I migliori album del 2020

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26 Dicembre 2020

Il 2020 è stato forse l’anno peggiore per l’industria musicale – sopratutto quella legata alla musica dal vivo – e migliaia di lavoratori dello spettacolo hanno perso il lavoro. Inoltre tanti grandi artisti, come Kendrick Lamar, hanno deciso di rimandare l’uscita del proprio progetto in attesa di tempi migliori.
Ha quindi senso fare una lista dei migliori album del 2020? Sì, perché coraggiosamente sono stati fatti uscire comunque dei gran bei dischi.
Come di consueto ho stilato l’elenco – assolutamente personale – dei migliori album dell’anno.

10. L’ultimo a morire – Speranza

L’Ultimo A Morire, è il primo disco ufficiale di Speranza, il rapper franco-casertano del 1986 cresciuto a Marsiglia fino ai 22 anni, trasferirsi a Caserta. Sono ormai due anni che Ugo Scicolone ha portato la cruda autenticità nel panorama hip hop italiano. L’unicità del suo progetto musicale risiede nella spietatezza del racconto di strada, senza fronzoli e senza farsi ammaliare dalle luci dello showbiz e i vestiti griffati. Speranza non ha tempo per questo.
Quelle di Speranza sono vere e proprie cronache del rione: è la voce dura e graffiante che racconta le vite di chi non ha voce, senza scadere nella retorica stereotipata del gangsta rap. L’aggressività del suo stile, unito alle produzioni di altissimo livello, rendono questo album un mix perfetto.

9. The Slow Rush – Tame Impala

Ci sono voluti 5 anni, ma i Tame Impala sono tornati. Non era facile dopo “Currents” – l’album che li ha consacrati al grande pubblico nel 2015 – ma Kevin Parker è riuscito nell’impresa. Ne è uscito un disco soft rock molto pop e dalle sonorità psichedeliche che era molto atteso, e non ha assolutamente deluso le aspettative. In “The Slow Rush” la tematica centrale è quella dell’inesorabile scorrere del tempo, accompagnato da arrangiamenti nostalgici. Ciò risalta anche nella copertina che raffigura una vecchia casa vuota colma di sabbia, come fosse una clessidra.

8. Drug Dealing is a lost art – RMR

Mesi dopo che il suo video country-rap ‘Rascal’ è diventato virale, RMR (Rumor) artista volutamente misterioso ha pubblicato un EP dal titolo “Drug Dealing is a lost art”. Nei mesi scorsi RMR ha coltivato una mitologia attorno alla propria figura creando uno stile che abbina una voce dolce ed equilibrata con l’aggressività delle armi. Non possiamo considerarlo un musicista country, ma nemmeno un rapper: è un artista della ”new age”. Nei video e negli incontri con i dirigenti del disco, indossa un passamontagna, insistendo sull’anonimato perché vuole che “le persone ascoltino con le loro orecchie, non con i loro occhi”. L’EP dipende dalla sua voce profondamente blues che si alterna a uno stile molto più trap, ma in parte anche dal personaggio che ha creato. In seguito alla morte di George Floyde si è schierato e ha partecipato a diverse iniziative del movimento Black Lives Matter.

7. RTJ4 – Run The Jewels

A proposito di Black Lives Matter, non possiamo non parlare di RTJ4, ultimo album del duo statunitense “Run The Jewels. Il loro ultimo lavoro ha fatto da megafono per la protesta della comunità afroamericana statunitense. In Walking in the snow, ad esempio, viene criticata l’insensibilità con cui i mezzi d’informazione e gli americani affrontano gli omicidi commessi dalla polizia contro neri disarmati. Nel pezzo vien fatto riferimento all’omicidio di Eric Garner, ucciso dalla polizia nel 2014, riprendendo la frase “I can’t breathe”. Quella stessa frase è stata ripetuta poi da George Floyd, a Minneapolis. Di certo un caso, che ha contribuito ad aumentare maggiormente il valore del messaggio sociale dei Run The Jewels.

6. Circles – Mac Miller

Circles è l’ultimo album di Mac Miller uscito postumo, a due anni dalla sua scomparsa del rapper di Pittsburgh per overdose a soli 26 anni.
Questa raccolta la possiamo considerare come un testamento straziante che ci ha lasciato, ma a tratti – in alcuni passaggi – sembra quasi che avesse presagito la propria scomparsa. È un colpo ogni riferimento alla morte: nel singolo “Good News”, ad esempio, si chiede “Perché tutti hanno bisogno che io rimanga?”. È difficile fare una recensione ad un album postumo, anche perché non sappiamo mai quanto l’artista avrebbe ancora voluto modificare prima della pubblicazione. Per l’uscita dell’ultimo capolavoro di Mac Miller è stato fondamentale l’apporto del producer Jon Brion che ha rifinito la malinconia del disco. Avendo lavorato a strettissimo contatto con l’artista per molti anni sono sicuro che abbia cercato di riprodurre nel modo più fedele possibile le intenzioni di Miller, ma ho come l’impressione che ci sia qualcosa di incompleto: in Circles manca un vero e proprio fil rouge.
Resta comunque una delle migliori opere di Mac Miller, che nonostante la giovane età è stato molto prolifico riuscendo a pubblicare cinque album in studio, dieci mixtape e due EP.

5. Dream in Colour – Franc Moody

Dream In Color, è il primo album completo del duo Franc Moody (Ned Franc and Jon Moody). Ed è una vera e propria ondata di benessere. I Franc Moody sono una scintillante palla da discoteca completamente necessaria nell’odierna flebo di disperazione quotidiana. Tuttavia, sono molto più che semplici produttori di musica da festa. In Dream In Color, la band si intreccia con messaggi sociali più ampi. Unisce così la cultura dance underground e sfrutta la danza come rimedio al mondo digitale di oggi. Un tema particolare che il disco esplora è appunto il modo in cui navighiamo nelle nostre esistenze online e offline. “A volte, l’esperienza del passaggio tra questi due mondi può sembrare di passare dal bianco e nero al colore”, spiega Ned. “Volevamo esplorare questo fenomeno in questo disco.”

Naturalmente, a causa di questa prospettiva, si dice che i loro concerti siano un’esperienza piuttosto evasiva ed euforica, con un focus sulla comunità e sul caos. I membri della band sono noti per scambiare strumenti e suonare assoli mentre si sedevano l’uno sulle spalle dell’altro, quindi non c’è da meravigliarsi che stiano costruendo un seguito di culto.

4. ENNA – PLK

Quello che troviamo in Enna è un Plk completamente nuovo, circondato da un team senza precedenti, scelto accuratamente per il ritorno sulle scene dopo l’album Polak . Dal suo primo disco, l’artista ha continuato ad ampliare i propri confini, sia creativi sia produttivi. PLK è un gran venditore ed è uno dei pochi indomabili nuovi lupi nella scena hip-hop francese.
Dietro l’euforia che ha accompagnato l’annuncio di ENNA, alcuni fan hanno esposto molte inevitabili preoccupazioni per questo nuovo status. Erano infatti preoccupati soprattutto per quanto riguarda le collaborazioni, ritenute poco originali dato che Niska, Rim’K, Heuss l’Enfoiré e Hamza fanno ormai parte dell’ establishment del rap francese. In parte avevano ragione, ma PLK è riuscito a non farsi snaturare e a mantenere la propria street attitude sfornando un disco credibile e pieno di hit: su 18 brani pubblicati direi almeno la metà.

3. CIP! – Brunori SAS

Quasi un anno fa Brunori Sas annunciava l’uscita dell’album con queste parole: «Sono disposto ad accettare le vostre critiche con calma e maturità, ma sappiate che se non vi piace questo titolo e soprattutto questa copertina siete delle brutte persone e non vi parlo più. Cip & love! D.».
La copertina è davvero dolce e il titolo racchiude la semplice e sofisticata tenerezza delle 11 tracce.
Semplicità e delicatezza sono le parole d’ordine che Brunori utilizza per sfondare le porte della propria intimità. In Cip! l’artista è riuscito a raccontarsi in modo ancora più aperto. Lo devo dire? Ok, lo dico: Dario Brunori è il miglior cantautore italiano in attività.

2. Ultra Mono – IDLES

“Ultra Mono” degli IDLES segna il grande ritorno del post-punk sulla scena internazionale.
Questo tipo di musica può immergersi nella contemporanea ce lo hanno dimostrato negli ultimi anni la Gran Bretagna e l’Irlanda, grazie a band emergenti come Fontaines D.C., Shame, The Snuts e gli stessi IDLES.
Il punk non è morto, anzi è più vivo che mai e riesce ad arrivare anche al pubblico più mainstream: quindi sì, c’è ancora speranza.
In Ultra Mono, la prima grande differenza rispetto ai due album sta nel carattere intimistico che risuona già dalla prima traccia, War, che racconta di una guerra personale: un conflitto interiore necessario in questi tempi contraddittori.
Gli IDLES si sono sempre dichiarati sensibili alle tematiche femministe, trattando più volte nelle loro canzoni il tema della mascolinità tossica. In Ne Touche pas Moi, ad esempio, denunciano ogni forma di abuso sessuale, a partire da quella molto spesso sottovalutata del catcalling.
Nei loro testi hanno cantato il loro malessere e il loro dissenso nei confronti di Brexit, Donald Trump, il sistema economico, le disuguaglianze di genere, nazionalismi, i neo-imperialismi, la corruzione, ed il bigottismo. Grounds è un brano molto sperimentale e innovativo che si poggia su suoni elettronici.
Mr Motivator è invece una divertente critica alla cultura Pop, rappresentata da personaggi come LeBron James o Conor McGregor. In Model Village il ritmo forsennato va di pari passo con un elenco ripetitivo e alienante di caratteristiche e tendenze del mondo attuale.
Personalmente non vedo l’ora di tornare a tempi migliori per poterceli godere dal vivo e pogare sotto al palco fino a perdere i sensi.

L’articolo finisce qui, con l’amaro in bocca, senza assegnare il primo posto.
Perché classificare solo nove album e non dieci?
C’erano diversi album che potevano rientrare nella top10, è ovvio, ma questo è stato un anno molto particolare. Centinaia di artisti sono stati costretti a rinviare l’uscita del proprio album e hanno cancellato i propri tour. Mi piace pensare che tra tutti quegli album ci sarebbe stato quello che avrebbe sconvolto tutto quanto, e che purtroppo non vedrà mai la luce. O sicuramente non come era stato pensato in origine.

Ci lasciamo così, augurandoci un buon 2021 ricco di buona musica e – si spera – tanti concerti.

Tommaso Proverbio

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CAT: Eventi, Musica

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