Urbanistica, consenso, paesi di provincia: il ventre molle dell’illegalità
È di ieri la notizia di un’ampia operazione investigativa che ha portato a una serie di arresti in quel di Seregno, città – ma io direi “paesone” – della (fu) brianza felix. Facendo, non per vezzo ma per convinzione, professione di garantismo, tale per cui le eventuali condanne dovranno essere stabilite da collegi giudicanti dopo i processi previsti dalla Costituzione, mi permetto però, da osservatore e attore delle questioni inerenti la trasformazione urbana, alcune riflessioni. Il tutto nella convinzione che le indagini della Procura di Milano siano fondamentali; per la legalità, per la salvaguardia degli attori sani e per la tutela del territorio.
Il punto di partenza di queste mie riflessioni è correlato a una costante che emerge ormai da ogni inchiesta simile a questa ultima. Nelle ipotesi di reato che spesso emergono all’evidenza delle cronache, il processo di “scambio” tra una politica alla spasmodica ricerca di consenso e la malavita organizzata, vede sempre una moneta prevalente: l’urbanistica, con le sue varianti che trasformano il territorio.
Il problema è serio. A differenza di quanto può accadere in grandi città, in cui i fenomeni corruttivi passano attraverso fatti criminosi più sofisticati ma anche più riconoscibili (per questo tanto più dirompenti, come insegna la disgustosa vicenda di “Mafia Capitale” e quindi noti, come fenomeno, all’opinione pubblica), ciò che accade negli indolenti territori della “provincia” fatica a essere rubricato come grave patologia, che intacca ogni parte politica.
Tale indolenza, tale mollezza, è il facile terreno in cui si insinuano interessi opachi. L’urbanistica e le trasformazioni territoriali, come dicevo poc’anzi, sono spesso il perno di tale processo malato. Perché accade ciò? La questione è certamente complessa ma, a mio avviso, sono due gli elementi centrali in questo incestuoso matrimonio di interessi deviati.
Il primo è il disfacimento della “politica locale”. Il secondo è la deregulation urbanistica. Uniti, questi fattori, rendono facile il gioco per poteri criminali che vogliono colonizzare tessuti sani.
Sul disfacimento della “politica locale” vale come un netto monito quanto detto circa un anno fa da Roberto Saviano quando, poco prima della tornata elettorale amministrativa, parlò delle liste civiche come del “simbolo oggettivo che le istituzioni hanno abbandonato grossa parte del Meridione; ce ne e’ una massa vergognosa per permettere a certi personaggi di candidarsi senza appoggiarsi a un partito”. In questa frase, apodittica per qualcuno ma molto aderente alla realtà, c’è una rappresentazione veritiera di ciò che accade non solo nel Meridione, ma in larga parte d’Italia. Anche dove c’è un partito o un feticcio di esso, nelle realtà di provincia è pressoché scomparsa una presenza di politica e di classe politica ancorata a strutture organizzate (una volta si chiamavano “partiti”), volenterosa di costruirsi competenze specifiche su materie complesse, pescando per l’appunto da strutture organizzate e – soprattutto – vogliosa di operare per esercitare un fantastico esercizio di cittadinanza attiva.
Chiaramente qui si parla di patologia; la fisiologia, mi pare si possa dire, è fatta ancora oggi da una enorme quantità di amministratori locali motivati, appassionati, rigorosi e integerrimi. La guardia va però tenuta alta rispetto a un’altrettanto nutrita schiera di politici locali arrivisti, spietati, pronti a ogni compromesso e interessati solo alla propria carriera personale. In tal senso ciò che accade è vedere sovente dei ras locali eletti a sindaco con consigli comunali – fatti di persone dalle storie e professioni (o disoccupazioni) più disparate – completamente asserviti ai voleri e alle decisioni del moderno podestà.
In questo quadro entra in gioco il secondo elemento, ossia la deregulation urbanistica. Negli anni, in pressoché tutte le legislazioni regionali (a me è nota prioritariamente quella lombarda), si è assistito a una modifica dell’impianto normativo in materia di territorio che ha smantellato norme e processi una volta esposti al vaglio di molteplici livelli decisionali. Non solo; si sono creati strumenti urbanistici che fanno della “flessibilità” – parola ambivalente – il proprio mantra. Orbene, tanto l’autonomia decisionale in materia di trasformazioni del territorio, quanto l’applicazione della flessibilità sono oggi di competenza – pressoché esclusiva – di un solo livello amministrativo: quello comunale. Ossia Consiglio Comunale per le decisioni più importanti e Giunta Comunali per quelle “conformi agli strumenti”.
Accade quindi che una variante urbanistica, finanche sostanziale, che un tempo doveva sì essere sottoposta al voto del Consiglio Comunale, ma poi essere vagliata da organismi superiori (regione su tutti) oggi possa essere proposta, negoziata e decisa nell’ufficio di un sindaco o di un assessore e poi portata in un Consiglio Comunale che – come sopra detto – può essere subalterno o, peggio ancora, infiltrato. E, si sa, l’urbanistica muove grandi interessi e grandi capitali, anche in iniziative marginali. Sarebbe interessante, per esempio, sovrapporre una mappa del territorio della provincia di Milano e di Monza e Brianza con una mappa indicante i territori a più alto rischio di colonizzazione mafiosa; probabilmente si scoprirebbe che i comuni più esposti all’attacco della malavita sono anche quelli con i territori più devastati e con le scelte urbanistiche più irrazionali.
Che fare? Al di là di un tanto generico quanto ingenuo – ma convinto – richiamo alla politica di ogni parte, a recuperare una presenza territoriale densa e un rigore non solo etico morale ma anche tecnico, ritengo si debba mettere mano alla normativa urbanistica per rendere i processi da un lato più oggettivi (e quindi più rapidi) e dall’altro per consentire – rispetto a spregiudicate operazioni di varianti o di radicali rifacimenti di piani urbanistici – una più articolata catena di comando.
Ricordo una bella lezione al master sulla criminalità organizzata presso l’Università Statale di Milano, in cui Nando Dalla Chiesa ci disse che la criminalità organizzata “è una forza solida in una società liquida”. Ecco, penso che per strutturare anticorpi politici e tecnici, rispetto a questa criminalità arrembante, non serva altro che uno Stato – in tutte le sue articolazioni – più solido. Per sconfiggere la criminalità, consentendo alle tante forze sane che ci sono di lavorare per uno sviluppo equilibrato e per un vero benessere diffuso.
@Alemagion
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