Otto dischi per pomeriggi d’autunno

3 Novembre 2015

Mettete sulla bilancia: da una parte colori bellissimi, castagne, zucca, dall’altra il ritorno dell’ora solare, i primi freddi, l’ansia nel vedere i panettoni già allineati sugli scaffali del supermercato.

Se il rischio è che la bilancia stia lì, in equilibrio, senza pendere decisamente da una o dall’altra parte, ho pensato di segnalarvi alcuni dischi che potrebbero tenervi compagnia in questi lunghi pomeriggi autunnali (e anche nelle sere, certo) e che messi sul piatto giusto potrebbero decisamente cambiare il “peso” di questa stagione.

 

Partiamo con Teho Teardo, musicista che dell’evocatività  ha fatto un vero e proprio marchio di fabbrica. Artista da sempre legato all’aspetto “visivo” della musica – come autore di colonne sonore ovviamente, ma anche come portatore di una sensibilità visionaria – Teardo si fa ispirare in “Le retour à la raison” (Specula) da tre brevi film di Man Ray.

 

Nate da una commissione di Villa Manin a Passariano (Ud), le tracce del disco – in cui troviamo anche l’apporto di Jochen Arbeit (ex Einsturzende Neubauten) e di Joe Lally dei Fugazi – sono un prezioso scrigno di suggestioni, che scivolano senza che ce ne si accorga da un piano più chiaramente narrativo a altri di maggior sospensione, tra lunghe pennellate d’archi e un costante sbriciolarsi di suoni che vengono disposti in modo quasi rituale dentro il flusso del tempo.

Chiude il disco la marcia funebre L’etoile de mer, caratterizzata dai rintocchi allucinati di tante chitarre elettriche. Per serate scure.

 

 

A corto di nuovi cantautori psych-folk per accompagnare castagne e vino rosso? Delusi da songwriter hipster fuori tempo massimo?

Provate a riscoprire Scott Fagan, di cui è stato appena ristampato il mitico “South Atlantic Blues” (Saint Cecilia Knows/Light In The Attic) e non resterete delusi.

 

Cose bizzarre e magiche n.1: uscito originariamente nel 1968 per la ATCO (etichetta della Atlantic che era specializzata in dischi di area soul/R&B) senza un particolare successo commerciale, il lavoro di Fagan ispira il celebre artista pop Jasper Johns per una serie di lavori intitolati proprio Scott Fagan Record.

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Cose bizzarre e magiche n.2: proprio grazie al lavoro di Johns, pochi anni fa Fagan si ricongiunge con un figlio naturale che ignorava: non si tratta di una persona qualsiasi, ma di Stephin Merritt dei Magnetic Fields, altro straordinario cantautore (recuperatevi “69 Love Songs”, meraviglioso!)

Tornando al nostro disco, è pieno di belle canzoni. Vocalmente un po’ primo Scott Walker un po’ primo David Bowie, Fagan è un compagno di viaggio sonoro particolarmente ammaliante e gradevole. Sono certo piacerà anche ai vostri (o alle vostre) compagni/e di castagne e qualora non fosse così, raccontate loro le due storielle sulla sua vita che comunque ci fate un figurone!

 

 

 

Un po’ di jazz. Un trio davvero fantastico.

È quello del sassofonista Cristiano Arcelli, che ha fatto uscire in questi giorni il disco “Solaris” (Encore Jazz). Con il bravissimo Arcelli ci sono l’ottimo Stefano Senni al contrabbasso e un giovane batterista che a me sembra non meno che strepitoso, Bernardo Guerra.

 

 

Avevo ascoltato questo trio dal vivo al festival Young Jazz di Foligno l’anno scorso e già mi aveva colpito per sintesi, efficacia, freschezza.

Il disco conferma le mie impressioni, con 11 temi scritti dallo stesso Arcelli (ma alcuni fantasmi di celebri standard appaiono rielaborati in controluce) e in grado di formare una sorta di narrazione unica e avvincente, che si riallaccia sia al lessico più tradizionale che alla funkiness più nervosa della scena urbana newyorkese di fine millennio. Uno dei dischi di jazz migliori del 2015.

 

 

 

Cose notturne.

Willis Earl Beal è un tipo originale.

Artista, musicista, mezzo vagabondo, inafferrabile e indefinibile, tra leggenda metropolitana e mistero, un po’ soul e un po’ bruitiste, non pochi guai con la giustizia, si è fatto conoscere con un paio di dischi belli e originali come “Acousmatic Sorcery” e “Nobody Knows” tra il 2012 e il 2013.

 

 

Torna ora con “Noctunes” (Tender Loving Empire), lavoro amniotico e sospeso, costruito da voce e tappeti di caldi suoni sintetici – una batteria elettronica compare qui e là e  sembra quasi venire da un appartamento poco distante – un disco che gronda solitudine e intimità, anche scomoda.

Tra i pezzi più belli di certo Flying So Low e Stay (una cosa come Marvin Gaye imbottito di tranquillanti ma sempre sensualissimo), ma l’esperienza complessiva del disco è di quelle che fanno perdere la cognizione del tempo. Intanto le foglie continuano a cadere.

 

 

 

Troppo ipnagogico Willis Earl Beal? Cercate qualcosa di più “forte”?

Ecco il nuovo disco dei The Thing, il fantastico trio free-punk-jazz scandinavo guidato dal sassofono rovente di Mats Gustafsson con Ingebrigt Håker Flaten al basso e Paal Nilssen-Love alle percussioni.

Musica che non fa prigionieri, ma che parla direttamente al cuore e alla pancia di chi si trova nel raggio di portata di questa meravigliosa arma sonora.

Il nuovo lavoro si chiama “Shake” (Trost) (ascoltane un anteprima qui) e mescola temi originali a evocazioni di brani di Ornette Coleman o dei Loop e tutto funziona a meraviglia, tra ipnosi post-rock soverchiate dall’urlo (che bellezza Til Jord Skal Du Bli) e blues sbreccati (Aim è uno dei vertici del disco).

Non è musica per ragazzini dite? Questo video vi smentirà!

 

 

 

 

Ex componente dei Dirty Projectors, la fascinosa Deradoorian ha un visetto vispo (e perfettamente indie) e una curiosità insaziabile per suoni e ispirazioni, come ben dimostra il suo disco d’esordio “The Expanding Flower Planet” (Anticon).

Un po’ Björk, un po’ Midaircondo, tra elettronica pop giocosa e un tribalismo da cui essudano profumi orientali, con voci angeliche che trasportano in mondi vagamente retro (ascoltate Violet Minded ad esempio) e attraversato da immagini fortemente teatrali, Deradoorian entra piano piano nel cuore di chi l’ascolta e grazie a una tavolozza di colori che si sposa bene con questa stagione.

 

 

Fuori piove? Sono nemmeno le 5 e mezza e già sembra mezzanotte?

Vi sembra di stare in prigione anche a casa vostra?

Provate il soul molto fine anni Settanta dei The Edge Of Daybreak, che all’epoca della registrazione di “Eyes Of Love” (The Numero Group) dietro le sbarre lo era davvero!

Si tratta infatti di un disco suonato dai detenuti di un penitenziario vicino a Richmond (Virginia), pubblicato privatamente in un numero limitato di copie – molte delle quali andate perdute – e ora ristampato.

 

 

Niente amarezze e lamenti blues: qui si fa musica solare, tra ballate d’amore e brani da ballare che raccontano più la vita libera che attende i musicisti al termine del periodo di pena che non le sofferenze. Un po’ Isley Brothers, le canzoni scivolano fuori dalle sbarre in modo contagioso. Bella riscoperta!

 

 

 

Nuovo disco solista per la violoncellista Julia Kent, molto amata nel nostro paese (e non si stenta a capire il perché).

Si chiama “Asperities” (Leaf Records) e si muove nel solco delle precedenti prove, con brani dall’andamento ossessivo e malinconico che avvolgono chi ascolta in una caligine fascinosa e un po’ inquietante.

 

 

Il violoncello e l’elettronica della Kent hanno un sapore epico e evocativo (si potrebbero fare qui alcune considerazioni fatte all’inizio dell’articolo per Teardo), quasi una colonna sonora per film immaginari. Deliziosamente autunnale.

TAG: autunno, dischi, indie, Jazz, Musica, soul
CAT: Musica

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