Il sogno americano

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4 Giugno 2020

Il sogno americano è l’incubo americano che, guardandosi allo specchio, chiede a se stesso “Chi è il più bello del reame?” e si risponde da solo che, quel portento di bellezza, è proprio lui.

Come dice il cantante “uno su mille ce la fa”.

Ma che uno su mille ce la faccia è assolutamente essenziale per passare sotto silenzio la sorte degli altri novecentonovantanove. Se non ce la facesse nemmeno lui il sogno americano ritornerebbe ad essere per tutti, perfino per lo specchio meno riflessivo, l’incubo che fa finta di non essere.

Questa fantasmagoria speculare trova il propellente che le serve nell’abitudine di dare per scontato che il modo sia fatto di “winners” e “losers” e che il solo obiettivo degno di essere praticato sia quello di passare dalla parte dei vincenti a spese dei perdenti. Salvo far loro l’elemosina quand’è il caso.

E’ celebre la battuta di Ronald Reagan: “l’unica maniera che conosco per aiutare i poveri consiste nel non far parte del novero”. E’ una visione del mondo “idiota” nel senso, letterale, che la parola possedeva in greco: murata nei confini del privato e incapace di relazionarsi agli altri se non in termini di sopraffazione. Una visione che gli Stati Uniti hanno esportato con enorme successo in ogni altra parte del mondo. Non solo nella porzione privilegiata della società, bensì – ed è questo che ne decreta la vittoria su tutta la linea – anche tra gli ultimi. Il vincente vince, il perdente spera di vincere a spese degli altri che rimarranno perdenti. Se i perdenti accettano questa visione del mondo il gioco è fatto.

Quello che sta accadendo negli Stati Uniti, a questo proposito, è tragico ma è istruttivo. Ai media e agli intellettuali progressisti piace solidarizzare con il movimento “antirazzista” (purché, naturalmente, si tenga nei limiti della buona educazione…). Da giorni fioccano le dichiarazioni di solidarietà con i “fratelli neri” da parte di ultramilionari di colore come Ophra Winfrey, Beyoncé, Kareem Abdul-Jabbar ecc. sempre con la precisazione, fatta in coro, che però “saccheggiare non ha senso” – e infatti, per loro, che senso potrebbe avere saccheggiare un supermercato?

Io, per carità, non sono un politologo. Più che altro sono un eremita. Tuttavia, da questa parte dell’oceano e dal mio miserabile eremo mi prendo la licenza di fare, per il poco che vale, un augurio a tutti i perdenti d’America e proprio ai perdenti neri in primo luogo.

Gli auguro di saper rispedire al mittente la solidarietà di chi gode privilegi inimmaginabili e di saper riconoscere in loro non fratelli ma nemici. E al contrario di saper vedere un fratello e un compagno di lotta in ogni altro perdente americano – bianco, nero, rosso o giallo.

Glielo auguro anche se di speranze, in proposito, non ne nutro.

Perché se a manifestare in prima linea ci saranno Willy Smith, Denzel Washington, Michael Jordan e Magic Johnson a vincere saranno, ancora una volta, quelli che hanno sempre vinto.

E George Floyd sarà morto due volte.

 

TAG: Cultura, George Floyd, politica, Stati Uniti
CAT: Media, società

2 Commenti

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  1. xxnews 4 anni fa

    questo “AVREBBE DOVUTO O POTUTO ESSERE IL SOGNO AMERICANO”
    MA … non ha mai davvero potuto esserlo , o meglio forse lo era per gli “AMERINDI” ( INTENDO I NATIVI AMERICANI ) per tutti gli “europei” che vi si trasferirono dopo la “scoperta fatta da COLOMBO” .
    INFATTI tutti coloro che dalla vecchia “EUROPA” VI SI TRASFERIRONO erano dei “CRIMINALI”
    e intendo TUTTI… PROPRIO TUTTI , QUALUNQUE FOSSE IL MOTIVO per il quale ci andarono o per cui ci FURONO MANDATI.
    e a circa 500 anni di distanza si vede BENE

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  2. evoque 4 anni fa

    Gli USA sono stati e sono un paese violento e crudele. La violenza è nel dna di ogni statunitense.Anni fa in Florida conobbi una signora ultra ma proprio ultra ultra ottantenne che girava con un revolver nella borsetta. Le domandai se per caso essere armata non costituisse per lei un pericolo piuttosto che una sicurezza. Mi guardò interrogativa e poi con una certa condiscendenza mi disse che ogni statunitense aveva il diritto di possedere un’arma,

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