Serena Marchi dà voce alle donne che partoriscono per altri

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18 Aprile 2017

“Mio Tuo Suo Loro” è un libro edito da Fandango che racconta l’universo (o comunque gran parte di) di uno degli argomenti più divisivi e più discussi in Italia negli ultimi tempi: la gestazione per altri (“gpa”).

Lo ha scritto Serena Marchi, giovane giornalista e scrittrice veronese alla sua seconda opera dopo “Madri comunque” (Fandango), andando ad intervistare direttamente a casa loro le donne che partoriscono per altri. Usa, Canada, Gran Bretagna, Ucraina, … , Serena ha percorso migliaia di chilometri per circa due mesi per dare voce – aspetto inedito nella narrazione italiana – direttamente alle protagoniste di questo fenomeno.

L’occasione per parlare con l’autrice è poche ore prima della presentazione del suo libro a Milano (libreria Verso, Corso di Porta Ticinese 40, martedì 18 alle ore 19, con Paola Galloni e Elena Falletti).

 

Serena perché questo libro? Da dove nasce l’ispirazione?

“Già nel mio primo libro, “Madri comunque”, sempre edito da Fandango Libri, c’erano due storie sulla surrogacy. Al Salone del libro del 2015 il mio editore mi propose di fare un libro interamente sulla gpa. Sapevo voleva dire viaggiare, perché il mio metodo di scrittura si basa sull’incontro dal vivo delle persone che intervisto. C’ho riflettuto un po’ e poi ho accettato perché è un tema su cui tutti dicono la loro ma nessuno ha mai sentito la voce delle donne protagoniste. Mi interessava e continua ad interessarmi questo: il punto di vista e i perché delle portatrici.”

Leggendo il tuo libro emerge come le donne che hai intervistato siano molto diverse tra loro ma tutte comunque accomunate da un’esperienza importante come la gestazione per altri. Chi sono queste donne? Che tipi di persone sono?

“Dipende dal Paese in cui sono stata. Sicuramente, sono tutte donne che hanno scelto di partorire per altri. Per dono, per soldi, per solidarietà, per spirito altruistico. Tutte scegliendo. In Canada, Inghilterra e Stati Uniti sono donne molto emancipate, tutte con una loro professione, con una famiglia e dei figli. Donne molto simili a noi italiane, donne che vivono in condizioni sociali molto simili alle nostre. Mi sono commossa molto spesso. Trovarmi di fronte a esperienze di vita e alle testimonianze dei diretti interessati, da sempre, sospendo il mio giudizio. Da donna a donna, poi, l’empatia è stata molta. Di fronte avevo donne molto diverse da me, che hanno fatto scelte per me improponibili e molto spesso incomprensibili quindi è stato un mettermi alla prova anche con me stessa.”

Ti hanno criticata per aver raccontato solo storie positive. Come mai?

“Perché molto probabilmente sono stata in Paesi in cui le donne che decidono di partorire i figli degli altri non sono affatto sfruttate e schiave come troppo facilmente vengono etichettate. Quindi ecco scattare l’accusa di aver raccontato solo storie positive. Credo meritassero voce anche e soprattutto le storie positive, vista la cattiva abitudine di dare spazio solo alle esperienze negative che ci sono, esistono e vanno sicuramente combattute. Ma non esistono solo cattivi esempi, ce ne sono anche di belli e nel mio libro trovano spazio. Poi permettimi di dire una cosa: non sono storie belle. Alcune sono molto forti, molto taglienti e molto pungenti. Credo sia evidenziata la libertà di scelta di queste donne, ed era proprio l’intento del mio libro.”

Tu che posizione hai sul tema della surrogacy? Come ti poni davanti al fronte dei contrari a questa pratica?

“Come mi pongo? In modalità “ascolto”, come è mia consuetudine. A me piace partire dalle esperienze vere di vita. Sono stata in Paesi occidentali dove la surrogacy è regolata da leggi molto chiare. Per mia natura, io non mi azzarderei mai ad imporre una mia idea, una mia convinzione e una mia scelta a nessuno, a maggior ragione alle altre donne. Sono la prima pronta a condannare lo sfruttamento del corpo delle donne, ossia laddove le donne sono costrette contro la loro volontà a fare qualcosa. Ma di fronte alla libera scelta di una donna, io chiudo la bocca e la rispetto. Mi rammarica notare come in Italia si faccia ancora moltissima fatica a scindere il trinomio donna-madre-parto. Se per qualunque motivo si spezza questa catena, ti guardano male. A mio avviso leghiamo troppo il concetto di maternità a quello di parto. Per la nostra legge madre è chi partorisce, quindi è un concetto intrinseco e ben radicato nella nostra cultura. Ma credo abbiamo tutti sotto gli occhi situazioni in cui ci sono uomini che si prendono cura dei figli molto di più e più amorevolmente delle mogli, ci sono donne che accudiscono bambini non partoriti da loro, ci sono i genitori adottivi, ci sono persone che amano i figli dei partner. Il concetto di ‘madre’ inteso come qualcuno (maschio o femmina) che si prende cura di un bambino è mutato e non credo possa essere legato alla biologia e all’avere partorito. Ci sono donne che partoriscono un figlio e lo abbandonano e ci sono donne che partoriscono figli ma non sono in grado di accudirli in maniera idonea. Personalmente non credo di valere come donna solo perché ho partorito e non credo di essere una buona madre perché ho fatto 14 ore di travaglio. Continuare a legare la donna alla esclusività del materno ci ghettizza ancora di più in un ruolo che deve essere una scelta di responsabilità.”

 

Parli di un argomento che divide, almeno in Italia. Hai percepito qualcosa di diverso all’estero rispetto a quello che si racconta nel nostro Paese?

“All’estero, soprattutto negli stati in cui sono stata, il dibattito del nostro Paese non viene considerato. Le donne stesse, quando raccontavo i toni e le argomentazioni del fronte del no, scuotevano la testa e sorridevano. L’opinione pubblica di Inghilterra, Stati Uniti e Canada non discute sulla surrogacy perché sono decenni che questa pratica si effettua.”

Con Serena c’è la chef Paola Galloni, che parteciperà alla presentazione del libro a Milano. Può sembrare strana questa accoppiata e, per questo, mi viene da fare una domanda anche alla cuoca televisiva.

 

Paola, sei una donna eterosessuale, hai fatto un figlio, non sei una giornalista. Perché allora sostieni questo libro? Cosa ti spinge a presentarlo insieme all’autrice?

“Ho una formazione filosofica, – mi dice Paola – pertanto questo argomento mi interessa come molti altri (apparentemente) controversi. E come donna, in generale, tendo a indispettirmi quando si vogliono imporre restrizioni alla libertà delle donne e all’uso che intendono fare del proprio corpo”

Serena, invece, qual è la maggiore accusa che ti hanno rivolto per questo libro e cosa rispondi?

“La critica maggiore come dicevo prima è stata quella di aver raccontato solo storie positive. Per il resto, non mi sembra di essere stata attaccata. Rispetto le posizioni di chi non la pensa come me, contesto però i toni. Io personalmente non mi permetterei mai di imporre una mia scelta, una mia idea o una mia convinzione a nessun altro. Men che meno a una donna che sceglie di partorire per altri. Sono anni che si lotta per l’autodeterminazione del corpo femminile, sono anni che si cerca di scindere il concetto di gravidanza da quello di maternità. Faccio fatica a trovare coerenza, nella loro presa di posizione. Perché se si tratta di lottare assieme perché nessuna una donna venga sfruttata, venga obbligata e venga schiavizzata (non solo per quanto riguarda la GPA) sono la prima a mettermi in prima linea. Ma chiedere l’abolizione mondiale della gestazione per altri significa impedire anche alle donne che scelgono di farlo. Lo trovo poco rispettoso.”

E il miglior complimento?

“Sono stati tanti i messaggi che mi hanno ringraziata per il mio lavoro. Soprattutto da coppie eterosessuali italiane, che mi hanno scritto di continuare nel mio lavoro per far capire alla gente di cosa si parla quando si parla di surrogacy. Purtroppo la maggior parte delle persone non sa di cosa parla.”

Tu hai un figlio piccolo, che insieme al tuo compagno ti ha accompagnato in questo viaggio. Ti ha chiesto cosa andavi a fare? E come glielo hai spiegato?

“Ettore ha quasi 8 anni. A lui ho raccontato la verità, ossia che andavamo ad incontrare delle donne in giro per il mondo che avevano partorito i bambini per qualcun altro. La verità. E lui non ha fatto una grinza anzi: ha fatto amicizia e giocato con i figli delle portatrici e quando è tornato a scuola, ai suoi compagni, ha raccontato quello che ha visto e sentito. Con la naturalezza che solo i bambini hanno e che noi adulti, purtroppo, abbiamo perso.”

TAG: fandango, Gpa, mio tuo suo loro, portatrici, serena marchi, surrogacy
CAT: costumi sociali

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