Dalle primarie alla Casa Bianca: il percorso per diventare Mr. President

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4 Novembre 2016

Tra pochi giorni l’America conoscerà il nome del prossimo Presidente che, salvo imprevisti, per i prossimi quattro anni sarà l’inquilino della Casa Bianca. Si concluderà quindi un percorso che secondo alcuni è iniziato addirittura dal giorno successivo alle elezioni che hanno visto la seconda vittoria di Obama. Il calendario politico americano è infatti costituito da numerosi passaggi per le quali sono necessarie ingenti risorse finanziarie e organizzative, tra cui spiccano le cosiddette primarie presidenziali e, per ultimo, le elezioni politiche. Come funzionano questi due appuntamenti.

 

 

LA SCELTA DEL CANDIDATO PRESIDENTE (di Luca Bonacini)

Le primarie presidenziali sono uno strumento dalla tradizione centenaria con il quale i maggiori partiti americani stabiliscono il proprio candidato alla Casa Bianca. Per capire il loro funzionamento anzitutto è importante sottolineare che si tratta di elezioni indirette per cui non si vota formalmente per il candidato Presidente bensì si designano i delegati i quali eleggeranno poi il candidato alla presidenza in sede di convention che quest’anno si sono tenute dal 25 al 28 luglio a Philadelphia per i democratici e dal 18 al 21 luglio a Cleveland per i repubblicani. La quota di candidati viene assegnata in un numero fisso a ogni Stato in base soprattutto alla propria popolazione e le regole di designazione dei delegati sono diverse tra gli Stati, si passa da quelli che utilizzano un sistema proporzionale a quelli che adottano un sistema maggioritario per il quale il candidato più votato si aggiudica anche tutti i delegati, i quali possono presentarsi legati ad un candidato oppure rimanere non vincolati. Nel Partito Democratico poi sono previsti anche i super delegati, cioè i membri di alto livello di un partito non associati a nessuno Stato in particolare. Le primarie americane sono regolate da leggi statali ed ognuno dei 50 Stati ha pertanto potere di stabilire le proprie regole, inoltre le elezioni primarie non sono l’unico strumento con il quale si selezionano i candidati ma uno Stato può anche adottare il sistema dei Caucus o un mix di questi due metodi. I Caucus sono in realtà il metodo tradizionale e più antico, basti pensare che vennero utilizzati per la prima volta già nel 1796, quando si conclusero con la vittoria di John Adams su Thomas Jefferson, il quale verrà comunque eletto Vicepresidente. Caucus è un termine che proviene dagli indiani americani che letteralmente sta a significare “riunione a gambe incrociate di fronte alla tenda”, infatti si tratta di assemblee che possono tenersi in scuole, palestre, teatri, persino chiese o case private in cui un rappresentante per ogni candidato espone le posizioni del proprio rappresentato ed infine si giunge al voto che può avvenire per iscritto o per semplice alzata di mano In base alle regole previste dallo Stato, i caucus possono essere aperti o chiusi, nel primo caso tutti possono partecipare mentre nel secondo possono prendervi parte solo gli iscritti al partito. Essi sono un sistema ormai in declino da diversi anni in quanto sono accusati di rappresentare le preferenze solo di quella parte di elettorato più attiva e più politicamente impegnata perché per arrivare al voto al termine dell’assemblea è necessario terminare una discussione che può durare anche diverse ore per cui gli Stati preferiscono sempre più le più partecipate primarie. Le primarie classiche invece sono elezioni locali in cui si eleggono direttamente i rappresentanti dei candidati alla convention attraverso voto segreto per iscritto in veri propri seggi, vi sono però differenze importanti tra le regole degli Stati riconducibili a quattro categorie:

– nelle Primarie chiuse solo gli iscritti registrati anticipatamente al partito possono esprimere il proprio voto;

– nelle Primarie chiuse ma aperte agli indipendenti votano gli iscritti nel partito come nel caso precedente ma anche tutti coloro che non sono iscritti ma solo registrati per il voto;

– le Primarie aperte con dichiarazione pubblica prevedono che possano votare coloro che dichiarano la propria scelta di partito il giorno della selezione e non è comunque possibile votare nelle sessioni di entrambi i partiti;

– la Primaria aperta con scelta privata prevede che possano votare tutti coloro che si presentano al seggio, in questo tipo di elezione all’elettore vengono consegnate tutte le schede dei partiti ed egli può così scegliere nel segreto dell’urna a quale primaria partecipare;

Vi era infine un quinto tipo detto della Blanket Primary in cui gli elettori ricevono una scheda in cui sono indicati tutti i nomi di candidati dei partiti che partecipano alle elezioni e l’elettore sceglie il candidato preferito senza alcun vincolo di partito, sceglie cioè candidati diversi per le diverse cariche in gioco. Tale primaria è stata tuttavia dichiarata incostituzionale nel 2000 dalla Corte Suprema.

 

ELEZIONE DEL PRESIDENTE (di Siddhartha Pandit)

L’ 8 Novembre, il martedì dopo il primo lunedì del mese, come da tradizione, i cittadini americani andranno a votare per il prossimo Presidente degli Stati Uniti. Come per le primarie, non si tratta di elezioni dirette. Il sistema elettorale americano infatti prevede che i cittadini di ogni Stato debbano selezionare i propri grandi elettori (da non confondere con i delegati delle elezioni primarie) che a loro volta dovranno eleggere il Presidente a dicembre. Per esempio la California ha diritto a 55 grandi elettori, New York a 29, mentre l’Alaska a 3. È già capitato in passato che un candidato con un voto popolare più ampio abbia perso le elezioni perché l’altro aveva voti a favore meglio distribuiti. Fresca è la (contestata) sconfitta all’ultimo voto di Gore contro Bush in Florida: nonostante Gore avesse un numero assoluto di voti superiore, non diventò presidente. È teoricamente possibile anche il pareggio: in quel caso la Camera sceglierebbe il Presidente, mentre il Senato il Vicepresidente. Gli Stati Uniti sono una Repubblica Federale ed ognuno dei 50 Stati può decidere le modalità di elezione dei grandi elettori. A parte il Nebraska e il Maine che hanno optato per un sistema proporzionale, in tutti gli altri Stati vige il sistema del “winner-takes-all”: il vincitore prende tutto. Dunque se il candidato repubblicano in Florida prende la maggioranza delle preferenze, vincolerà tutti i grandi elettori della Florida a votare per lui. Si capisce quindi che ad oggi è molto difficile scardinare il bipolarismo Democratici-Repubblicani. È bene ricordare che esistono altri partiti oltre ai principali ma, a meno che non riescano ad ottenere la maggior parte delle preferenze in qualche Stato, non riusciranno ad avere grandi elettori a loro favore. Qualcuno può osservare che i Grandi Elettori potrebbero non votare il candidato a cui sono vincolati. In effetti è possibile, perché solo alcuni Stati prevedono sanzioni contro queste azioni, ma è molto difficile: i grandi elettori sono espressione dei partiti e vengono monitorati facilmente visto che si riuniscono separatamente nelle capitali dei rispettivi Stati per votare il Presidente. Per questi motivi, già la prossima settimana conosceremo il nome del prossimo (o della prossima) Presidente. L’8 Novembre, però, non si voterà soltanto per il Presidente: si voterà anche per il Senato (100 membri in carica sei anni che ogni 2 anni si rinnovano per un terzo) e per la Camera dei Rappresentanti (435 membri eletti ogni 2 anni), oltre che per i governi di alcuni singoli Stati e diversi referendum. Queste elezioni saranno molto importanti anche perché il Presidente Americano se non è appoggiato dal Congresso (Camera+Senato) rischia di non avere grande libertà di manovra: lo abbiamo visto con Obama. E per chi non può votare quel giorno? Gli Stati Uniti sono molto più grandi di noi eppure hanno un solo Election Day. In realtà esiste la possibilità del voto anticipato (da 45 a 4 giorni prima in base allo Stato, fino al giorno delle elezioni). Negli ultimi anni sempre di più è stata usata questa forma, sia dai più convinti elettori, sia da chi è impossibilitato a partecipare il giorno ufficiale. Si pensa che circa un terzo dei voti sarà espresso in anticipo in seggi appositi o addirittura per posta. Tutte le schede verranno poi aperte e contate insieme.

Vorrei infine portare la vostra attenzione su un particolare molto importante delle elezioni americane. In Italia l’articolo 48 della Costituzione definisce il voto come “dovere civico” oltre che diritto. Negli USA il voto non è un dovere, ma solo un diritto. Per questo gli statunitensi prima di votare, devono iscriversi autonomamente alle liste elettorali come repubblicani, democratici o indipendenti (senza l’obbligo di votare per il partito con cui sono iscritti). C’è dunque un’astensione alta. Questo anche perché se in una famiglia uno dei due coniugi vota i repubblicani, mentre l’altro i democratici, possono decidere di non votare perché il risultato finale non cambia (conta la maggioranza e non la proporzione dei voti).

E vi lascio con una riflessione: è giusto considerare il voto un dovere, o lasciare la libertà anche morale ai cittadini, di scegliere di non votare (ad esempio nel caso in cui non si sentano preparati a prendere una decisione così importante)? A me piace molto la definizione italiana di voto come diritto e dovere, a voi?

TAG: Congresso USA, Donald Trump, elezioni, elezioni americane, Hillary Clinton
CAT: America, Geopolitica, Partiti e politici

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