Leaks improbabili e sicure bugie: le tante prese per i fondelli d’Europa

26 Maggio 2015

Uno spettro si aggira per l’Europa: l’“abbocco”. A scanso di equivoci geografici e generazionali, ricordiamo che “fare un abbocco” significa fare uno scherzo a un insieme di creduloni: i boccaloni che ci cascano, appunto. Ora, nell’Europa che sta tra il Brexit ed il Grexit pare che le diplomazie politiche ed economiche si confrontino usando le uscite di informazioni come vere e proprie munizioni. Sarebbero operazioni di “intelligence” in un’Europa normale, ma in un continente con questa classe politica si tratta più che altro di burle: pistole ad acqua, più che munizioni vere.

In questo tipo di operazioni, è recentemente balzata in testa la Banca d’Inghilterra, con la fuga di una mail che invece di andare a un gruppo di dirigenti è finita alla redazione del Guardian. L’oggetto, un progetto di lavoro sulle conseguenze del Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea che verrà sottoposta a referendum nel 2017. Nei giornali di tutta Europa la notizia della mail segretissima è uscita accompagnata dalle preoccupazioni per i mercati finanziari, la sterlina, il futuro della City e così via, fino al punto che ognuno di noi si è chiesto se in Inghilterra non ci sia un’epidemia di masochismo. Poi uno riflette che forse, anzi quasi sicuramente, quella mail non è scappata da sola, ma è stata accompagnata, neppure tanto sapientemente, nelle braccia del Guardian. In primo luogo, la probabilità che la segretaria di un pezzo grosso della Bank of England tenga in evidenza la mail del Guardian ha una probabilità vicina a zero. In secondo luogo, voi cosa le fareste? “Così la impiccheranno con una corda d’oro, è un privilegio raro”, diranno i miei colleghi del culto di De André. E invece niente, solo un comunicato che avverte che a tempo debito, la Banca d’Inghilterra renderà noto cosa le pare. E intanto, come nei film giudiziari in cui viene detto alla giuria di ignorare qualcosa su cui è stata posta obiezione, l’opinione pubblica inglese, ed europea, è stata comunque informata delle preoccupazioni della Banca d’Inghilterra sulle prospettive di un’uscita dall’UE.

Poi ci sono le notizie che cercano di uscire, ma vengono riprese, sedate e soppresse. E’ il caso Dijesselbloem, lo spilungone presidente dell’Eurogruppo, e del suo master all’università di Cork. Nell’aprile del 2013 si diffuse la notizia che nel curriculum del politico olandese compariva un master nell’università irlandese, che invece non aveva riscontro. Il caso venne ricacciato nell’ombra con l’intervento della BEI, dove il cv giaceva, che disse che il cv di Dijessenbloem era stato formato “a sua insaputa”, come diremmo in Italia, e che l’olandese aveva fatto ricerca nel campo “Food Business”, ma non era arrivato al titolo. Su questo ci sentiamo di spezzare una lancia a favore del politico olandese, anche perché un Dijesselbloem che millanta un master a Cork è come Antonio Razzi che millanta un titolo alla Scuola Radio Elettra: è materiale da Crozza, roba di cui ridere più che indignarsi. Ciò che colpisce è che la stampa non abbia trovato degno di infamia né di lode che un politico con una preparazione simile abbia affrontato, e stia ancora affrontando la partita decisiva per l’Europa. Per uno che ha studiato “Food Business” per due anni a Cork, ne ha fatta di strada. Leggo sul profilo Wikipedia che è stato lui che si è occupato della crisi di Cipro, ma prima ancora è stato il protagonista di un caso ormai noto tra gli specialisti del rischio di credito: il salvataggio di SNS Reaal, banca olandese. Il brillante olandese ha espropriato azionisti e obbligazionisti. Per gli azionisti, niente da dire, ma la cosa carina è che gli obbligazionisti che si erano assicurati contro il default con i CDS, sono rimasti con un palmo di naso: un esproprio da parte del governo non era proprio previsto tra gli “eventi di credito”. Per questo, a partire dal 2014 l’ISDA (International Swap Dealer Association) ha dovuto emendare gli eventi di credito dei CDS per tener conto della trovata del vecchio studente di Cork: “Government credit event”.

Davvero niente male, e chissà cosa avrebbe potuto fare un gigante come questo nel campo del “Food Business” se non avesse interrotto prematuramente gli studi. Ma facciamocene una ragione, ora si occupa di smascherare di fronte alla stampa il ministro greco Yanis Varoufakis come “dilettante” e perditempo. Anzi, i virgolettati della riunione di Riga riportano l’accusa di “non fare interventi, ma vere e proprie lezioni”, e questo per uno che ha mollato gli studi è davvero troppo. E questo ci porta a Varoufakis, lui accusato del vizio opposto: quello di dire tutto, di quello che ha detto lui, e di quello che hanno detto gli altri. Questo per i padroni della politica e dell’economia europea è un crimine. Anche il mio maestro, Mario Draghi, ha rimproverato Varoufakis di parlare troppo, e su questo da lui mi dissocio. L’idea è che si allarma il popolo, anche se nel popolo c’è qualcuno che gli studi li ha portati a termine. Poi, la commedia è diventata farsa quando Varoufakis ha annunciato che aveva registrato il summit di Riga. Altre notizie pronte a prendere il volo e gettare escrementi a destra e manca. Tutti avremmo scommesso su una risposta come: “so what?” Invece, apriti cielo e spalancati terra. Si è creato un clima di paura come se si stessero per scatenare gli spiriti e i demoni dell’inferno, come se la riunione di Riga fosse la scuola di magia dei film di Harry Potter.

Ma perché le  registrazioni di Varoufakis fanno tanto paura all’élite, alla crema dell’Europa? Perché è tanto pericoloso che quelli di noi che fanno parte del popolino, che studia e lavora (se è scampato alla peste), siano ammessi a conoscere i misteri degli “interna corporis” dell’Europa? Se escludiamo che a Riga si facessero gli scherzi, la risposta deve essere scelta tra la necessità di evitare la paura e quella di nascondere la vergogna di fronte ai propri governati. La paura ha debordato comunque, e ritengo che un’operazione di trasparenza avrebbe potuto solo ridurla, o almeno contenerla. Io scommetto sulla necessità di evitare la vergogna, e sullo scostamento tra quello che si dice in casa propria e quello che si fa in Europa. L’Italia su questo dà l’esempio. Poco tempo fa il Financial Times ha riportato un resoconto della riunione dell’Eurogruppo di febbraio, una delle prime della crisi greca, in cui ho scoperto che il primo a prendere la parola contro la Grecia, dopo le parole concilianti del ministro delle finanze francese, è stato il nostro Padoan. Di questa notizia mi sono vergognato tre volte. Mi sono vergognato come italiano, perché dall’Italia è nata ancora prima che nascessi l’idea vera dell’Europa; mi sono vergognato come uomo di sinistra, che ha mandato in Europa un rappresentante a fare il lavoro sporco contro la sinistra di un altro paese; mi sono vergognato come economista, perché di fatto un mio collega ha chiesto di mantenere un programma che allora prevedeva un surplus primario superiore al 4%, un’assurdità anche per uno studente del primo esame di economia. Ma questi siamo noi, gli italiani: nell’ordine, don Abbondio, Maramaldo e Balanzone. E poi c’è Pinocchio, che dopo tutto questo rilancia, sui giornali, con una nuova campagna dal titolo che alla luce di tutto questo non può fare che ridere: “L’Europa dal basso”. Ma niente paura e neppure niente speranze. Sono solo parole, e notizie che volano. Vere o false, fuggite per forza,  soppresse o minacciate. Per i fatti, forse l’Europa aspetta il ritorno della società civile.

TAG: Brexit, europa, grexit, informazione
CAT: Istituzioni UE, Politiche comunitarie

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