Hillary Clinton: la principessa del popolo

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17 Aprile 2015

La campagna elettorale in vista delle prossime presidenziali statunitensi già si annuncia burrascosa, determinando l’avvio di un vero e proprio gioco delle parti all’interno del turbinoso agone politico americano.

Da una parte troviamo un GOP che – fatta al momento eccezione per la figura di Jeb Bush – si trova alle prese con candidati non appartenenti all’establishment: giovani ma – proprio per questo – tendenzialmente inesperti. Candidati che stanno dunque cercando in ogni modo di accreditarsi come figure politiche credibili, per rassicurare i loro potenziali elettorati: sotto questo profilo, il caso più vistoso è certamente quello di Scott Walker, il quale ha non a caso compiuto una serie di visite in Europa, suscitando qualche critica e non poca ilarità in patria nel suo “giocare a fare il presidente”.

Ma anche Cruz, Rubio e Paul non rimangono con le mani in mano. Il primo starebbe cercando in ogni modo di accattivarsi le simpatie dell’elettorato ebraico ortodosso (il cui appoggio risulterebbe fondamentale – pare – in alcuni stati chiave), mentre il secondo – figlio di immigrati cubani – sta vigorosamente sfruttando la bandiera dell’anti-castrismo: accentuandolo proprio in questi giorni, in occasione dell’apertura propugnata da Obama verso Cuba. Dal canto suo Rand Paul può godere dell’investitura del padre Ron, considerato una sorta di mito dall’ala libertarian del GOP: per quanto un’eccessiva aderenza all’ortodossia paterna rischia comunque di danneggiarlo, confinandolo nell’angusta nicchia politica in cui da decenni finiscono relegati i libertarians del Grand Old Party.

Ora, a fronte di questi candidati repubblicani smaniosi di cucirsi addosso una credibile immagine presidenziale, sul fronte democratico la situazione è quella una front-runner, Hillary Clinton, alle prese con un problema opposto: scrollarsi di dosso l’aspetto di aristocratica altezzosa,  di donna dell’establishment (lontana dalla gente comune), pura espressione dei “poteri forti”.  Un’esigenza che necessita di una strategia: una strategia che già inizia a concretizzarsi tanto in termini di immagine, quanto di programma.

Da una parte si sono infatti diffuse rapidamente le fotografie di una Hillary che pranza come una comune mortale in un fast food. La versione ufficiale vuole che nessuno se ne sia lì per lì accorto e che – anzi – la cosa sarebbe stata scoperta casualmente solo più tard. In realtà, a costo di essere maliziosi, appare assai difficile crederlo. In primo luogo perché l’esigenza della Clinton è palesemente quella di mostrarsi come vicina alla gente comune: esigenza testimoniata tra l’altro dalla scelta di spostarsi durante la campagna elettorale su un misero pulmino, per giunta chiamato “Scooby” (riferimento pop al noto cartone animato di Hanna e Barbera).

Inoltre è forse utile ravvisare come il fast food dove la senatrice democrat ha allegramente pasteggiato, appartenga alla catena “Chipotle”, nota per offrire cibo messicano. E’ paranoico ipotizzare che una simile scelta sia stata dettata dalla necessità di accattivarsi le simpatie di quell’elettorato ispanico, sempre più decisivo negli States per determinare gli inquilini della Casa Bianca? Quello stesso elettorato che – d’altronde – dalle parti dell’Elefantino già si contendono spietatamente Bush, Cruz e Rubio?

Sul fronte programmatico poi la Clinton sembra stia attuando una decisa virata soprattutto su alcuni temi, come le nozze omosessuali. Dapprima particolarmente cauta su tale argomento, ha l’altro giorno dichiarato la volontà che su una simile materia si abbia una legislazione federale (non più quindi affidata ai singoli stati, come invece sosteneva sino a poco tempo fa). Segno, questo, che il suo tradizionale centrismo sta un po’ mutando, per quanto bisognerà capire in quale misura: se si tratterà, cioè, soltanto di un’operazione di facciata (pressoché legata ai temi di maggiore portata ideologica) oppure di qualcosa di più strutturale e sostanziale.

A ciò si aggiunga poi l’estrema importanza che nel corso di questa campagna elettorale la Clinton sta conferendo all’uso dei social network: un uso veramente massiccio che sottolinea la sua volontà di contatto diretto con l’elettorato. Un uso ovviamente strategico che imita non a caso l’Obama del 2008: quell’Obama che la riuscì a battere proprio facendo dei social e della comunicazione immediata il proprio potente cavallo di battaglia. Un ricordo che brucia ancora nella mente della Clinton.

D’altronde, l’esigenza di Hillary non è soltanto di apparire una “persona normale” ma altresì quella di potersi difendere dai potenziali attacchi provenienti dalla sinistra del partito. In particolare, il pericolo più concreto che le insidia il calcagno si chiama Elizabeth Warren.

Senatrice del Massachusetts, la Warren non si rivela tanto una minaccia sul fronte pragmatico-organizzativo (soprattutto in termini di raccolta fondi): tanto più che costei al momento continua a dichiarare di non essere intenzionata a candidarsi. Il rischio è semmai tutto ideologico: la Warren (donna di chiara impronta liberal, intellettuale harvardiana e paladina anti-Wall Street) incarna la sinistra più dura dell’Asinello e sembra abbastanza chiaramente destinata a diventare (se non la rivale) quanto meno la martellante (e dissidente) coscienza critica di un partito a eventuale trazione clintoniana. Il rischio è dunque quello di un logoramento interno che possa minare la credibilità di Hillary, inchiodandola alle sue contraddizioni (e alle sue ipocrisie).

Per quanto ancora uno scontro diretto tra le due non si sia palesato, non è comunque affatto da escludere: sia in termini generali che concreti. Generali, perché mentre la Clinton è da sempre vicina al mondo dell’alta finanza (si ricordi d’altronde l’endorsement di Glodman Sachs in suo favore alcune settimane fa), la Warren quel mondo l’ha sempre combattuto, soprattutto contribuendo alla creazione del Consumer Financial Protection Bureau  nel 2011 (un ente per il controllo dei prodotti finanziari a tutela dei consumatori). Concreti, a causa dello scontro che si sta consumando in queste ore in seno al Partito Democratico sull’approvazione al Congresso della Trans-Pacific Partnership: con la New Democratic Coalition (corrente moderata abbastanza vicina a Hillary) fortemente favorevole al trattato di libero scambio e l’ala liberal (non a caso capeggiata dalla Warren in persona) decisamente contraria, tacciando l’accordo di neoliberismo selvaggio.

I problemi che si palesano per la Clinton sono dunque molteplici. E se anche le probabilità di una candidatura da parte della Warren non sono altissime, quest’ultima resta ciononostante la potenziale spina nel fianco per una Hillary da molti considerata come una candidata troppo arida (se non addirittura una bieca opportunista, assetata di potere).

Bisognerà vedere se la strategia attuata da Hillary basterà a far dimenticare una serie di elementi che contrassegnano pesantemente il suo curriculum: la vicinanza all’establishment (politico e finanziario), l’essere stata una delle figure più influenti (ed invadenti) durante la presidenza del marito, l’affare di Bengasi, lo scandalo delle email e i torbidi della Clinton Foundation. Bisognerà capire, in altre parole, se la sua nuova strategia comunicativa si accompagni ad una innovazione sostanziale (soprattutto in termini programmatici) o se si tratti – al contrario – di una pura e semplice operazione di maquillage. Se si possa parlare di una novità coerente ed effettiva oppure di un misero specchietto per le allodole.

Per quanto, bisogna dirlo, è difficile pensare che Hillary (appartenente come Jeb Bush ad una delle dinastie più potenti d’America) possa essere davvero in grado di raccogliere il guanto di sfida indirettamente lanciato dalla Warren: che possa essere intenzionata, cioè, a cambiare le cose davvero, mettendosi contro lo strapotere della finanza. Lei, che di quel mondo è la più fulgida alleata. Lei, che da quel mondo riceve in buona parte le cospicue donazioni che la rendono (ad oggi) il candidato in grado di disporre della più potente macchina elettorale in campo. Lei, che con il suo potere e i suoi soldi si atteggia oggi a “principessa del popolo”.

Lei, che vorrebbe essere una specie di nuova Lady Diana. Ma che invece alla fine ricorda un’altra celebre nobildonna. Quella che mentre mangiava le sue brioches compativa il popolo affamato: Maria Antonietta di Francia.

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CAT: America

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