La musica bisestile. Giorno 102. Thelonius Monk

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25 Ottobre 2018

MONK’S DREAM

 

Mio papà ama John Steinbeck e possiede una collezione di tutti i suoi romanzi. Io ho cominciato a leggerli verso i 12 anni e ci ho trovato un mondo straordinario, di comprensibile povertà e sopraffazione, di una scanzonata desolazione. Quei romanzi hanno contribuito in modo decisivo ad insegnarmi ad odiare l’America, il posto in cui, se sei per bene, ti ammazzeranno senza pietà, se ti va bene, o si accontenteranno di distruggere la tua anima con un ipocrita perbenismo che nasconde appena un’inesausta sete di violenza inestinguibile, una barbarie ignorante e paleolitica, condita di tutta una serie di fiabe sulla democrazia, la libertà, l’uguaglianza, in cui fare carriera sui cadaveri di tutti coloro che ti stanno attorno si tinge di un’atmosfera di avventura positiva, in cui il fine giustifica i mezzi, sempre.

“Monk’s dream”, 1963

Uno dei miei romanzi preferiti è “L’inverno del nostro scontento”, in cui un commesso cerca disperatamente la via per il successo e finisce, ovviamente, ad affogare nel proprio sangue. In quel romanzo sono citati due brani, “On the corner” e “Round midnight”, che ovviamente nessuno ha mai composto, erano solo invenzioni letterarie. Ma io ero talmente impressionato da quel romanzo da cercare quei titoli, e verso i 20 anni giunsi a Thelonius Monk, che mi venne presentato come una sorta di studente pazzo di Dizzie Gillespie, che, sinceramente, ho sempre trovato troppo affettato. Comprai alla cieca (mi piaceva la copertina) questo disco, che è il suo esordio alla CBS ed alla collaborazione con Teo Macero, e ricordo che ne rimasi fulminato.

Io, che adoravo Gerry Mulligan e John Coltrane, ho scoperto che il bebop poteva essere molto di più che scolastico zampettare tra le note, che esistesse una profondità senza troppi fiati, fatta di un piano suonato con una cisposa facondia, un barbone barbuto che, uscito dai bassifondi perduti di una città superflua, riuscisse a restituire geometria ed ordine al caos, mettendo in fila i motivi della ricostruzione senza tirarla per le lunghe e senza nessuna affettazione. Anzi, a volte, in mezzo a complesse perifrasi, ci cogli alcuni trilli di semplicità quasi infantile, dissonanze consuete, familiari, amichevoli.

Dopodiché ho ascoltato tanto del suo, ma quel disco, per me, rimane un miracolo insuperabile, che vi presento, integrandolo con quella “Round Midnight” che fu la chiave di entrata, per me, per il suo meraviglioso universo. Forse, al primo ascolto, vi sembrerà difficile. Annegateci dentro, fidatevi.

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CAT: Musica

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