rinnovabili sempre più lontane?
Su la scorta dei dati della Fondazione Nord Est, Febbraio 2019, le entrate pubbliche nell’Unione europea da imposte ambientali hanno raggiunto quota € 369 miliardi nel 2017, rispetto ai € 264 miliardi nel 2002 ( +30%), con aumento di 7 mld/anno. Le imposte sull’energia (Fig. 1) hanno rappresentato oltre i tre quarti delle entrate totali da imposte ambientali (77% del totale), ben prima delle imposte sui trasporti (20%) e di quelle sull’inquinamento e sulle risorse. Nel 2017 la Lettonia ha registrato la quota più elevata di tasse ambientali (11,2%), precedendo altri quattro Stati membri dell’UE con una quota di almeno il 9%: Slovenia e Grecia (entrambi il 10,2%), Croazia e Bulgaria (entrambi il 9,1%). All’estremo opposto della scala, il Lussemburgo (4,4%), la Germania (4,6%) e la Svezia (4,9%) hanno registrato le quote più basse di imposte ambientali, seguite da Francia e Belgio (entrambe al 5,0%). L’Italia si piazza al centro ( alto) della classifica, lontana dagli Stati dell’Europa tradizionale (per intenderci a Euro a prima velocità). Si deduce che:
1) Gli introiti dell’Environmental Taxes tendono ad aumentare in capo ai costi dell’energia fossile;
2) L’Italia è bene lontana dai Paesi virtuosi in tema di Emission Trading;
3) Se le tassazioni sull’energia fossile tendono ad aumentare, è ancora proponibile un periodo breve di transizione verso le rinnovabili?
E infatti i dati riportati dall’EXXON ENERGY OUTLOOK 2018 ( Fig. 2) indicano al 2040 un sostanziale statu quo dell’energia con ampio ricorso ai fossili anziché le rinnovabili. Tanto rumore per nulla dunque? Certo no! Lo sforzo verso le rinnovabili è indiscusso ma… grava il forte sospetto che esista una dicotomia tra la speranza di avere un mondo privo di fossili inquinanti da un lato e dall’altro l’ipocrita e continua annunciazione di un mondo sostenibile e la presunzione di dare per scontata o prossima la migrazione dal fossile al rinnovabile.
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