Capri-Revolution

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27 Dicembre 2018

Il film di Mario Martone è un’oasi di riflessione nell’inconsistenza ormai tipica dell’atmosfera natalizia.

Capri-Revolution ricostruisce sin dal titolo, in maniera efficace, il dato storico: l’isola fu scelta agli inizi del secolo scorso come paradiso di ricerca artistica e politica da intellettuali di varia provenienza. Lo spiega chiaramente il regista nel commento del film che lui stesso ha fornito.

Eppure la pellicola non si esaurisce nella ricostruzione dei fatti storici. Martone suggerisce una duplice prospettiva di analisi, due opinioni contrastanti sul nostro essere nel mondo.

In una terra vergine, in una società che vive di pastorizia, in un’isola che è un paradiso naturale, alle soglie della Grande Guerra, convivono due modi concepire l’esistenza. Da un lato Seybu, l’artista che fonda una comune e vive di un’intensa spiritualità, vede nella danza e nel movimento, nella pittura e nella musica, nel contatto vivo con la natura, nel ritorno alle origini di un’esistenza primigenia, il modo migliore per cogliere l’élan vital e mettersi in contatto con l’energia cosmica: una delle scene iniziali riproduce attraverso il moto circolare e continuo di corpi nudi che si prendono per mano, La danza di Matisse. D’altra parte Carlo, il medico dell’isola, si batte per affermare il valore della scienza, l’unica forza in grado di assicurare il benessere all’umanità. Per Seybu esiste solo lo spirito, per Carlo tutto è materia: un dualismo inconciliabile.

Sospesa tra la fascinazione  che su di lei esercita l’artista e l’innegabile esigenza che sente per le sollecite cure del medico, Lucia – la vera protagonista del film – guarda con occhi stupiti e vive sulla sua pelle gli effetti delle due prospettive, entrambe belle e seducenti, come i due uomini che le stanno accanto.

La scienza salva, la scienza cura. Eppure, asservita a poteri di parte, è sempre la scienza che produce le armi e rende possibile quella guerra che porterà via con sé i fratelli di Lucia e il medico stesso deciso ad arruolarsi volontario.

L’arte e la ricerca spirituale sono, senza dubbio, una necessaria via di fuga da una realtà inappagante e deludente. Eppure la comune di Seybu nutre in sé le piaghe di una  malattia distruttiva: l’irrazionale  produce, certo, la cultura vitalistica dello slancio vitale, ma genera anche mostri, può trasformasi in culto delle divinità ctonie. È ciò che accade nel bosco notturno dell’isola, in cui la parte oscura della comune caprese celebra riti sacrificali in nome delle forze misteriose della Terra, bevendo sangue, immolando vittime, sezionandone le viscere.

Tutto può trasformarsi nel suo contrario. Il Bene e il Male convivono in una prossimità nella quale è difficile districarsi.

E, comunque, costruire un microcosmo come quello fondato da Seybu, fatto di solidali affinità elettive tra pochi adepti, non sembra una soluzione ai mali dell’umanità, è piuttosto una chiusura. Sapere che cosa accade nel mondo, ma ritenerlo una realtà distante e percepirne solo l’eco, frattura il senso del nostro umano coesistere.

Non c’è verità assoluta. Persino la religione non conforta: il padre di Lucia, affetto da una grave malattia polmonare, non viene salvato dalla scienza medica, ma neppure dalle preghiere alla Madonna.

Una delle scene finali del film è un urlo, quello di Seybu, un’onda sonora che si propaga fra timore  e tremore e che ricorda L’urlo cosmico di Munch.

Questa è l’umanità: un punto minimo nell’universo, sospesa tra La danza e L’urlo.

Il tema che Martone affronta, ci riguarda: va ripensato il rapporto dell’uomo con la natura, con i propri simili, con se stesso. Rispettare la natura operando scelte biocompatibili è un bene, ma non basta. Credere nella scienza e impegnarsi a umanizzarla, liberandola dall’asservimento al capitale che finanzia le guerre, è una condizione necessaria alla sopravvivenza dell’umanità, ma sfugge alle ordinarie possibilità dell’uomo comune, è territorio dei potenti, si può solo sperare che questi siano avveduti nelle loro decisioni.

Cosa resta da fare a Lucia, emblema dell’essere umano alla ricerca di risposte al proprio trovarsi qui e ora  nel mondo? Forse una cosa sola, non semplice, ma salvifica. Si tratta di una proposta formale, non contenutistica: avere il coraggio di non smettere di cercare, avere l’audacia di affrontare il viaggio della vita senza cedere alle seduzioni della fuga o, al contrario, dell’onnipotenza di uno scientismo prometeico, liberi, sempre, da reti frenanti, mai rassegnati all’esistente.

Martone pone questioni, lascia il suo pubblico con enormi interrogativi, non dà risposte concrete e nel personaggio di Lucia (dal latino lux, luce) ripropone il modello del viator, colui che non possiede la luce, ma ne va in cerca, accettando le incognite del viaggio.  In una società piena di certezze, forse va rilanciata la forza del dubbio. Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai. (B. Brecht, Lode al dubbio).

TAG: Cultura
CAT: Cinema

Un commento

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  1. lina-arena 5 anni fa

    dal commento traggo una conclusione: si tratta di un cinepanettone per frequentatori di sacrestie.

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