Antonio Pennacchi è stato molto di più di uno scrittore italiano dedito ai talk show politici. Non ha solo scritto ottime pagine di letteratura e battibeccato con politici di tutti i colori, ma ha rappresentato una delle voci più anticonformiste del panorama italiano, in perenne contrasto con il resto del mondo.
Spirito di eterno brontolone, proveniente da una famiglia operaia nella Latina degli anni ‘60. Malgrado le scarse risorse, tutti i 7 fratelli sono riusciti a portare a termine gli studi, producendo punte di eccellenza come il fratello maggiore, Gianni, cronista parlamentare, e la sorella Laura, economista e deputata DS. E poi Antonio, operaio alla Fulgorcavi, azienda della sua città, reinventatosi scrittore durante un periodo di cassa integrazione. Da quell’esperienza nacque Mammut, romanzo che narra la vita nello stabilimento. Qui l’autore porta alla luce tutte le potenzialità di una scrittura fluida e gergale, che si mimetizza con l’ambiente raccontando aneddoti.
Il romanzo più noto è il Fasciocomunista. Racconto in gran parte autobiografico, in cui ripercorre il rapporto complesso con il fratello tra scontri infiniti e rispetto reciproco, cambiamenti di visione politica, l’immagine di una Latina vitale, piena di fervore giovanile e di lotta di classe. Il successo è dovuto a Mio fratello è figlio unico, trasposizione cinematografica di Daniele Luchetti, film godibile con Elio Germano nei panni di Antonio e Riccardo Scamarcio in quelli di Gianni.
Al film mancano quegli aneddoti che rendono memorabile la scrittura di Pennacchi, tra politicamente scorretto e siparietti nonsense. Ad esempio, quando la fede politica del protagonista Accio pende per la sinistra extraparlamentare, si fa strada l’idea di modificare dall’interno il Partito Comunista. Accio e i suoi amici non comprendono questa scelta, perché se l’obiettivo è quello di modificare la politica, si deve partire dai luoghi del potere. Decidono quindi di praticare l’entrismo nella Democrazia Cristiana. Uno di loro, grazie all’abilità acquisita nel tempo, riesce a farsi eleggere segretario di sezione.
In questi aneddoti c’è il sale della poetica di Pennacchi, l’uomo per cui scrivere era una missione. Aveva bisogno di raccontare storie che gli altri non volevano sentire perché sporche della fatica di una vita proletaria o perché macchiate da un passato fascista.
Dalle storie marchiate a fuoco con l’epiteto “fascista”, nasce il racconto corale di Canale Mussolini, il suo romanzo migliore. Racconta una saga familiare contadina, sorta di Buddenbrook alla rovescia. Tanto colti e predestinati erano i commercianti di Lubecca, quanto sporchi e privi di speranze sono gli agricoltori veneti. La loro fortuna fu quella di trasferirsi nell’agro pontino bonificato dal regime, per poter coltivare la propria terra.
Lo scrittore di Latina ricordava al ceto intellettuale italiano che essere fieramente antifascisti non significa essere aprioristicamente contro tutto ciò che è stato prodotto nel ventennio. Pure un regime terribile come il fascismo ha avuto un impatto positivo su alcuni strati della popolazione povera. Perché non raccontare questa parte della storia?
Ma alla narrativa, ho sempre preferito la saggistica dell’autore. Riusciva come nessun altro a esporre tesi mai banali, con un linguaggio da bar che le rendeva comprensibili a chiunque. Fascio e martello – Viaggio tra le città del duce, è un piccolo capolavoro. Raccolta di articoli apparsi su Limes, in cui l’autore esplora le varie città di fondazione per comprenderne la natura e soprattutto la funzionalità. Antonio Pennacchi, da buon bastian contrario, non poteva certo amare l’EUR, luogo felliniano per eccellenza, o Sabaudia, tanto amata da Pier Paolo Pasolini.
Non preferiva il bello, ma il funzionale. Comprendeva in pochi istanti se una città o un paese prendeva vita dal puro gusto estetico o dall’abitabilità. Sicuramente amava la sua Latina, la città più grande, quella che il Duce non avrebbe mai voluto costruire perché temeva la concentrazione delle persone. E adorava altri luoghi come Tresigallo, nel polesine. La frazione in provincia di Ferrara rappresenta uno dei casi in cui il regime aveva raggruppato i contadini derelitti e distribuito loro le terre. L’esatto contrario di Pienza, dove il Papa si era costruito un palazzo dorato impoverendo i contadini della val d’Orcia. Così, lo scrittore tuonava di portare via i turisti da Pienza per condurli a Tresigallo!
L’ultima opera che vorrei menzionare è Le iene del Circeo, il mio libro preferito. Qui l’autore si addentra con i suoi ricordi e con il suo tono graffiante in un dibattito accademico. Cosa significano i resti del cranio dell’uomo di Neandertal (scritto così nel libro) trovati nella grotta Guattari, ai piedi del Circeo? Sono il risultato di un uomo morto per l’aggressione di una iena, come sostengono gli accademici americani, o di un culto funebre? L’autore usa la sua scrittura, più che convincente, per sostenere la seconda ipotesi, ipotizzando un antenato capace di elevarsi a una rappresentazione della realtà ben più complessa di quanto gli è riconosciuto. Arricchiscono il testo spunti sul massacro del Circeo, la giovinezza dell’autore e il personaggio di Ajmone Finestra, il Federale missino, Sindaco di Latina negli anni ’90.
Il libro è specchio della mente complicata dell’autore, che ricerca una verità confusa e sempre in controtendenza, amante di una politica fatta di valori e di rispetto per la cultura e per le persone, contrapposta all’interesse per il denaro e per il potere. Mai convenzionale, sempre scomoda e arrabbiata, la scrittura di Antonio Pennacchi non smetterà di rimarcare l’importanza del politicamente scorretto. Non certo inteso come l’umiliazione dell’avversario propagata dalla destra moderna, ma come capacità di pensare in modo non convenzionale e di battersi per le proprie idee, utilizzando ogni arma a propria disposizione, a cominciare dalla lingua, parlata o scritta.
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