Il lavoro, e chi lo paga

10 Maggio 2022

Il mismatch tra domanda e offerta, la mancanza di competenze, datori di lavoro che cercano dipendenti al Tg, ma non li trovano. Tutto vero, e scenografico; però due italiani su tre pensano che i lavoratori non si trovino perché le retribuzioni sono troppo basse. Punto.

Il famigerato disallineamento tra domanda e offerta di lavoro ha cominciato a manifestarsi con chiarezza dall’inizio dell’anno scorso, quando l’economia post pandemica ha iniziato la ripresa che ha fatto del 2021 un anno record. Ossia: dopo un decennio di “crisi”, seguito a un decennio di “declino”, non appena il sistema produttivo ha iniziato a tirare si sono evidenziate le distorsioni che segnano il mercato del lavoro italiano e, allargando lo sguardo, la filiera educazione, formazione, lavoro, tutta piena di soluzioni di continuità e disfunzionamenti vari.

La prima e più visibile di queste strozzature, per l’appunto, è il mancato incontro tra domanda e offerta; sarcastico che uno dei maggiori ostacoli alla ripresa sia costituito proprio da questo fattore, in un paese con livelli di disoccupazione tradizionalmente esagerati.

Il fenomeno, nonostante le iniziali diffidenze, è reale; un recente report Unioncamere- Anpal stima la potenziale domanda nel periodo del PNRR in una forchetta tra 1,3 e 1,7 milioni di posti di lavoro, e ad oggi del milione e mezzo di lavoratori di cui le imprese italiane sarebbero alla ricerca, il 40% è introvabile. Naturalmente, il mondo industriale stigmatizza molto la carenza dei soliti profili tecnico-scientifici: periti, diplomati Its e laureati in materie scientifiche, tecniche e ingegneristiche. Ma tutti hanno sperimentato in questi mesi che in settori come costruzioni, ristorazione, sanità e assistenza, mancano anche figure generiche, e che di STEM hanno poco o niente: oss e personale sanitario, educatori, camerieri, figure nel turismo in genere. Insomma, il mismatch non è una fantasia né una speculazione giornalistica, è un fenomeno reale, complesso, e ognuno, evidentemente, ne vede esaltati o adombrati alcuni aspetti, a seconda del proprio punto di osservazione.

Per questo, essendo molto evidente l’esperienza dal lato delle imprese, il Report “FragilItalia”, elaborato da AreaStudi Legacoop- Ipsos, ha indagato quale sia invece in proposito la percezione dell’opinione pubblica, e quali le possibili soluzioni, e l’esito non è ovviamente sorprendente: gli italiani imputano le difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro principalmente alle imprese, che offrono stipendi troppo bassi e fanno un massiccio utilizzo di contratti a tempo determinato, e pensano che per sostenere la crescita economica e l’occupazione lo Stato dovrebbe definire un salario minimo legale.

In particolare, due terzi degli italiani (il 65%) indicano come motivo del disallineamento tra domanda e offerta di lavoro gli stipendi bassi, ma questa percentuale ha picchi nel sud e nelle isole, tra gli over 50 (il 73%) e tra i disoccupati.

Allo stesso tempo, la metà dell’opinione pubblica attribuisce il fenomeno a un eccessivo ricorso a contratti a tempo determinato, anche qui con percentuali ben superiori tra le donne, gli over 50 e i disoccupati, in particolare al sud.

Naturalmente, il restante terzo degli italiani anziché mettere le imprese sul “banco degli imputati”, ritiene che le persone non sappiano adattarsi e cerchino il lavoro “ideale”, pur con percentuali in leggera flessione nell’ultimo anno, e con picchi nel nord est che indicano pure una delle faglie sociali del fenomeno.

In questo quadro, riguardo agli interventi che lo Stato dovrebbe attivare per migliorare la situazione, e sostenere l’economia e l’occupazione, sale fino al 45%, e di cinque punti in sei mesi, la percentuale di chi ritiene necessario definire un salario minimo, e disincentivare i contratti a tempo determinato (33%). In proposito, la richiesta di salario minimo è più alta tra gli under 30 (49%) e nel ceto popolare (47%), ma soprattutto supera di slancio il 50% al sud e fra i disoccupati, dove più forte è anche la richiesta di incentivi economici temporanei al mantenimento dell’occupazione.

Insomma, osservando il fenomeno ormai non più congiunturale del collo di bottiglia tra domanda e offerta di lavoro, mentre si discutono le necessarie e auspicabili politiche attive, e tutti gli annosi temi che tradizionalmente evocano, occorre tenere conto che la responsabilità di questo fenomeno è ampiamente attribuita dall’opinione pubblica alle imprese, e connessa sostanzialmente alla questione salariale; fatto del resto non sorprendente in un paese che deriva da un trentennio di flessione delle retribuzioni.

In una fase che per molti versi assomiglia a una ricostruzione, l’importanza di interventi tempestivi sul costo del lavoro e sul sostegno alle fasce più esposte ha quindi un ulteriore elemento di urgenza: evitare – in una logica di “patto della produzione e dell’occupazione” -, un radicarsi della sfiducia nei confronti del tessuto produttivo che, a sua volta sotto sforzo, è leva essenziale insieme al lavoro per riavviare lo sviluppo del paese.

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CAT: Occupazione

Un commento

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  1. andrea-lenzi 2 anni fa

    a mio umile avviso, occorrono queste cose:
    1.definizione di un salario minimo adeguato.
    2.lotta all’evasione fiscale fatta in modo serio, a cominciare dall’IMU del vaticano, da riscuotere prima di subito
    3.istituzione di aliquote progressive che avvantaggino i più poveri, invertendo la schifosa tendenza voluta dai conservatori nostrani, da berlusconi a salvini

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