Tra parola e immagine: il ponte creativo della metafora

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18 Ottobre 2021

Il titolo di questo articolo riprende, in forma sintetica, quello più esteso della tesi di Jacopo Ghislanzoni* Tra parola e immagine: il ponte creativo della metafora nell’interpretazione dell’interazione sociale che ho seguito lo scorso anno e che ha portato a un approfondimento interessante di questo tema, sul quale è utile ricondurre l’attenzione alla luce dell’uso/abuso di metafore nella comunicazione contemporanea, anche in riferimento alla situazione che si avvia, lentamente, a essere post-pandemica.

Il termine “metafora” deriva dal verbo greco “μετάφέρω”, con l’accezione di «trasporto, porto da un’altra parte, porto oltre»; in effetti, la metafora è codificata come figura retorica di significato (figura semantica o tropo) e, in quanto tale, riguarda appunto lo spostamento di significato che un vocabolo può assumere: essa sostituisce il termine che normalmente ci si aspetterebbe in una frase con un altro, la cui sfera semantica va a sovrapporsi per analogia a quella del vocabolo sostituito, creando immagini di forte carica espressiva; la sua portata analogica non è però sempre immediata o facilmente intuibile e infatti, in alcuni manuali, la metafora viene catalogata tra le figure retoriche di pensiero, poiché richiede un passaggio mentale di decifrazione.

Ripercorrendo brevemente la sua storia, occorre menzionare alcune tappe fondamentali che, più che una funzione cronachistica, consentono di comprendere la progressiva e necessaria fuoriuscita di questo strumento della lingua dall’ambito puramente stilistico verso usi e connessioni interdisciplinari, che meglio si prestano a descriverne la portata. Nell’Institutio Oratoria, Quintiliano (35 d.C – 96 d.C) la definisce come similitudo brevis; grazie a Gian Battista Vico (1668 – 1744) avviene il riconoscimento della sua funzione conoscitiva e creativa; con Max Black (1909 – 1988) e la sua view theory vengono rinvenuti nella metafora due elementi: il focus (espressione metaforica) e il frame (la cornice dell’enunciato), che interagiscono tra loro creando un surplus cognitivo. La svolta negli studi sulla metafora avviene però negli anni Ottanta del secolo scorso con il saggio Metaphors We Live By di Mark Johson e George Lakoff, che creano una gerarchizzazione tra linguistica e concetto, conferendo a quest’ultimo una posizione prioritaria: «La metafora è in primo luogo una questione di pensiero e di azione e solo in modo derivato una questione di linguaggio». La metafora smette definitivamente di essere un semplice artificio estetico-retorico e inizia a essere considerata come impalcatura dell’immaginalità, un ponte creativo tra parola e immagine: Umberto Eco, ad esempio, la descrive come «un’immagine dell’ingegno».

In virtù proprio della sua capacità di porre in stretta relazione l’elemento verbale con quello visuale, la metafora viene largamente utilizzata nella comunicazione pubblicitaria e, più in generale, in tutte quelle forme comunicative finalizzate a indurre un comportamento di acquisto, a modificare un atteggiamento sociale o personale, a creare/cambiare un pensiero. Come ben evidenziato da Gerald Zaltman, gran parte di queste condotte sono legate all’inconscio e, quindi, alla sfera emotiva, su cui la metafora va ad agire prepotentemente, considerato anche il suo largo uso nella lingua della Rete, in cui le figure retoriche di suono, costrutto e significato, mutuate soprattutto dal linguaggio poetico, giocano un ruolo rilevante. A questo si aggiunge l’abilità della metafora, se ben costruita, di creare nella mente di chi la fruisce immagini fortissime, in grado di condizionare e di essere ricordate: non a caso, Arthur Miller parla di «metafora come motore dell’immaginazione».

La metafora, pur riferendosi a un universo culturale e valoriale condiviso, è in grado, per le sue caratteristiche, di fare affiorare il pensiero e i sentimenti personali più importanti di ciascuno, che altrimenti non passerebbero dallo stadio di inconsapevolezza a quello di consapevolezza; accanto, dunque, alla peculiarità di connettere parola e immagine, la metafora fa convergere sfera intima e sfera sociale nei processi di decodifica che il soggetto è chiamato di volta in volta a dovere mettere in atto per poterla interpretare.

Perché la metafora sia efficace, la sua costruzione deve muoversi tra due criteri fondamentali: da una parte quello della creatività, dal momento che l’uso e abuso di metafore costringe a trovare soluzioni innovative e a battere terreni vergini, di modo che questa figura retorica possa conservare la sua potenza immaginifica e il suo effetto di straniamento percettivo in cui inserire il messaggio e che consente di parlare di metafora «come seme dello stupore»; dall’altra la comprensibilità ovvero la necessità che il collegamento analogico sia intuibile dal potenziale gruppo di riferimento al quale ci si rivolge, tramite rimandi a un universo semantico e valoriale conosciuto, per non correre il rischio che la metafora si svuoti del suo potenziale e che rende, allora, la comprensibilità «la culla della chiarezza». In altre parole, l’obiettivo deve essere quello di ideare metafore diverse da quelle già adoperate e sentite più volte le quali, perdendo in potenza immaginifica e carica emotiva, più difficilmente porterebbero i fruitori ad assumere atteggiamenti differenti e, allo stesso tempo, capaci di attenersi a un sapere condiviso, non eccessivamente sofisticato o di nicchia, per evitare di lasciare indifferente o attonito il target.

Come Ghislanzoni rimarca, il predominio iconografico insieme al logocentrismo atavico trova un’inaspettata soluzione proprio nella metafora: la figura retorica di pensiero che, assurgendo a «immagine verbale» (Rigotti 2014), è in grado di edificare un ponte creativo tra visione e nome e fungere da impalcatura per l’immaginalità; da qui, dai costrutti presenti nella nostra lingua di cui, spesse volte, il linguaggio poetico estrinseca le potenzialità, occorre partire per creare una nuova comunicazione, che riponga al centro il soggetto, non come possibile consumatore o generico destinatario bensì come essere umano.

 

 

*Jacopo Ghislanzoni (Varese, 1998) ha conseguito nel 2020 la laurea triennale in economia presso l’università Carlo Cattaneo, discutendo una tesi dal titolo Tra parola e immagine, la metafora come ponte creativo nell’interpretazione dell’interazione sociale. Attualmente segue il percorso specialistico in economia nella medesima università dove approfondisce temi legati all’universo technicolor del marketing.
Durante il periodo universitario si dedica a diverse attività parallele intervenendo nel 2017, come ospite, alla tavola rotonda “I giovani e il lavoro, Il futuro è già oggi”. Nello stesso anno, insieme al proprio team, partecipa al progetto SUNRISE e con il dispositivo medicale Drippy si classifica al primo posto. Nel 2018 viene invitato al festival “Arte e Stelle” di Samarate dove scrive e recita un monologo dedicato a Sadako Sasaki. A giugno 2018 entra a far parte della comunità globale TED in veste di traduttore volontario.

TAG: Arthur Miller, Gerald Zaltman, immagine, Jacopo Ghislanzoni, Metafora, Parola
CAT: Letteratura, Media

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