmente, ovviamente) e destinare le risorse interamente alla pubblica;
    è inutile nascondersi dietro un dito: il finanziamento alla privata è stato inventato per finanziare il Vaticano, così come accade per la scuola/università/ricerca.
    Non vanno quindi votati partiti che intendano continuare a finanziare la privata.

    -per procurarsi risorse senza ulteriore tassazione serve una lotta seria all’evasione fiscale:
    quindi non va votato chi la faccia solamente a parole e che cioè non destini le risorse adeguate a tale lotta e nemmeno
    chi non pretenda il pagamento delle giuste tasse al Vaticano (che irresponsabilmente non le paga da solo).
    Non va votato chi favorisce l’evasione con condoni edilizi e fiscali.
    In pratica non andrebbe votato tutto il centro destra.

    -per avere una sanità forte servono soldi e quindi gli appalti devono essere a prova di criminalità organizzata;
    quindi dobbiamo smettere di votare chi NON combatte la criminalità organizzata
    (cioé chi a parole lo fa, ma poi non destina risorse adeguate alla lotta) e chi addirittura la favorisce o l’ha favorita, sia come singolo, sia come partito
    (DC, Berlusconi e partiti legati a Berlusconi, o che comunque in Sicilia hanno avuto un consenso fuori standard, come capitato con il partito di Lombardo, ex berlusconiano)

    -queste ed altre emergenze possono essere gestite solamente uniti: occorre una unica Europa, per avere la quale dobbiamo smettere di votare i nazionalisti

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