Neo-Apartheid: la separazione è la soluzione?
La cronaca ci aggiorna pressoché quotidianamente di quali rischi corrano le persone di colore – o comunque, appartenenti a minoranze – negli Stati Uniti d’America. Abusi delle forze dell’ordine, soprusi e uccisioni. Il movimento Black Lives Matter ci insegna che gli States non sono sicuri, per i membri di una minoranza etnica.
C’è allora chi ha pensato di risolvere la questione, andando alla base del problema. Qualcuno crede che condurre una vita separata, divisa da quella dei bianchi, sia il modo migliore per evitare rischi.
Una comunità nera
Il numero di afroamericani uccisi dalle forze dell’ordine resta stabile e costante negli USA. Nonostante le tante manifestazioni, nonostante gli scioperi, nonostante gli incendi e le misure di appoggio ai manifestanti che numerosi governatori stanno prendendo per cercare di calmare le acque (e di mostrarsi apertamente progressisti, che fa sempre bene in ottica elettorale, nell’America di Trump), sembra non cambiare nulla per gli afroamericani.
Può allora capitare che qualcuno si stanchi di subire. Quel qualcuno è Ashley Scott, che di lavoro fa la realtor – vende case e terreni – ed è rimasta sconvolta in seguito all’omicidio di Ahmaud Arbery.
“Maud” lo scorso febbraio era uscito di casa per fare una corsetta, un pò di jogging per tenersi in forma, lui che sognava di sfondare nel football americano. Due suprematisti bianchi, padre e figlio, lo vedono passare accanto alla finestra di casa e decidono di armarsi, salire in auto, braccarlo e ucciderlo. La loro giustificazione sarà: “Pensavamo fosse un ladro!”
In seguito a quel fatto, Scott si convincerà di una teoria che sta già circolando, tra il disinteresse generale, nelle riflessioni di alcuni intellettuali di colore: l’unico modo di ottenere libertà, uguaglianza e giustizia, per le persone di colore, è quello di creare una società parallela ma distinta da quella bianca dominante.
Una comunità nera, uguale ma separata da quella a trazione bianca. Esattamente come quell’America definita dalla commissione Kerner in seguito alle proteste di Detroit del 1967/1968, magistralmente portate su grande schermo dalla maestra Kathryn Bigelow, qualche anno fa.
Neo – Apartheid come soluzione?
Scott necessitò di cure e terapie in seguito all’assassinio di Arbery, tanto ne restò colpita. In seguito a tale esperienza, decise di dedicarsi alla realizzazione di una comunità pacifica e sicura, destinata alla prolificazione della comunità afroamericana. A ciò si deve la nascita della Freedom Georgia Initiative, cui Scott ha dato origine associandosi all’investitrice Renee Walters, convinta anch’essa della necessità di costituire una zona franca per le persone di colore.
“Abbiamo a che fare con questioni stratificate e radicate, che richiedono una reazione più potente delle proteste in strada. Dobbiamo affrontare la situazione come un solo popolo, come ha affermato il rapper e attivista di Atlanta, Killer Mike: mobilitandoci, organizzandoci, strategizzando e pianificando. Esattamente come stiamo facendo io e la mia buona amica Renee Walters, imprenditrice e investitrice.” Ha affermato Ashley Scott.
Stando alla pagina Facebook di Freedom Georgia Initiative, il movimento punta a costituirsi come un modello innovativo di autosufficienza, sostenibilità ambientale e economia cooperativa, diventando un riferimento per l’intera comunità BIPOC – black, indigenous and people of colour – nell’ambito della diaspora africana globale.
Le due fondatrici sembrano davvero convinte della loro decisione ma hanno ragione? La soluzione alla violenza etnica è davvero una sorta di neo-apartheid? Veramente non possiamo fare di meglio che separarci, rinunciando al dialogo interetnico e all’integrazione? Non siamo una società fallita se invece di affrontare il problema lo aggiriamo in questa maniera, dimenticandoci della lezione che ci ha dato la storia nel secolo scorso? Non abbiamo sbagliato tutto se desideriamo tornare al Sudafrica di Mandela o agli USA di Malcolm X, del reverendo King e di Medgar Evers?
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