La musica bisestile. Giorno 2. Claudio Lolli

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6 Settembre 2018

La sconfitta del sogno comunista è anche la sconfitta di tante persone, che in buona fede e con tutte le complessità del cuore e della mente d’artista, hanno fatto di quel fallimento generazionale la propria, personale disfatta

HO VISTO ANCHE DEGLI ZINGARI FELICI

 

Il 21 gennaio 2021, 97 anni fa, a Livorno nasceva il Partito Comunista Italiano. Nasceva con un documento di 10 punti, che servivano a caratterizzare la differenza profonda tra il nascente PCI ed il corpo, che di questi era la costola: il Partito Socialista. Quel giorno, visto dalla nostra prospettiva, è un giorno infausto per la sinistra italiana. Con “sinistra” intendo una forza di pensiero che abbia come scopo abbattere il più possibile le differenze all’interno della società, garantendo a ciascuno uguali chance, e facendolo basandosi su un moto di solidarietà sociale, e non di costrizione. Il PCI, invece, nacque come adeguamento alle regole del Comintern, che chiedevano una militarizzazione del movimento, una centralità decisionale (che sarà poi propria dello stalinismo), in un moto di adesione acritica e per nulla solidale. Aveva un nucleo, che oggi è purtroppo improponibile, che era ed è centrale per cambiare la società. Quello della difesa dello Stato inteso non come amministrazione nazionale, ma come presa di coscienza di classe. Lo Stato, che il PCI vuole difendere, è il proletariato. La sconfitta del PCI è sancita dall’estinzione di questa coscienza di classe, ottenuta con uno scadimento terribile dell’impegno sociale dell’insegnamento, con un incoraggiamento (di grande successo) ad un individualismo esagerato, con la trasformazione delle persone da cittadini a consumatori.

“Ho visto anche degli zingari felici” (1976)

In modo a volte confuso, a volte soprattutto emozionale, purtroppo mai sufficientemente consapevole, negli anni dopo la Seconda Guerra Mondiale coloro che aderivano all’idea marxista cominciarono a disprezzare (giustamente) il PCI, le sue connivenze parallele con la DC e con l’Unione Sovietica, il suo essere intimamente militarizzato, il suo non essere libero – finché Enrico Berlinguer, con grande coraggio, decise chiusa la fase del bolscevismo ed iniziò un percorso che avrebbe dovuto portare il PCI fuori dall’ombra protettrice della DC e dell’URSS. Ma per farlo, Berlinguer rinunciò a quella definizione di “Stato”, che sarebbe dovuta restare centrale per identificare coloro che avevano voglia ed energia per battersi politicamente a sinistra. Trovarsi in strada non fu più un momento di festa e di orgoglio, ma una chiamata militare, o una partecipazione ai funerali delle vittime del regime che DC e PCI accettarono supinamente, perché troppo deboli per opporsi, perché troppi dei loro dirigenti e militanti non capivano la vera posta in gioco. L’unico spiraglio fu la richiesta di un governo di solidarietà nazionale, voluto da Moro e Berlinguer.

Il figlio maggiore di quella situazione fu, a mio parere, il terrorismo di sinistra: ragazzi che, non riuscendo a risolvere in altro modo questa contraddizione, scelsero la lotta armata – e la scelsero dopo l’inizio dei sanguinosi attentati “protetti” da DC, PSI, PCI e MSI, pagati dagli Stati Uniti, tollerati dai Sovietici. In quel momento chiave, la parola sinistra perdeva per sempre di senso. Essere veramente di sinistra, in quel momento, voleva dire lasciarsi morire come il protagonista de “La Locomotiva”. O essere “stanchi di ritrovarsi solamente a dei funerali”. come dice una delle più terribili e belle canzoni di Claudio Lolli. Lui la scrisse tornando da Piazza Maggiore, dopo le esequie per la strage dell’Italicus, nel 1974. Se mai c’è stato un cantautore che, con coerenza, creatività, passione e voglia di mettersi in discussione, sia stato la sostanza dell’essere di sinistra, questo è Claudio Lolli. E questo disco è il suo disco in proposito, anche se “Aspettando Godot”, con “Borghesia”, “Michel” e “Quelli come noi”, conteneva tre capolavori. Gli zingari felici è, musicalmente, un’opera colossale, e dal punto di vista testuale contiene i temi centrali di un dibattito che oggi è ancora più importante e delicato di allora: Il personale è politico. Ovvero, tutto ciò che ci concerne, ha anche una sua valenza ed una serie di conseguenze nella nostra visione politica e nel modo di viverla. “Piazza bella piazza” sul terrorismo di Stato, “Anna di Francia” sull’amore. “Oggi è morta una mosca” sul rapporto col padre, sono cose che ognuno di noi dovrebbe imparare a scuola.

Negli anni successivi Piazza Maggiore si riempì di persone in lacrime per la strage della Stazione di Bologna, poi per quella del Diretto 904. Ma la piazza è sempre la stessa: a Palermo per l’eccidio di Capaci o per le altre stragi di mafia. A Brescia, a Milano, a Roma, ovunque. Gli assassini sono noti. Pier Paolo Pasolini ripeteva “Io so i nomi”, e venne ammazzato. Oggi, invece, non ti ammazza più nessuno, non importa. La coscienza di classe è morta, persino l’individualismo è morto, soppiantato dall’opportunismo, del mignottismo cerebrale, dalla paura, dall’analfabetismo, dal grillismo, dal neofascismo. Gli assassini resteranno impuniti e verranno ancora a parlarci in TV, sorridendo. Ebbene. Io, se fossi un militante Comunista vero, un marxista puro, vorrei che oggi, fra tre anni, fossimo in tanti, a Livorno, a ricordare i morti invano di quell’errore tragico che fu la fondazione del PCI – un’immensa occasione perduta, tradita, irreparabilmente compromessa. Io non sono stanco di mostrare il pugno ad un funerale. Perché stanno morendo la democrazia, la libertà, la consapevolezza, lo spirito di cittadinanza. Ed io, che sono contrario alla violenza, non conosco altro gesto.

Un pugno alzato contro il cielo, che dice di NO. Un pugno come quello di Gaber: contraddittorio, incerto, passionale più che politico. Ma poi mi viene in mente che oggi il mondo si è capovolto: oggli il politico è personale. Conta solo la propria opinione, i fatti sono negati. Se ci sono abbastanza persone che credono agli UFO e pensano che vaccinare i bambini li uccida, modifichiamo in quel senso le leggi. Quindi, alla fine, il mio è un NO pragmatico, non da tifoso di una squadra di calcio. Un NO che sottintende un milione di sì che sono stati proibiti per cento anni e che se non impariamo a dirli, il coraggio di trasformarli in realtà, cancelleranno tutto ciò che avremmo potuto essere dopo la grande occasione del CLN. Cittadini, liberi, con idee diverse, ma un unico impegno. Costruire un’Altra Italia. E non ho paura a menzionare Enrico Mattei accanto al nome di Enrico Berlinguer, di Ugo La Malfa accanto a Piero Gobetti, di Luigi Einaudi accanto ad Adriano Olivetti. Onorando chi, come Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Giorgiana Masi, e mille altri, è caduto perché noi si sia ancora in grado di batterci. E Claudio Lolli, da ultimo, che ci ha lasciato poche settimane fa.

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CAT: Musica

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