Il punto sulle primarie democratiche

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18 Febbraio 2020

Siamo alla vigilia del terzo turno delle primarie democratico e si sta per entrare nel periodo più caldo dello scontro tra i vari candidati democratici, quindi è giusto tirare le prime somme di quanto accaduto fin ora in una corsa quantomai incerta per la Casa Bianca. Va ricordato che anche i repubblicani stanno facendo delle primarie, ma sono una formalità per riconfermare l’attuale POTUS Donald J. Trump.

Fin ora si è votato negli stati dell’Iowa e del New Hampshire. La democrazia statunitense è particolare, sebbene si ritengano i massimi esportatori mondiali della loro preziosa materia prima non tutto nell’ingranaggio decisionale funziona a perfezione. Anzi si potrebbe quasi affermare con un pizzico di orgoglio e una manciata di preoccupazione che non sia un voto del tutto democratico, secondo gli standard europei per lo meno. Questo perché sia alle primarie come poi al voto vero e proprio di novembre per il presidente, i vari cittadini non votano come se ogni loro voto contasse 1, ma in realtà eleggono dei delegati che poi andranno ad eleggere il presidente o il candidato nel caso delle primarie, a cui si scelgono dei superdelegati scelti a tavolino. I delegati sono poi decisi in maniera diversa da stato a stato e questo complica ancor di più la situazione, vi basti sapere che il sistema democratico statunitense ha grossi difetti. È facile notarlo se si pensa che da Bill Clinton in poi i repubblicani hanno eletto tre volte il presidente pur avendo avuto la maggioranza, il cosiddetto voto popolare, solo una volta (secondo mandato di G. W. Bush).

Non bastasse questa complicazione, in Iowa, il primo stato in cui si è votato, il partito democratico utilizza un sistema ancor più complicato per stabilire i voti delle varie sezioni, chiamato “Caucus”. Senza entrare nei dettagli non si vota direttamente con una X sulla scheda ma vince il collegio il candidato i cui sostenitori si presentano in maggioranza il giorno dell’elezione, nel caso di dubbio si lancia una monetina. Per contare i sostenitori da quest’anno è stata scelta un’applicazione che a seguito di un malfunzionamento ha fatto ritardare i risultati dei voti di giorni e ancora oggi non si può dichiarare un vincitore sicuro in termini di delegati. Bernie Sanders con il 26, 5% ha vinto il voto popolare, cioè ha avuto la maggioranza di voti, ma visto che questo non conta particolarmente è il secondo classificato Pete Buttigieg che è in vantaggio di 0,1% sul numero dei “collegi” e di 1 nei delegati fin ora assegnati prima del riconteggio.

Naturalmente questa incertezza nei risultati ha sollevato molte polemiche. Ogni tornata elettorale si discute sul perché uno stato rurale che non rappresenta demograficamente il resto degli USA debba aprire e quindi anche influenzare il resto delle elezioni, soprattutto utilizzando un metodo di votazione così inutilmente complesso da non essere chiaro spesso nemmeno agli addetti ai lavori delle sezioni. Inoltre le prossime primarie in Nevada utilizzeranno sempre un sistema a Caucus che avrebbe dovuto utilizzare la stessa applicazione, che per fortuna è stata sospesa. Altro stupore ha destato che Pete Buttigieg abbia dichiarato vittoria subito dopo il voto, quando nessun dato nemmeno parziale è stato rilasciato fino al giorno successivo; e che contro ogni aspettativa dei sondaggi ha effettivamente strappato un delegato in più di Sanders, seppur vada fatto un riconteggio che potrebbe pareggiare le cose. Molto male è andato Joe Biden, favorito nei sondaggi ma finito al quarto posto a più di 10 punti di distanza dai primi.

In New Hampshire, per fortuna del partito democratico, dopo la figuraccia mondiale le cose sono andate più lisce. Il voto è stato vinto da Bernie Sanders con il 25,6% e un abbondante punto percentuale di distacco sempre da Buttigieg, che ancora una volta per l’astruso sistema ha pareggiato il numero di delegati, 9 a testa. È facile notare l’influenza del voto della settimana precedente in Iowa visto che ancora una volta Mayor Pete, come viene chiamato, ha sorpreso ogni sondaggista superando gli altri candidati di centrodestra, in particolare il favorito fino al mese scorso per la vittoria finale Joe Biden. Il voto del 22 febbraio in Nevada sarà ancora più interessante perché fin ora sono stati assegnti solo 65 su 3’979 delegati e sebbene sia di nuovo un caucus questa volta ad andare a votare saranno anche molti neri e latini, a differenza degli stati a totalità bianca dell’Iowa e del New Hampshire. L’influenza di questo voto potrebbe cambiare il momentum, l’inerzia come la chiamano in America, dei vari candidati perché sebbene il solito Sanders sia preferito dalle persone di colore e sia anche in testa nei sondaggi, così non è per Buttigieg che potrebbe vedersi risorpassato da Joe Biden che cercherà di spendere i suoi otto anni come vice di Obama al meglio. Ma queste prime fasi, come avrete capito, non riguardano i numeri assegnati ma l’influenza, l’inerzia, che sono in grado di esercitare sulle future votazioni. Mike Bloomberg, ex sindaco di New York e uno degli uomini più ricchi del mondo ha infatti preferito attendere il super tuseday in cui verranno assegnati ben 1345 delegati  ed evitare di bruciarsi con cattivi risultati nei primi 4 stati, dopo il Nevada infatti seguirà il 29 febbraio in South Carolina.

Elizabeth Warren e Amy Klobuchar le due donne candidate sono indietro nei sondaggi, dopo una partenza di campagna elettorale molto buona soprattutto per la prima e sono arrivate terze rispettivamente in Iowa e in New Hampshire. La Klobuchar con grande sorpresa dei sondaggisti che ancora una volta non hanno azzeccato le previsioni. Quindi nonosante le donne siano un  po’ in svantaggio, è ancora tutto aperto e i successi o le delusioni, in particolare per Biden, servono solo a oliare la macchina propagandista di una corsa alla sfida con Trump molto interessante fin ora. In particolare sarà interessante per gli equilibri politici mondiali che potrebbero variare di molto a secondo del candidato vincitore, per esempio potremo avere il tesoretto dell’era Obama del vecchio Biden, i miliardi di Bloomberg, le amicizie poco chiare di Buttigieg o la socialdemocrazia di Sanders, o ancora una volta Donald Trump.

TAG: Bernie Sanders, primarie americane
CAT: America, Partiti e politici

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