La lezione di Bensoussan: “L’islamofobia non esiste, il razzismo anti-Arabo sì”

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24 Novembre 2016

Densa e profonda conferenza quella dello storico Georges Bensoussan, ieri sera alla Scuola ebraica di Milano, su “il nuovo antisemitismo e il futuro degli ebrei d’Europa”. Una lunga analisi della grave crisi europea, francese in particolare, che ha tra gli aspetti più preoccupanti la terribile realtà delle comunità ebraiche minacciate dalla nuova ondata di intolleranza e antisemitismo (in Francia è appena stato pubblicato il suo L’histoire confisquée de la destruction des Juifs d’Europe).

Dice a un certo punto Bensoussan, uno dei massimi studiosi della Shoah e del pregiudizio antiebraico nonché responsabile editoriale del Mémorial de la Shoah di Parigi, «l’islamofobia non esiste». Secondo lui, uomo di sinistra, sbagliano la gauche europea e molti media ad agitare uno spettro inesistente. Rimango colpito dalla sua affermazione, forse perché anche io ho spesso sottolineato il pericolo di una deriva islamofobica negli slogan e nel sentire dei populismi odierni. Bensoussan si spiega: in sostanza, afferma, in un Paese laico è più che lecito criticare una religione e/o molti aspetti di una fede, si può farlo con l’islam, con il cristianesimo, con l’ebraismo, con il buddismo eccetera. Ecco che cosa vuol dire, penso io, l’essere cresciuto in una cultura nazionale veramente e profondamente laica! Dal punto di vista filologico il suo argomentare non fa una piega, però non mi convince fino in fondo.

Allora, gli chiedo, che termine userebbe per indicare il pregiudizio, la crociata carica di odio nei confronti dei musulmani tout court agitata quotidianamente da trumpisti, lepenisti, leghisti e fascistoidi di ogni genere? «Semplice», è la risposta, «razzismo anti arabo. Questo è razzismo bello e buono e va denunciato e combattuto». Di nuovo: non fa una piega. Eppure non sono convinto. Noi, se non sbaglio, chiamiamo antisemitismo il pregiudizio e la “critica” nei confronti dell’ebraismo. O no?

Credo sia un tema su cui meditare con attenzione. Perché ci interroga su dilemmi dirompenti: che cosa sia la laicità, che fare con l’islamizzazione del radicalismo e del terrorismo, come rispondere e sconfiggere le paure che portano consenso e voti ai vari Salvini&C.

E non sono domande da poco, dalle risposte che sapremo dare dipende il nostro futuro di mondo democratico e civile.

TAG: antisemitismo, Georges Bensoussan, razzismo
CAT: Integrazione, Religione

Un commento

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  1. korbman 7 anni fa

    Non stiamo parlando di religioni: quelle che si confrontano sono della diverse identità, identità “di massima” e identità “di minima”. Non che questo semplifichi il problema. Come si conciliano fra di loro?

    L’interazione fra due Identità è un fenomeno complesso, ma esiste. Tipicamente, va regolato. Il gruppo di massima non solo ha il diritto, ma ha anche il dovere di stabilire un percorso, dei paletti, una possibilità di accettazione: tu ti comporti così, possiamo convivere. In America, terra di immigrazione, i nuovi arrivati venivano fermati ad Ellis Island e sottoposti ad un esame di lingua e di cultura locale; nella mia tradizione, era chiamato il “mishighine test”, il test da matti. Chi superava l’esame restava, chi falliva veniva rimandato indietro. D’altro canto, anche il gruppo di minima deve darsi delle regole. L’Ebraismo, nella sua lunga diaspora, ha ufficializzato la prevalenza della legge del posto sulle consuetudini tradizionali: sempreché non si andasse contro l’Halakhà. Patti chiari, amicizia lunga. Purtroppo, non è così semplice.

    I patti di chi recepiti da chi. Il Papa è per il “tutti dentro”; anche Alfano, in misura ridotta. Quando questi criteri arrivano alle periferie, ai Comuni che devono ospitare i migranti, vengono rigettati e provocano ribellioni: contro i migranti, lo Stato, la Chiesa. Sono sbagliati i patti, è sbagliata la gente? La gente è sospettosa nei confronti di qualsiasi cambiamento. I migranti, tipicamente, vogliono vivere decentemente senza dare fastidio a nessuno; tuttavia, le seconde generazioni non si integrano, le aree di disagio allevano terroristi, alcuni Imam chiamano all’orgoglio identitario e all’odio nei confronti degli infedeli.

    Altro elemento di instabilità: le variazioni demografiche. In prospettiva, la maggiore fertilità dei migranti porta alla conquista della maggioranza e quindi al predominio ideologico; specularmente, cresce il timore degli “occupati”. Il gruppo di massima vede con terrore la possibilità di diventare gruppo di minima. L’alternativa è l’Apartheid, la divisione fra Spartiati ed Iloti.

    Il confronto identitario mette in gioco ciò che è giusto e sbagliato per ciascheduno: sia da parte del gruppo di massima che da parte del gruppo di minima; e le sensibilità in merito sono le più diversificate, a partire da tutte le altre (minori) identità a cui apparteniamo: familiari, sociali, lavorative, etniche, politiche. E’ sbagliato un certo vestito, una certa sessualità, un certo comportamento, una certa legge. Cresce la reciproca insofferenza.

    Ancora: vale l’estraneo percepito più che l’estraneo reale. Per tutto il Medio Evo, gli Ebrei erano ritenuti colpevoli dell’Omicidio Rituale. I Tedeschi di Hitler erano davvero convinti di essere vittime del Complotto Ebraico Mondiale. I migranti di Salvini non sono quelli di Bergoglio. Specularmente: a me migrante spettano i soldi e la vita comoda che altri migranti mi avevano garantito, se non me li volete dare vuol dire che ce l’avete con me.

    Siamo allora condannati a farci guerra l’un l’altro? Forse no. Semplicemente, i “patti chiari” non sono sufficienti. E’ necessario un percorso di mediazione che identifichi di volta in volta le parti in causa, i problemi, le possibili soluzioni. E’ soprattutto necessario che questo percorso di mediazione sia considerato, sofferto, finanziato. Che entri nella mentalità comune. Non è una soluzione attraente: infatti, con la mediazione giusta, non vince nessuno; tuttavia, senza di essa, perdono tutti.

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