I sopravvissuti al Covid, quelli che respirano piano

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9 Ottobre 2020

C’è chi respira piano per non far rumore, perché ha vicino chi si addormenta ma non si risveglierà. Nemmeno col sole. Che prendersi il Covid-19, finire in terapia intensiva, significa anche questo: assistere ogni giorno alla morte di chi combatte la tua stessa guerra. Significa vedere qualcuno che cade in un precipizio mentre tu stai in bilico su quello stesso precipizio, mentre ti sporgi a misurare l’altezza del volo sperando di avere un paracadute nei polmoni.

 

 

Perché è vero che si sopravvive al Coronavirus, anzi a onor del vero, è più facile sopravvivere che morire, ma non è per niente scontato che, dopo tutto l’orrore visto e vissuto si possa ricominciare a vivere.

Un po’ come la sindrome dei reduci del Vietnam che si sono salvati la pelle, ma hanno lasciato l’anima nella giungla, tra il napalm e i cecchini. Non so se esista un nome per la sofferenza di chi è sopravvissuto alle terapie intensive che in questi mesi erano spesso l’anticamera dei forni crematori, ma so che esiste chi ha portato a casa la pelle lasciando sul letto dell’ospedale una generosa fetta di anima.

E del resto è un po’ come affogare, ammalarsi seriamente di Covid-19. È come finire con la testa sott’acqua e provare a respirare inghiottendo sorsate di morte sempre più generose mentre si cerca di riempire i polmoni di vita. Ma se chi affoga è, spesso, da solo, e mentre annaspa con la gola chiusa tiene gli occhi aperti nel mare a cercare la salvezza, chi è sopravvissuto alle terapie intensive e ai reparti Covid ha visto il suo vicino di letto affogare, lentamente, ogni giorno un po’ di più, fino a quando di respiro e di vita non gli è rimasto niente.

Assistere a un destino agghiacciante, di solitudine senza speranza, sapendo che potrebbe essere il proprio, è qualcosa che devasta l’anima (o il cervello, se preferite). Avere consapevolezza che il prossimo a venire intubato, mandato in coma, e consegnato alla fortuna potresti essere tu, è qualcosa di raccapricciante che non può venire rimosso dalla sopravvivenza. 

E infatti sono molti i reduci delle terapie intensive che, nonostante la rieducazione polmonare, fanno fatica a respirare, che vivono l’angoscia del reduce, che non riescono più a gestire la quotidianità così per come l’avevano conosciuta. Che è facile, e sbagliato, pensare che i sopravvissuti alla peggiore delle morti possibili (quella in solitudine) abbiano una convalescenza ebbra di voglia di vivere e di fare e di correre e di viaggiare. In realtà lo stereotipo del sopravvissuto che si mangia la vita a morsi golosi con fame insaziabile è più figlio della cinematografia hollywoodiana che della realtà quotidiana. La verità è che è difficile lasciarsi alle spalle tanto orrore: la videochiamata a casa, fatta da un’infermiera stanca e generosa perché tu eri sotto un casco e parlavi con gli occhi; il silenzio rotto solo dal rumore dei respiratori, dalle parole rassicuranti dei medici che si alternavano alle corse per intubare i tuoi vicini di letto. È difficile godere della vita quando si è vista così tanta morte.

I reduci del Vietnam non sono il tenente Dan che nonostante tutto si sposa con una vietnamita dopo un paio d’anni di alcolismo. Tutti i reduci della messa in scena della morte devono reimparare vivere con una consapevolezza che è ben più del “ricordati che devi morire” e “mo’ me lo segno”. Ma se i soldati americani potevano scegliere se andare in guerra o restarsene a casa, se vivere in mezzo alla morte o restarsene tranquilli nella vita, noi oggi non possiamo fare altrettanto.

O forse sì. Forse, se accettiamo di rinunciare agli abbracci, alla vicinanza, al sorriso in evidenza; se accettiamo di restare di più in casa, di prestare una sfiancante attenzione ai dettagli del quotidiano: ecco forse anche noi possiamo scegliere di vivere senza il trauma della conoscenza diretta della morte.

Perché è atroce quello che sono stati costretti a vedere i sopravvissuti delle terapie intensive e nessun essere umano dovrebbe provare quell’ansia del miracolato che li accompagna oggi e, forse, li accompagnerà sempre.

TAG: #Coronavirus #Covid19, coronavirus, COVID-19
CAT: costumi sociali, salute e benessere

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