Baby

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20 Settembre 2020

Avevo seguito con vivo interesse la vicenda delle baby squillo dei Parioli, non tanto per il numero infinito di clienti della Roma bene che avevano goduto dei loro servizi, quanto per l’interrogativo su cosa avesse spinto due adolescenti che frequentavano scuole prestigiose e gravitavano nel mondo dorato che da corso Trieste arriva a viale Parioli a prostituirsi.

Insomma la generosa paghetta settimanale non era abbastanza? Si trattava della noia tipica delle persone viziate? O dell’idea di voler vivere in un film, pensando di avere il controllo del mondo adulto con l’ingenuità di chi sta solo giocando facendo finta di fare sul serio?

Se hai 16 anni e vivi nel quartiere più bello di Roma sei fortunato. Il nostro è il migliore dei mondi possibili. Siamo immersi in questo acquario bellissimo, ma sogniamo il mare. Ecco perchè, per sopravvivere abbiamo bisogno di una vita segreta

Queste e molte altre domande sulla storia che scosse la Capitale fra il 2013 ed il 2014 sono diventate materiale della serie Netflix Baby, diretta da Andrea De Sica, Anna Negri e Letizia Lamartire. Un lavoro a sei mani, in cui a seconda degli episodi si nota la differenza di una regia che, nel Caso di De Sica ambisce a richiamare le produzioni americane, dove spesso la colonna sonora diventa protagonista e l’uso dello slow motion è un elemento caratterizzante, mentre ha una connotazione introspettiva, con dialoghi più lunghi ed un confronto attoriale completo quando a dirigere sono due donne.

Baby, Netflix

Certo è che la serie diventa più strutturata ed all’ altezza del compito stagione dopo stagione, fino ad arrivare a questa terza, conclusiva con un voto che potrebbe corrispondere a quello di maturità di Ludovica, una delle due protagoniste: 68/100.

La pecca più grave è la pessima recitazione di tutti gli adulti, come se, nel concentrarsi sul gruppo di liceali, genitori, clienti ed affini non avessero importanza, quando invece sono parte integrante della storia. La mono espressività di Isabella Ferrari non è data solo dalla parrucca e dal trucco che la imbruttiscono, ma dal fatto che ogni volta sembra leggere parola per parola dal foglio che ha davanti, prendendo pause e respiri solo quando sono segnati sul copione. Tutto questo ha un risultato quasi irritante, come per tutti gli altri attori che eseguono il compitino da comparse più che da personaggi: l’unica in grado di destarci dal torpore è la rediviva Chiara Caselli, che rianima le ultime puntate nel ruolo di avvocato della minorenne Emma.

La scelta delle due protagoniste è invece assolutamente azzeccata: Benedetta Porcaroli e Alice Pagani sono perfette non soltanto per la bellezza pulita della prima e per il lolitismo della seconda. Entrambe danno verità e profondità ai loro personaggi, in tutte le contraddittorie sfaccettature dell’adolescenza, risultano sempre credibili e a tratti portano lo spettatore a sospendere il giudizio, quasi dimenticandosi dell’origine assurda delle loro azioni.

Baby, Netflix

Così fanno anche gli altri giovani interpreti, eccezion fatta per la pessima Anna Lou Castoldi, in un ruolo inserito soltanto per regalarle un esordio cinematografico di cui non si sentiva il bisogno. Dandoci uno spaccato della realtà tra i banchi di scuola, emergono invidia e orgoglio come gli unici sentimenti davvero riconoscibili in chi dalla vita ha già tutto ciò che di materiale si può desiderare.

Ho sempre osservato gli altri . Non capivo perchè tutti sapevano chi erano e io no. Io non l’ ho mai capito avevo paura di sbagliare, avevo paura di deludere […] quell’apatia che le dicevo mi faceva sentire adulta. Sembrava la soluzione a tutto. E’ così che funziona, no? I sentimenti sono solo delle illusioni, mentre i soldi…i soldi sono veri.

Il finale col tatuaggio può sembrare scontato, ma ho pensato che il piercing fatto a sedici anni con la mia migliore amica, che, dopo quasi vent’anni, ancora brilla sul mio ombelico, mi ricorda che le esperienze di quei tempi segnano le nostre vite come una matrice che non ci lasceremo mai alle spalle.

La scena, in realtà, è un riferimento ai segni distintivi che le vere Chiara e Ludovica sfoggiavano sui loro corpi. Scritte inneggianti a motti hitleriani e slogan neofascisti, un mondo a cui le teenager dei quartieri alti erano profondamente legate. Peccato non aver trattato anche questo aspetto, così presente e radicato all’ ombra dell’ Ara Pacis e che avrebbe fornito un interessante spunto di riflessione.

Voto 2,5/5

 

 

TAG: Baby Netflix
CAT: Cinema

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