Bashir, accusato di genocidio per il Darfur, poteva essere arrestato e invece…

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15 Giugno 2015

Il presidente del Sudan Omar al Bashir ha lasciato il Sudafrica prima che un tribunale di Pretoria potesse pronunciarsi sulla richiesta di arresto da parte della Corte Penale Internazionale. Bashir era in visita nel paese per un incontro dell’Unione Africana e da domenica gli era stato impedito di partire.
Secondo quanto rivelato da Al Jazeera, l’aereo presidenziale sudanese era stato spostato in una base militare già nella serata di domenica e che da lì, al Bashir è potuto partire senza particolari problemi.
Contro di lui ci sono due mandati d’arresto, uno del 2009 e un altro del 2010, per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio per il suo ruolo nella guerra del Darfur, un conflitto che dura dal 2003 – che vede contrapposti i Janjawid, letteralmente “demoni a cavallo”, un gruppo di miliziani arabi reclutati fra i membri delle locali tribù nomadi dei Baggara (sostenuti dal governo centrale), e la popolazione non Baggara della regione, principalmente composta da tribù dedite all’agricoltura – e che avrebbe già causato la morte di 300mila persone, da molti definito un “genocidio”.
Il Darfur è una regione dell’Ovest del Sudan, Paese dell’Africa centro-orientale, delimitato da Ciad, Egitto, Etiopia, Libia, Repubblica Democratica del Congo, Uganda, Repubblica Centroafricana e Kenia.

Omar Al Bashir
Circa 6 milioni di persone vivono oggi in questo spazio di terra, prevalentemente “neri”: musulmani, cristiani e animisti. La classe politica dominante (araba), nel 1987 ha proclamato la supremazia della “razza araba” e nel 2003 un gruppo di ribelli del Darfur ha dato il via alla guerra civile. Si tratta del Movimento per la Liberazione del Sudan (SLM), al quale si aggiungeranno l’ Esercito per la Liberazione del Sudan (SLA) e il Movimento Giustizia e Uguaglianza (JEM).
Diverse inchieste delle Nazioni Unite hanno evidenziato i crimini contro l’umanità commessi nella regione: villaggi bruciati, donne e bambine violentate, bestiame confiscato, pozzi d’acqua e coltivazioni distrutte, violenze che hanno come oggetto i neri musulmani, cattolici e animisti, colpevoli di non essere arabi. Sono state inoltre approvate diverse risoluzioni dal Consiglio di Sicurezza, inviata sul posto una missione dell’ Unione Africana (AMIS) e discusso il caso presso la Corte penale internazione dell’Aja. Ma c’è di più, dato che osservatori indipendenti hanno notato come le tattiche di guerra utilizzate dagli Janjawid, che hanno incluso smembramenti e uccisioni di non-combattenti e persino di bambini e neonati, assomigliano di più alla pulizia etnica impiegata nelle guerre in Jugoslavia, ed hanno fatto in modo che la tragedia del Darfur apparisse al resto del mondo più come un vero e proprio genocidio, termine da sempre rifiutato dal governo sudanese ma recuperato implicitamente dall’Onu che ha parlato, a 1 anno dall’inizio del conflitto, come della “più grave crisi umanitaria del mondo”.
Non è quindi un caso che, a 10 anni di distanza, il dossier di Italians for Darfur presentato al Senato lo scorso febbraio con i dati diffusi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati racconta di una situazione estremamente tragica che continua ad aggravarsi.
Tra le molteplici concause del conflitto in corso, anche la spartizione del potere: la minoranza che detiene il potere a Karthoum (capitale del Sudan) non vuole spartire il potere e le risorse con il resto della popolazione, che non è sufficientemente rappresentata politicamente. Lo sviluppo derivato dalla vendita del petrolio alla Cina (gli USA hanno bloccato tutti gli scambi commerciali con il Sudan) è limitato alla capitale, ne è totalmente escluso invece il Darfur; il governo usa le milizie “arabe” e nomadi, i janjaweed, ben armate, con il supporto dell’aviazione regolare che bombarda i villaggi, per uccidere contadini e stanziali (non “arabi”, pur essendo quasi tutti di fede mussulmana), già sofferenti per la lunga siccità che colpisce la regione. Cina e Russia bloccano gran parte delle trattative e delle proposte a livello internazionale (ONU) per interessi economici (armi e petrolio) e geostrategici, ma anche la Francia continua a guardare con interesse alla regione, conservando interessi in Ciad (dove ne appoggia il governo) e Repubblica Centroafricana. Diverso è il caso degli Stati Uniti, i quali insistentemente premono per la fine delle ostilità e per aumentare le sanzioni al governo sudanese se non cesseranno gli attachi alla popolazione, (la popolazione statunitense è la più attiva a livello mondiale nella campagna a difesa del Darfur) ma allo stesso tempo stringono rapporti di collaborazione con il governo per la lotta ad Al-Qaeda.

Violenza tribale in Darfur

Violenza tribale in Darfur

Tra gennaio e agosto dello scorso anno ben 400mila persone hanno dovuto lasciare le loro case, 2,7milioni sono diventati i rifugiati dall’inizio del conflitto mentre si calcola che in tutti il Sudan siano circa 4 milioni le persone che vivono grazie all’assistenza umanitaria. Secondo gli ultimi dati, poi, entro la fine di quest’anno gli sfollati aumenteranno di oltre mezzo milione.
Nel 2014, come se non bastasse, si è registrato un notevole incremento di violazioni dei diritti nei confronti dei cristiani da far entrare il Sudan per la prima volta tra i 50 Paesi dove la persecuzione verso i cristiani è più intensa, balzando al sesto posto. A Tabit sono, ad esempio, state violentate 221 tra donne, adolescenti e bambine in poche ore e sono aumentati i sequestri di bambini-soldato nel sud Sudan, 12 mila nel 2014. In molti pensano che tutto questo accada sotto il tacito consenso di Omar Al Bashir e in effetti i “demoni cavallo”, che amano essere chiamati mujāhidīn (guerrieri impegnati nel jihād) sono diventati ben più di una struttura filogovernativa, mentre alcune fazioni dei ribelli del Darfur non ha mai presenziato a colloqui di pace più volte richiesti anche dalla comunità internazionale, decretando de facto ancora lontana una risoluzione pacifica nell’area africana.
Al Bashir, dal canto suo, continua ad essere in una situazione ambigua. Arrivato al potere nel Sudan con un colpo di stato nel 1989 è stato da poco rieletto con il 94,5% dei voti. Da 6 anni, cioè da quando è stato emesso il primo mandato d’arresto, cerca di limitare i viaggi all’estero scegliendo soprattutto i Paesi che non hanno aderito alla Corte penale internazionale, per evitare di essere fermato ed arrestato. Secondo la Corte, il Sudafrica è obbligato ad arrestare e consegnare Bashir ma l’ambasciatore del Sudafrica nei Paesi Bassi ha anche detto che ci sono altri obblighi che il suo paese deve rispettare soprattutto dopo aver concesso l’immunità a Bashir e a tutti gli altri delegati presenti al summit dell’Unione Africana.
Poche ore dopo la “fuga” in aereo da Johannesburg, i giudici dell’Alta corte sudafricana hanno ordinato l’arresto del presidente Omar al Bashir, un tempismo apparentemente “poco casuale” se si aggiungono anche le dichiarazioni delle stesse autorità giuridiche che si sono dette amareggiate dal fatto che il governo non abbia rispettato l’ordine di trattenere il presidente del Sudan in Sudafrica dandogli modo di tornare tranquillamente nel suo paese.

TAG: Darfur, Omar al Bashir, Sudafrica, Sudan
CAT: Africa

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