Il sonno della politica genera populismi

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9 Novembre 2016

L’esito delle elezioni americane è la consacrazione di un trend molto diffuso anche in Italia: abbattere la politica e sostituirla con la cosiddetta “società civile” è una forte tentazione, ma rischia di essere l’anticamera di una deriva pericolosa

Delle reazioni all’elezione di Trump condivido la preoccupazione, ma non la sorpresa. A parte il flop dei sondaggisti, che meriterebbe un’analisi ad hoc, già diversi mesi fa Michael Moore aveva spiegato come la vittoria del tycoon politicamente scorretto fosse un fatto tutt’altro che impossibile.

Il fatto che ad una candidata capace di scaldare i cuori quanto un weekend a Lillehammer gli elettori preferiscano un avversario costantemente sopra le righe e soprattutto dichiaratamente antipolitico non può farci reagire come verginelle scandalizzate. Basta guardare in casa nostra per capire che questo sentimento riguarda anche noi. E non da oggi.

Trump si è presentato agli americani come “un imprenditore che riuscirà dove i politici hanno fallito”. Testuale.

Un incipit incredibilmente simile a quello del romanzo politico di Berlusconi. Le similitudini tra i due sono talmente evidenti (e purtroppo non solo per il background imprenditoriale) da rendere superflue ulteriori analisi. Semmai è interessante notare che, per una volta, è l’Italia ad anticipare un trend americano, visto che solitamente accade il contrario. Certo, se poi si entra nel merito, personalmente preferirei esportare altre cose, ma questo è un altro discorso.

Berlusconi ha edificato la sua fortuna politica sul terreno spianato dal crollo dei partiti tradizionali con Tangentopoli, rispondendo alla voglia di cambiamento di un Paese nel quale si andava consolidando l’idea che “politica” significasse per forza di cose ruberie o, nel migliore dei casi, autoreferenzialità.

Il medesimo substrato ha partorito l’avanzata della Lega Nord e, in seguito, del Movimento Cinque Stelle, ancora più estremo nel suo rivendicare il rifiuto verso tutto ciò che sia etichettato come “politico”. Il popolo di Grillo seleziona i suoi membri in basa a un curriculum scevro da precedenti esperienze amministrative (come se fossero un’onta) e ci regala esternazioni da cineteca come quelle di Paola Taverna, una deputata della Repubblica che, per ribattere alla contestazione dei cittadini romani, diceva: “Io nun so’ ‘n polittico!”. Un capolavoro, nel suo genere.

Un’altra caratteristica tipica del Movimento è l’intercambiabilità dei suoi “portavoce”, che debbono ruotare in continuazione. La filosofia di fondo è quella recentemente espressa da Alessandro Di Battista, secondo il quale la politica sarebbe l’unico lavoro che non si impara a fare meglio con il passare del tempo. E’ evidente che, pur essendo necessario trovare delle regole per affermare la temporaneità dell’impegno in una istituzione, competenze ed esperienza sono un patrimonio irrinunciabile, laddove si aspiri ad amministrare la cosa pubblica in maniera decente. L’esperienza della Giunta Raggi, almeno nei primi mesi, ne è la prova inconfutabile.

Il Movimento Cinque Stelle è un chiaro esempio di una furia iconoclasta alla quale non è immune nemmeno la mia parte politica. La storica affermazione di Pisapia alle amministrative milanesi del 2011 è stata largamente dovuta alla spinta civica incarnatasi sia nei Comitati arancioni, che hanno svolto un lavoro determinante, sia nella generale attivazione di gruppi sociali e singoli cittadini che altrimenti non avrebbero sostenuto il cambiamento.

Io stesso, per quel nulla che conta, ho cominciato la mia esperienza in questo modo e quindi capisco bene il livello di sfiducia che spinge molti cittadini a guardare con sospetto “la politica”. Basta leggere i giornali. Sforzandomi di guardare le cose da entrambi i lati, credo però di poter dire che la mitizzazione della cosiddetta “società civile” sia piuttosto pericolosa. Aprire la riflessione politica a chi non si riconosce nei partiti e promuovere forme di partecipazione dei cittadini alla vita amministrativa è doveroso, ma questo non può portare ad una situazione di pregiudizio nella quale si etichetta qualunque “politico” come meno efficiente, onesto e/o moralmente affidabile di un normale “cittadino”. Ma un politico non è anche un cittadino? Altrimenti, quando smetterebbe di esserlo? L’unica differenza sta (o dovrebbe stare) nel fatto che il politico viene legittimato dal voto popolare, ma questo, in una democrazia compiuta, dovrebbe essere un titolo di merito. Invece sta diventando qualcosa di cui vergognarsi e questo è molto pericoloso. Sostituire le elezioni con le estrazioni a sorte dei parlamentari è una delle proposte di Grillo sulle quali non si può ridere, visto che c’è qualcuno che le prende sul serio.

Quello che l’On.Taverna prova a spiegare alla gente di Tor Sapienza, con un vernacolo francamente divertente, è un buco nero del quale però anche lei è coautrice. Il paradosso per cui essere eletti significa essere “casta”, invece che rappresentanti del popolo, va risolto attraverso autentici strumenti di trasparenza e rendicontabilità, non applicando la lettera scarlatta ai rei.

Altrimenti, ci si trova di fronte ad una guerra continua, nella quale c’è chi si autoelegge a campione di morale e si propone di “mandarli tutti a casa”, perché tanto “i politici” sono tutti uguali. Citando nuovamente Moore, Trump ha rappresentato per gli USA “un fuck off al sistema” e per noi italiani la politica del “vaffa” non è certo una novità.

Il problema è che, alla lunga, il “vaffa” se lo prendono anche quei “cittadini” che, proprio in quanto tali, vengono eletti e quindi entrano nelle istituzioni. E subito dopo, secondo la moda imperante, diventano “politici”… e quindi degni destinatari del “vaffa”.

Trump non è solo questo, ma è anche questo. Visto che in questa sede stiamo parlando di noi, sarà ora di uscire da un equivoco che dura ormai da tempo, perché del rapporto tra “politica” e “società civile” si parla dai tempi di Gramsci. Esiste davvero la società civile? E’ una risposta credibile ai bisogni della società stessa? Personalmente, credo che la politica sia ancora necessaria. Va cambiata, modernizzata, resa più efficiente, ma è sempre politica, nella migliore accezione del termine.

Visto che abbiamo usato Trump come spunto di riflessione, provo a consolare chi è sotto shock post-traumatico per la sua vittoria. In effetti, se davvero facesse quello di cui ha parlato in campagna elettorale, sarebbe un disastro, ma è altamente probabile che non mantenga proprio tutte le promesse, visto che adesso anche lui fa parte della categoria dei politici! Se non può sottrarsi a questa etichetta l’On.Taverna, figuriamoci se può farlo il Presidente degli Stati Uniti.

 

TAG: Donald Trump, politica, populismo, società civile
CAT: America, Partiti e politici

Un commento

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  1. vincesko 7 anni fa

    La politica è il mestiere più nobile: amministrare la cosa pubblica con competenza e onestà. Purtroppo è facile a dirsi, difficilissimo a farsi.

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