Bolivia, come si è arrivati al colpo di stato? E che ruolo hanno avuto i social?
Le ultime elezioni presidenziali in Bolivia si sono svolte in un clima non proprio pacifico. I risultati parziali hanno subito dato in vantaggio Evo Morales, in carica dal 2006, e a caccia del suo quarto mandato. Lo scarto necessario per evitare un nuovo confronto elettorale rimaneva in una forbice del 10%, ad aspettare Morales vi era Carlos Mesa (candidato della Comunidad Ciudadana, anche egli ex presidente dal 2003 al 2005). Con 84% di schede scrutinate, la differenza tra i due contendenti era di 7 punti ma a il conteggio è stato interrotto – non si sa ancora bene per quale motivo – e quando è ricominciato la posizione di Morales era migliorata abbastanza da permettergli di passare al primo turno. La chiusura del conteggio vedeva Mesa a 36,51% e Morales a 47,08%.
La vittoria di “El Indio” non ha però stabilizzato la situazione, anzi, ha gettato ancora di più il paese sudamericano nell’incertezza, con numerose manifestazioni che si sono svolte in varie parti del paese contro Evo Morales, reo di aver organizzato una frode elettorale; ma anche pro-Evo, nel tentativo di scongiurare un eventuale colpo di stato. La vittoria non è stata riconosciuta dalle Commissioni di osservazione elettorale dell’Organizzazione degli stati americani e dell’unione europea e tantomeno dal Tribunale Supremo Elettorale.
La situazione è definitivamente crollata quando anche gran parte della Polizia e delle Forze Armate boliviane hanno proclamato l’ammutinamento. Non potendo agire in modo diverso, Morales ha deciso di dimettersi nonostante avesse già concesso per il 10 novembre lo svolgimento di nuove elezioni ed è poi volato in Messico dove il presidente Obrador gli ha offerto asilo politico.
Con il vuoto istituzionale la senatrice Jeanine Áñez, la prima in linea di successione – con la rinuncia dei sostenitori di Evo dalle cariche più alte – si è autodichiarata presidente allontanandosi il più possibile dalla condotta di Morales, negando la realtà plurinazionale della Bolivia e giurando sulla Bibbia.
Breve storia degli ultimi 40 anni in Bolivia
Prima di arrivare ai giorni nostri, in un rapido susseguirsi di eventi, cerchiamo però di capire come mai la Bolivia è arrivata a questi punti e perché il suo controllo è importante nello scacchiere geopolitico del continente Americano.
Prima di tutto dobbiamo dire che la nazione andina è molto ricca di risorse minerali come argento, rame, litio e gas, ma nonostante tutto è rimasta per lunghi anni il paese di gran lunga più povero del Sud America. Fino agli anni ’80 il tasso di analfabetismo era superiore al 20% e la mortalità infantile superiore a 66 casi ogni mille nati. La principale occupazione era ancora l’agricoltura di sussistenza e gran parte della popolazione più povera delle città viveva in baraccopoli costruite in zone periferiche. La società è profondamente divisa, soprattutto a livello etnico: i poveri e gli analfabeti sono soprattutto Indios e “mestizio” (etnia mista, il 30% dei boliviani), i ricchi, che hanno dominato la politica del paese a partire dalla conquista spagnola del Cinquecento, si identificano con l’appartenenza a famiglie di antichi bianchi ed europei.
Dopo decenni di governi tumultuosi, nel 1964 in Bolivia salì al potere René Barrientos Ortuno, sostenuto dagli Stati Uniti, contro cui si sviluppò anche la guerriglia cui prese parte Ernesto Che Guevara. La situazione degenerò sempre a causa della disomogeneità della regione, i contadini non appoggiarono la guerriglia, il partito comunista boliviano era diviso e l’appoggio esterno nordamericano era troppo forte. Così Che Guevara morì dopo essere stato catturato dalle truppe militari. Nel ’69 Barrientos morì in un misterioso incidente aereo, dopo di lui vi furono governi molto deboli sempre guidati da militari che segnarono ancora di più la poca centralità dell’esecutivo. Per capirci, nel 1981 ci furono ben 3 governi militari nel giro di 14 mesi.
Solo nel 1982 Hernán Siles Zuazo divenne nuovamente – dopo 22 anni – Presidente e traghettò la nazione in un crescendo di miglioramenti e stabilità senza riuscire però ad eliminare le tensioni sociali. Negli anni ’80 vi furono ancora governi militari che ebbero a che fare con diversi movimenti terroristici locali, ma ci fu anche l’esplosione del mercato clandestino della coca contro cui il Nordamerica chiedeva una politica più incisiva. Negli anni ’90 ci fu una ripresa democratica del governo, si puntò alla rinnovata nazionalizzazione delle risorse naturali e alla ricerca di investitori che potessero scommettere sulla tenuta del governo e non più sulla repressione militare.
L’economia era però giunta ad un punto di stagnazione, gli anni 2000 iniziarono con grandi manifestazioni di protesta contro le privatizzazioni (ad esempio di acqua e acquedotti municipali) e comparve per la prima volta sulla scena politica il cocalero (coltivatore di coca) di etnia Aymara Evo Morales del Movimiento Al Socialismo che tuttavia perse la sua prima corsa alle presidenziali. Gli Stati Uniti erano molto preoccupati per la sua ascesa e minacciarono di tagliare ogni tipo di aiuto e chiudere il proprio mercato alla Bolivia nel caso Morales fosse uscito vincitore. Alle presidenziali seguirono anni di recessione in cui tornarono a farsi sentire le tensioni popolari e le proteste di piazza che portarono alla richiesta di dimissioni dell’allora presidente Sánchez de Lozada che fu costretto, nel 2003, a fuggire a Miami, sostituito dal suo vice Carlos Mesa. I contrasti sociali però continuarono, con scioperi, blocchi stradali e dell’aeroporto internazionale di El Alto. A questo clima seguì una data chiave, 18 dicembre 2005, in cui si tennero le elezioni presidenziali in un rinnovato clima democratico e partecipativo.
Il MAS di Morales vinse con il 53% dei voti ed Evo fu il primo presidente “indio” della Bolivia, festeggiato in tre diversi luoghi: Tiahuanaco e in due piazze a La Paz. Nel 2006 Morales confermò l’adesione della Bolivia alla Alternativa Bolivariana per le Americhe, progetto di cooperazione politica e sociale tra paesi dell’America Latina e paesi caraibici, promossa da Cuba e Venezuela, del tutto alternativa all’Area di Libero Commercio delle Americhe sostenuta dagli Stati Uniti.
Morales scelse di nazionalizzare i giacimenti di idrocarburi del Paese destando l’attenzione di Spagna e Brasile che erano i principali compratori del gas boliviano; annunciò anche una riforma agraria per redistribuire la terra ai contadini, mossa non facile dato l’estrema frammentarietà tra i concessionari di terre come i Quechua e gli Aymara. Nel 2006 viene inaugurata la prima Assemblea costituente eletta a suffragio universale, composta da una maggioranza di indigeni boliviani, e stabilita a Sucre.
La maggior parte dei soldi ricevuti dalla tassazione sulle estrazioni di idrocarburi fu indirizzata al sostentamento della parte più povera della popolazione. In 13 anni la povertà assoluta è scesa dal 38 al 17%, sono state incentivate sovvenzioni per anziani e donne incinte, ma anche per ragazzi che scelgono di studiare. Il risultato? Analfabetismo quasi scomparso e mortalità infantile dimezzata, ma anche una crescita media, come paese, più alto di tutta l’America Latina, con un PIL pro capite triplicato.
Morales ha ammorbidito la sua politica col passare degli anni, muovendosi di più verso il centro, pur mantenendo la sua ostilità verso gli Stati Uniti prendendo però le dovute distanza da paesi come il Venezuela guidato prima da Hugo Chavez e da Nicolas Maduro poi.
In un certo senso l’ondata di cambiamenti voluta nei primi anni di governo ha lasciato il posto ad una maggior spinta verso la crescita futura, cercando di attrarre i voti anche della classe media che è diventata sempre più numerosa.
In molti sostengono che l’epopea di Morales sarebbe crollata per la troppa ostilità delle élite, dei leader religiosi, razzisti e sostenitori dei militari. È andata così, ma non solo, Morales è stato vittima delle sue stesse tendenze autoritarie, tenendo serrato il suo comando anche quando, nel 2008 promise che non si sarebbe candidato per un terzo mandato.
Arriviamo ad oggi, nel 2019, a ottobre, ci sono le elezioni, 7 candidati e “El Indio” parte in svantaggio, perde soprattutto quella che era stata inizialmente la sua base, minatori, indigeni, poveri, che sono scettici di fronte ad un nuovo mandato. L’ex presidente Carlos Mesa arriva molto vicino a Morales, ma non abbastanza da primeggiare, si temono brogli durante lo scrutinio e scoppiano rivolte in piazza tra polizia e manifestanti in cui muoiono 3 persone.
Jeanine Áñez, con l’esilio di Morales e giurando sulla Bibbia (facendo tornare la tradizione cattolica nel paese), è dunque alla guida del paese e la stampa internazionale inizia ad interrogarsi sul possibile golpe ordito alle spalle del presidente Aymara.
Le conseguenze non sono ancora prevedibili, ma lo strato sociale boliviano è al momento in uno stato di totale disgregazione e ciò offre terreno a gruppi radicali razzisti e violenti che tendono a sopraffare gli indigeni. Il popolo andino è ora in uno stato di caos senza precedenti.
Áñez ha concesso immunità penale a militari e forze di polizia legittimando di fatto la licenza di uccidere. Nel frattempo, dall’inizio degli scontri hanno perso la vita 23 persone.
Il ruolo dei social media nel colpo di stato in Bolivia
Nelle ultime settimane sono stati riconosciuti almeno 68mila profili Twitter falsi che hanno supportato il colpo di stato avvenuto in Bolivia. La propaganda organizzata dai militari è una strategia che ha preso piede anche nelle reti sociali sudamericane. Sembra che al momento non sia stato fatto nulla per evitare il rincorrersi di messaggi che violano le politiche di Twitter. Si tratta di account nati nel solito momento che non hanno un comportamento organico, cioè non si riferiscono a persone reali e di conseguenza non hanno comportamenti umani sul Web, ma sono programmati come “bot” di intelligenza artificiale.
L’account di Luis Fernando Camacho, uno degli oppositori di Evo Morales, è passato in breve tempo da 3mila a 130mila followers di cui 50mila creati a novembre 2019. Solamente il 10 novembre, quando i militari hanno chiesto le dimissioni del presidente, sono stati creati migliaia di account falsi. Il loro numero è destinato ad aumentare e persino un account parodistico di Robert De Niro è stato “inconsapevolmente” utilizzato per definire Morales come dittatore e killer.
Sono stati creati hashtag ricorrenti come #EvoAsasino #EvoDictador #EvoEsFraude o #NoHayGolpeDeEstadoEnBolivia che si sono inseriti in conversazioni circa le elezioni presidenziali di ottobre e l’assunzione alla presidenza di Jeanine Áñez. Gli stessi hashtag sono stati ripresi anche dai giornali di destra e sostenuti anche su altri social network.
Twitter al momento non è riuscito a distinguere i tweet organici da quelli che non lo sono, questo ha lasciato il via libera alle fake news, tra l’altro.
Le piattaforme di social media hanno dunque avuto un ruolo nei movimenti popolari della Bolivia? Si perché fanno circolare idee politiche e supportano campagne di disinformazione atte a manipolare l’opinione pubblica. I regimi politici usano i bot per mettere a tacere gli oppositori, imporre messaggi ufficiali dallo Stato, manipolare il voto durante le elezioni, diffamare le voci critiche, i diritti umani, la società civile e i giornalisti. A questo punto sorge una domanda: qual è il paese che ha il più grande potere al mondo per la propaganda informatica?
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