USA 2016, gravi guai giudiziari per Hillary Clinton
La bufera non si placa. La questione delle email è tornata in queste ore a insidiare Hillary Clinton, evidenziando una posizione che sembra aggravarsi sempre di più. Nuovamente è il New York Times a gettare una inquietante luce sulla vicenda, palesando una situazione difficile che – con ogni probabilità – sarà destinata ad avere ampie ripercussioni nella campagna elettorale in corso.
Quel New York Times che a marzo aveva reso pubblico come – da segretario di Stato – Hillary avrebbe fatto largo uso del proprio account mail personale, evitando così di registrare una cospicua quantità di corrispondenza di interesse nazionale (soprattutto legata all’ambigua vicenda del caso Bengasi). Sotto pressione, qualche settimana fa la Clinton ha allora consegnato al Dipartimento di Stato circa cinquantacinquemila email: un numero indubbiamente elevato ma che comunque non copre la totalità della corrispondenza interessata.
La questione si è poi protratta ulteriormente, allorché, due settimane fa, durante un’intervista alla CNN, Hillary ha sostenuto di aver sempre agito nel rispetto della legalità e di non aver mai ricevuto richieste formali di presentazione dei propri documenti. Affermazione prontamente smentita dal capo della Commissione Bengasi alla Camera, il repubblicano Trey Godwy, il quale ha subito reso pubblica una richiesta di comparizione emessa dalla commissione nel mese di marzo e sempre ignorata dall’ex first lady, la quale ha subito cercato di arrampicarsi sugli specchi per rispondere all’accusa di aver pubblicamente mentito.
E oggi le cose non sembrano mettersi per il meglio. Questi gli ultimi sviluppi. Sembrerebbe che due ispettori generali del Dipartimento di Giustizia abbiano formalmente richiesto di aprire un’indagine di rilevanza penale (criminal inquiry), per stabilire se ci sia stata manipolazione delle informazioni, legate all’account mail personale dell’ex segretario di Stato. Una richiesta che deriverebbe da una nota, siglata il 29 giugno, in cui si diceva che nell’account privato della Clinton potessero esserci centinaia di mail “classificate” (quindi di interesse nazionale): una nota che gli ispettori generali hanno inviato a Patrick F. Kennedy, attuale sottosegretario di Stato (nominato da Bush nel 2007).
Ora, il punto delicato della questione è questo: non è chiaro se alcune informazioni contenute nella mail della Clinton fossero già contrassegnate come “classificate”, nel momento in cui era in servizio come segretario di Stato. Ovviamente, la diretta interessata ribadisce da mesi che nessuna email del suo account privato fosse di interesse nazionale e che si servisse di quell’indirizzo a scopo eminentemente privato (per le lezioni di yoga, tra le altre cose). Sennonché queste asserzioni andrebbero provate e – al momento – l’ex first lady non sembra sia particolarmente in grado di farlo.
Il Dipartimento di Giustizia non ha al momento annunciato se aprirà un’inchiesta: un simile atto si rivelerebbe infatti di profonda gravità, con delle ovvie conseguenze politiche, data la notorietà e il potere dell’ “imputata”. Un atto che potrebbe pesare notevolmente sulla corsa presidenziale, ridisegnando giochi ed equilibri che sembravano ormai consolidati.
Sennonché, al di là del peso politico della vicenda, ve n’è anche un secondo: di natura essenzialmente istituzionale. Eh sì, perché dai fatti che man mano stanno emergendo in queste ore sembrerebbe profilarsi un possibile scontro tra il Dipartimento di Giustizia e il Dipartimento di Stato. Nella loro indagine finalizzata a comprendere se alcune delle email clintoniane siano state classificate retroattivamente, gli ispettori generali hanno lasciato trapelare l’ipotesi che al Dipartimento di Stato si lavori per proteggere Hillary e questo spiegherebbe la sua reticenza nel fornire le informazioni richieste, in barba al Freedom of Information Act e a un paio di giudici federali.
Senza poi contare i continui attriti con la Commissione Bengasi. Poche ore fa, Godwy è tornato all’attacco, asserendo come il Dipartimento abbia utilizzato ogni scusa possibile per evitare di consegnare la documentazione richiesta. Gli ha fatto eco lo Speaker della Camera, John Boehner, il quale ha attaccato direttamente la Clinton, avanzando più di un dubbio sulla sua affidabilità e sulla sua correttezza.
Dal canto suo, il Dipartimento di Stato – riporta il New York Times – replica, affermando di essere oberato di lavoro e di non essere quindi in grado di far fronte a tutte le pressanti richieste che gli pervengono. E lo stesso John Kerry starebbe tentando di fare scudo all’istituzione: sebbene non si sappia effettivamente con quanto successo.
Lo spettro di Bengasi continua a tormentare Hillary. Lo spettro di un passato opaco che la perseguita. Lei al momento non commenta. Il suo account Twitter, sempre allegramente cinguettante, è al momento silenziosissimo sulla vicenda. Un muro di silenzio che l’ex first lady si porta dietro da mesi. Un muro che non ha ancora infranto. Un muro di segreti e reticenza, profondamente torbido, che rischia di franarle addosso: precludendole per sempre la conquista della Casa Bianca.
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