Agenti, Promotori e Venditori: i coach degli Smart Worker
Di seguito un contributo di Annalisa Aceti. Annalisa da anni si occupa di reti commerciali: oggi è Direttore Commerciale di Rizzoli Education all’interno del Gruppo Mondadori.
In questi mesi di pandemia e lockdown a ripetizione il tema del lavoro “a distanza” sta assumendo una rilevanza che non è solo organizzativa tecnologia ed economica ma anche sociale: da un giorno all’altro, milioni di persone sono state costrette lavorare “da casa” e lo Smart working occupa grandi spazi nelle riflessioni degli esperti di HR e processi organizzativi con migliaia di ricerche a riguardo.
Si parla di nuovi modelli, nuovi paradigmi organizzativi che si basano sul valore dell’inclusività. Le persone diventano centrali e strategiche. Ora, per una impresa, è protagonista non solo chi fruisce di un servizio o prodotto ma anche l’individuo che li produce (employee as a client). Improvvisamente è cambiato il punto di vista: la persona è al centro e le organizzazioni stanno cambiando rapidamente sulla base di spinte molteplici, e in taluni casi irreversibili, puntando su una strategia di Employee Experience, per far vivere ai propri dipendenti una esperienza digitale, sociale e ambientale distintiva e attraente.
Il lavoro agile piace e conquista quasi tutti; per cogliere appieno i suoi vantaggi e quelli offerti dalle nuove tecnologie occorre sviluppare la “Smart attitude”, ovvero sviluppare senso di appartenenza, fiducia e responsabilizzazione verso obiettivi aziendali personali e di gruppo. Gli Smart worker sono lavoratori “dipendenti” che godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro.
Il diffuso ricorso allo Smart Working e l’innovazione digitale stanno rendendo i confini delle aziende molto meno definiti e più porosi. Le relazioni tra “interno” ed “esterno” stanno cambiando. La differenza tra i dipendenti e i consulenti esterni (Agenti, Promotori, Venditori) è sempre più labile, e i ruoli si capovolgono. Vediamo perché.
Punto primo: per lo Smart working servono:
· smart people, risorse qualificate e aggiornate durante tutta la loro vita lavorativa;
· passare dalla cultura del controllo delle prestazioni (risalente alle teorie di inizio Novecento di Frederick Taylor) a quella del monitoraggio dei risultati e della fiducia
· un “accordo” tra azienda e lavoratore, improntato sulla responsabilità e l’organizzazione autonomia del lavoro per aggiungere gli obiettivi fissati e promuovere la crescita dell’azienda.
Dunque se prendiamo qualsiasi tipo di “contratto” tra una azienda e un Agente di Commercio o un Promotore (anche firmato 30 anni fa) scopriamo che l’oggetto dell’ “accordo” si basa proprio sulla promozione della crescita del valore dei clienti o della zona a lui affidati, sul raggiungimento degli obiettivi, sull’obbligo a formarsi e tenersi aggiornato e sulla fiducia reciproca tra Agente e Preponente, tutto senza nessun obbligo di recarsi in azienda o in ufficio, con piena autonomia nella gestione del tempo e dello spazio.
Punto secondo: con lo Smart working cambiano i paradigmi dell’organizzazione del lavoro fino a ieri ancorata a logiche novecentesche (orario, cartellino, scrivania, straordinari) e cambiano le metriche che misurano l’efficienza di un lavoratore: da valutazioni legate ai tradizionali KPY (Key Performance Indicators) a una misurazione basata sui Kbi (Key Behavioral Indicators) ovvero la padronanza di strumenti come la capacità di comunicazione e di collaborazione e l’attitudine al problem solving: tutto quel bagaglio di competenze che rientra nella categoria delle soft skills.
E anche in questo caso, se sfogliamo libri degli anni ’90 di auto-formazione dedicati ai ruoli commerciali quasi tutti i capitoli trattano le soft skills. E sulle soft skills si basano i corsi di formazione che le aziende “commerciali” commissionano da sempre alle società di consulenza specializzate nell’area Sales.
Negli anni sono state proiettate una serie variegata e lunghissima di slide sulle competenze “emotive e comunicative” nelle giornate di training alle reti di Vendita.
Fino a poco tempo fa i programmi di formazione sulle “competenze trasversali” erano dedicate quasi esclusivamente alle reti Commerciali. Ora la necessità di lanciare un processo così radicale di trasformazione sta richiedendo in modo continuativo rinforzi esterni dedicati questa volta ai “dipendenti” attraverso progettisti, designer organizzativi, formatori di competenze e coach. Sulle piattaforme HR spuntano corsi di Comunicazione positiva e assertiva, Gestione dello Stress, Neuro Management e stili emotivi, competenze che ogni “bravo” Promotore, Agente, Venditore ha innate.
Punto terzo: con lo Smart working la sede del lavoro non è l’ufficio ma ovunque, ebbene le persone che lavorano nell’area commerciale (Agenti, Venditori, Area Manager) per la maggior parte non hanno come sede di lavoro l’ufficio e da molto prima del Covid gestiscono con efficacia l’equilibrio tra vita professionale e vita privata (work – life balance)
Nell’era della digital transformation e dello smart working le competenze verticali devono essere affiancate da competenze orizzontali e per fare questo ci viene incontro il concetto di Open Innovation: un paradigma di innovazione secondo cui le imprese non devono ricorrere solo all’utilizzo di risorse interne ma anche a strumenti e competenze che provengono dall’esterno, a forme di collaborazione non ovvie che possano offrire conoscenze, idee, competenze e informazioni non convenzionali e inaspettate.
Per potenziare le “soft skills” dei propri dipendenti, le Aziende possono trovare competenze e collaborazioni “esterne” nelle loro Reti Commerciali, affidando alle migliori risorse “Sales” anche un ruolo di Open Innovator e dare un valido sostegno ai lavoratori “dipendenti” nel processo di cambiamento in atto.
Gli Agenti, i Venditori e chiunque si occupi di promuovere l’azienda sul territorio, per mestiere, ha a che fare tutti i giorni con resilienza, flessibilità, gestione emotiva, lavoro per obiettivi.
Se prima nei Meeting, nelle Convention e negli incontri di formazione con i Canali di Vendita sul palco c’erano i “dipendenti” a motivare, a formare, a condividere best practice, ora proviamo a fare il contrario, diamo il microfono, diamo voce ai “commerciali”. Utilizziamo il “flipped learning”: e iniziamo ad organizzare “aule” capovolte in una logica di sapere collaborativo in cui sono gli Agenti e i Venditori a formare i dipendenti. Si possono generare ipotesi interpretative alternative, introdurre prospettive diverse e trasversali. Agenti, Promotori e Venditori possono essere “Ambassador” di quei valori e quelle competenze necessarie nel “next normal” in cui la persona è al centro.
Con i metodi del “design thinking”, “accelerate Talent experience”, o “Circle” – approcci che puntano su diverse soluzioni creative sul risolvere un problema osservandolo da un punto di vista diverso insolito – si sviluppa il pensiero laterale e si fa circolare, condividendo attraverso la creatività, la conoscenza ed il talento delle persone.
Oggi, nelle aziende che vogliono avere successo, è più che mai è fondamentale instaurare un dialogo tra interno ed esterno nella consapevolezza che non ci sono luoghi esclusivi di produzione del sapere e costruire strade semplici e informali in cui far viaggiare idee inattese.
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