Renzi promette, ma la maggioranza perde pezzi

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21 Novembre 2014

Promesse, nuove promesse e ancora promesse. Con il rischio di non avere i numeri in Parlamento nemmeno per attuare le misure già in agenda. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è intenzionato ad andare avanti  passo dopo passo, come recita il sito che conta la scadenza verso i famosi “mille giorni”. Eppure al Senato la situazione comincia a essere allarmante.

A conti fatti, a Palazzo Madama i voti certi per la maggioranza sono di meno rispetto ai 169 di inizio legislatura: il Jobs Act ha ottenuto 165 “sì”. Un segnale non proprio secondario, visto anche l’investimento politico fatto da Renzi sulla riforma. In questo contesto diventa necessario “blindare” i dissidenti del Pd, stile Corradino Mineo.

L’ultimo campanello d’allarme è scattato con il passaggio dei senatori Tito Di Maggio, Mario Mauro e Angela D’Onghia dal gruppo Per l’Italia al Gal (Grandi autonomie libertà), un contenitore di contraddizioni tra chi appoggia l’esecutivo e chi invece ne è fiero oppositore. La migrazione non significa che i tre voteranno contro il governo, anzi. Angela D’Onghia è sottosegretario all’Istruzione e ha voluto precisare: «La nostra è una confluenza, tanto è vero che il gruppo prenderà la denominazione Gal-Popolari per l’Italia».

Ma Mario Mauro è tra quelli che punta a scompaginare la situazione, puntando alla riaggregazione del centrodestra. Perché «questo è un monocolore renziano», ha ripetuto l’ex ministro della Difesa, riesumando un lessico da Prima Repubblica. I sommovimenti nel campo di Forza Italia sono confermati dal capogruppo di Fi a Palazzo Madama, Paolo Romani, che parla di «nuove prospettive» per il centrodestra. Il tutto mentre Silvio Berlusconi promette ogni bene possibile ai pensionati: «Aumento delle pensioni a mille euro e niente tasse sulla casa». Parole che risuonano come un (ennesimo) ritorno in campo.

Insomma, se tutto ciò fosse accaduto nell’epoca del governo Prodi si sarebbe scatenato il finimondo con titoloni e previsioni di imminenti di crisi di governo. I ricordi volano al senatore Turigliatto, il comunista di ferro che faceva vacillare la «maggioranza sexy» (copyright proprio del Professore), meglio nota come maggioranza risicata.

È pur vero che Renzi può sfruttare l’eterogeneità delle opposizioni, che vanno dal Movimento 5 Stelle alla Lega Nord, con Forza Italia in mezzo e Sel a sinistra. Tutte forze in competizione che non hanno grande interesse a fare fronte comune. Il capogruppo del Pd, Luigi Zanda, sta facendo ricorso alla sua lunga esperienza politica per cercare di ottenere un sostegno di “rinforzo” provvedimento per provvedimento. Ma quando il governo pone la fiducia non può pensare di chiedere un soccorso esterno.

Infine il presidente del Consiglio può calare sul tavolo una carta a sorpresa: la spinta per la formazione di un gruppo unitario degli ex grillini espulsi dal Movimento 5 Stelle. Il voto favorevole del senatore Luis Orellana sul Def ha salvato il governo su una misura di vitale importanza. E soprattutto ha dato un’indicazione sul futuro. Come a voler dire: l’eventuale rottamazione della legislatura è solo nelle mani del Rottamatore per antonomasia.

TAG: governo, Jobs Act, Matteo Renzi, politica, senatori
CAT: Governo, Partiti e politici

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