La musica bisestile. Giorno 70. Rick Wakeman
THE SIX WIVES OF HENRY VIII
Bruno Versini aveva un padre appassionato radioamatore, che passava molte ore al microfono con il mondo intero e si interessava di tecnologie collegate alla comunicazione ed al suono. Per questo motivo Bruno aveva un Revox a piastre, che aveva il suono più pulito che avessimo mai sentito. E mentre Paolo Dentice mi introduceva alle chitarre degli Uriah Heep ed ai Genesis, Piletta e Lelle mi insegnavano Crosby, Stills, Nash & Young, Bruno amava i tastieristi, e, dopo avermi fatto scoprire “Buddha and the Chocolate Box” di Cat Stevens, io lo convinsi ad ascoltare i Santana, lui riuscì ad appassionarmi con gli album chiamati “Switched on Bach” di Walter Carlos, che suonava musica classica con il moog, e da lì siamo arrivati a questo disco stupendo.
Paradossalmente, io già ascoltavo gli Yes, ma non avevo collegato quella band con questo tastierista. Quando lessi il suo nome pensai invece a “Madman Across the Water”, un bellissimo disco di Elton John, in cui, finalmente, la DJM aveva un budget sufficiente per accostare Reggie Dwight (Elton) con dei musicisti di prima categoria – e la differenza, ve lo assicuro, si sente eccome. Del resto Wakeman è anche il tastierista dei primi dischi di David Bowie: interpretava gli spartiti scritti da Mick Ronson per le straordinarie musiche del periodo di Ziggy Stardust. Sempre Wakeman è il tastierista che ha ftto fare il salto di qualità a Cat Stevens, a partire da “Foreigner”, in una trilogia inimitabile.
Insomma: Rick Wakeman lo sapevo a prescindere dagli Yes, e sapevo (da “Ciao 2001”) della sua contrapposizione ai Nice e, quindi, a Keith Emerson. Sinceramente, io stavo e sto dalla parte di Keith. Wakeman mi pareva un uomo tronfio, piacione, che aveva due famiglie parallele, mi dispiace il suo gusto ecclesiale e fin troppo forbito. Mi sta un po’ sui coglioni, insomma. Ma questo non vuol dire nulla. Un capolavoro è un capolavoro, e questo disco è unico. Rick stesso cercherà disperatamente di costruire qualcosa di minimamente paragonabile, e farà tanti altri tentativi di scrivere album concept sul “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne e poi con la saga dei Cavalieri della Tavola Roronda. Niente da fare. Non ci riuscirà mai.
Perché questo disco non è soltanto un esercizio di tecnica, ma è soprattutto uno zibaldone di melodie complesse,, di dettagli, di sfumature, e di narcisismo all’ennesima potenza, ma esercitato da qualcuno che ha sempre avuto i numeri per farlo. Ancora oggi, quando lo ascolto, torno con la mente allo sgabuzzino del Lido dei Gigli, in cui troneggiava il baracchino del papà di Bruno, e noi due ragazzini ascoltavamo in religioso silenzio la musica di questo album, ricominciando ogni volta di nuovo, ogni volta da capo.
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