Festa patronale
D’agosto settembrino,
nei dì di festa,
s’intonano rosari e preci,
tra trine, veli, tonache e fiori
nell’effluvio mistico olezzante d’incenso
che da terra a cielo s’alza in volo.
Di fiumare umane e ceri
le strade son calcate,
tanti e ottanta piedi,
dai legni caldi ai cupi ottoni
note storpie ed emozioni
vagan di rigo in coro
tra sinfonie e ricordi di canzoni.
Piazze, viottoli e rioni
di pietra scolpiti
colgon guardinghi e crudi,
sul lastricato di nera arsura,
il passo morbido del carro ornato
che in lontananza appare
come miracol sognato.
Rintocchi fendon l’afa rovente,
tra frotte d’anime pie e di gente,
suon di mani e croci legnose
serpeggian nei boccioli di rose spinose,
negli occhi lagrimanti dei passanti
dinanzi a Cristo, Madonna e Santi.
Palpitano voci del fedel devoto
e urla silenziose del viandante
sotto lo sguardo vitreo e il cuore
della Madre e del Signore
che dal trono spalleggiati
scrutan opere e miracol cercati.
Pensieri taglian lingua e gola,
la terra tribolata geme,
Ave Maria e Domineddio,
a cantilenar strofe e parole,
strappan di bocca il fiele
e donan pace santa e miele.
A chi genuflesso tende la pallida mano
e a capo chino ansima e trema,
sparso di cenere e sospiri,
la santa visione l’alma scuote,
a piedi nudi e un cieco abbaglio,
tra cardinal, folla e commiato,
svanisce muta a perdifiato.
Fuochi e luminarie ardon di colori
svettanti tra i portali titolati,
fra sacri cenni che san di acquasantiera,
profano incalza l’andirivieni dai giostrai,
di popolani e forestier da mane a sera,
nel dì d’agosto a tempo musicale
tra litanie e bagordi della festa patronale.
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