Dimentichiamo l’HIV ma l’HIV non ci dimentica. Viaggio nell’Italia distratta

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26 Febbraio 2019

Sembra lontano il 2030, eppure è dietro l’angolo. Solo dieci anni. Dieci anni per accelerare, dieci anni per vincere le paure e sconfiggere la diffidenza, dieci anni per arrivare a zero.

Zero infezioni da HIV: è questo l’obiettivo fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. È un obiettivo ambizioso e coraggioso ma senza ambizione e coraggio ogni battaglia è persa prima di calpestarne il campo.

Sembra passato un secolo dalla psicosi collettiva che sconvolse il mondo occidentale e civilizzato, solo poche decine di anni fa, quando l’uomo bianco si scoprì fragile e vulnerabile, incline a consegnarsi agli istinti più abietti. La caccia agli untori e l’emarginazione di donne e uomini, da additare quali capri espiatori, si è affievolita nel tempo  grazie gli sforzi della comunità sanitaria internazionale ed all’introduzione di nuove terapie dalla metà degli anni novanta. Anno dopo anno, generazione dopo generazione, l’opinione pubblica ha iniziato a dimenticarsi dell’HIV, tuttavia l’HIV non si è dimenticato di noi.

Gli ultimi dati pubblicati dall’Istituto superiore di sanità, a ridosso della giornata nazionale contro l’AIDS, restituiscono l’immagine di un Paese che, pur collocandosi nella media europea in termini di infezioni diagnosticate, registra l’incidenza più alta nella fascia d’età 25-29 anni. Su 100.000 residenti, il numero di soggetti giovani che si sono scoperti infetti risulta tre volte maggiore rispetto al resto della popolazione. Peraltro, dopo una leggera flessione tra il 2012 e il 2015, coloro che, all’esito del test, hanno acclarato la propria sieropositività hanno cessato di diminuire. A questi numeri, si aggiunge la piaga degli inconsapevoli: circa 15.000.

I nati agli inizi degli anni novanta sembrano appartenere ad una generazione cresciuta senza memoria storica, figli di un mondo che con la stessa rapidità ha additato e dimenticato, di un Paese in cui il virus che, vergognosamente, veniva definito peste gay e cancro degli omosessuali non sembra aver lasciato alcuna traccia culturale, in termini di prevenzione e informazione diffusa.

Il 36% degli italiani non ha mai fatto il test e più della metà delle diagnosi è avvenuta in una fase avanzata della malattia. La diffusa credenza che l’HIV riguardi una minoranza dai gusti e abitudini sessuali discutibili s’infrange davanti all’eloquenza dei numeri. La maggioranza delle nuove diagnosi è riconducibile a rapporti sessuali non protetti, di cui il 45,8% eterosessuali e 38,5% di Msm (Men who have sex with men – Uomini che fanno sesso con uomini).

Interpretare questo spaccato del Paese non è facile, comprendere le ragioni sociali che ci collocano al punto in cui siamo richiede uno sforzo d’analisi che, troppo spesso, la classe dirigente e i corpi intermedi dello Stato non sono stati in grado di fare. Basti pensare alla normativa vigente, risalente al 1990, che richiede la maggiore età per effettuare il test diagnostico. Ad oggi, nella civilissima Italia, un minorenne non può effettuare il test senza il consenso dei genitori. La rivoluzione sessuale che ha attraversato il mondo e cambiato le società negli ultimi trent’anni non ha lasciato traccia nell’opera del legislatore; norme vetuste e fuori dal nostro tempo consegnano  alla balìa dell’ignoranza i più giovani, scoraggiati dall’atteggiamento sovente giudicante della generazione dei propri genitori, al cui consenso sono vincolati e dal quale il più delle volte fuggono. Eppure è universalmente riconosciuto che scoprire il prima possibile di essere sieropositivi aumenta i benefici che si possono ottenere dalle terapie antiretrovirali. L’esempio virtuoso del Regno Unito non ha insegnato nulla all’Italia: un giovane londinese ha bisogno del consenso obbligato solo fino al quattordicesimo anno di età, un italiano se vuole effettuare il test senza il consenso dei genitori deve ricorrere ad un Giudice dei minori. Una follia anacronistica, un ghirigoro burocratico che puzza di appesantimento ideologico e che è in potenza di rovinare le vite di migliaia di persone.

Il Governo in carica ha, peraltro, affossato, prima di Natale, la proposta (originariamente depositata della deputata dem Giuditta Pini) di rendere gratuita l’erogazione di preservativi per gli under 26. Il ricorso alla contraccezione, prima regola del Safer Sex, è de facto ostracizzato da chi attinge all’inesauribile pozzo del cattolicesimo di facciata, eppure una misura di questo tipo, peraltro poco gravosa in termini di spesa pubblica, avrebbe potuto cambiare la vita di migliaia di persone.

Le ombre del pregiudizio si addensano su un Paese che sembra chiudere gli occhi e tappare le orecchie. Chi si scopre sieropositivo, sovente per caso, rischia di trovarsi di colpo tra i sommersi, guardato con diffidenza da chi si pensa un salvato. Sono ancora tanti i casi di discriminazione, perfino negli ambienti che dovrebbero emergere per accoglienza e rispetto delle problematiche individuali. Si legga a tal proposito un’interessante inchiesta a cura di Simone Vallia ( L’Espresso, 29 Dicembre 2018 ndr.) che, riportando i dati raccolti da Arcigay, rileva che otto persone su dieci non sono contrarie all’imposizione di dichiarare il proprio status sierologico a prescindere dall’intervento richiesto. Diciamolo: un’aberrazione.

Sono trentasette i milioni di persone affette da HIV al mondo (dato UNAIDS) di cui un quarto non sa di essere contagiato: l’unica strada per raggiungere l’obiettivo zero HIV fissato dall’Oms passa per la prevenzione, in termini di metodi contraccettivi e test precoci. Abbiamo il dovere di dare risonanza al principio Undetectable=Untrasmittable, ossia non rilevabile = non trasmissibile. Solo chi conosce il proprio stato sierologico, può lavorare per sopprimere la carica virale e prevenire la trasmissione del virus.

Lo stigma, le discriminazioni, la mancanza di risorse e l’indifferenza impediscono la strutturazione di una cultura diffusa. La conoscenza e la consapevolezza, in Italia e nel mondo, sono il solo mezzo per illuminare i ghetti in cui rischiano di rinchiudersi i sieropositivi. Gli adolescenti di oggi hanno diritto ad una legge di civiltà che abolisca il consenso obbligato, hanno diritto alla contraccezione gratuita, hanno diritto alla conoscenza.

Lo dobbiamo a chi in questo mondo non c’è ancora. Lo dobbiamo a chi in questo mondo non c’è più.

 

TAG: Aids, hiv, italia, Prevenzione
CAT: costumi sociali

Un commento

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  1. andrea-lenzi 5 anni fa

    i problemi derivano innanzitutto dalla religione e dal vaticano che impediscono da sempre e con costanza una sana educazione sessuale a cominciare dalle scuole, con informazione delle malattie incluse. Basti pensare che fino al 1978 la era vietata per legge la contraccezione e su Radio maria l’omofobia è additata come peccato mortale. La soluzione ha più facce, una delle quali è togliere il fiume di danaro alla chiesa (revisione patti lateranensi), l’abolizione dell’ora di religione da sostituire con quella di educazione sessuale e civica/tolleranzadellediversità, lo stop ai finanziamenti alle scuole private, di modo che la scuola pubblica diventi il perno della cultura statale

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