VeneziAcustica / Renzo Piano _ 2

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21 Giugno 2020

A.L

Nel 1984 a Venezia, prodotto dal Teatro alla Scala, dalla Biennale Musica, e con la collaborazione del Comune di Venezia, andò in scena Prometeo. Tragedia dell’ascolto di Luigi Nono. I testi erano a cura di Massimo Cacciari, la direzione di Claudio Abbado, le luci di Emilio Vedova, e c’erano ovviamente tantissimi altri artisti coinvolti. Il tutto si svolgeva all’interno di un incastro molto riuscito fra due architetture differenti: l’architettura della chiesa di San Lorenzo (come sorta di macro-contenitore) e l’imponente arca, o cassa armonica, immaginata da Renzo Piano.

Rispetto a Nono, e a quest’arca all’interno di uno spazio immagino molto riverberante come quello di una chiesa, non dev’essere stato semplice…

R.P

Certo! Ed era uno spazio spaccato in due per di più… Mi ricordo che andammo dal povero Carlo Maria Badini [sovrintendente del Teatro alla Scala in quegli anni, ndr] per convincerlo a realizzare il nostro “strano” progetto, perchè fu prodotto dalla Scala insieme alla Biennale ma chi ci doveva mettere la faccia e i soldi era lui appunto, e gli raccontammo quanto pensavamo potesse costare, quanto tempo ci sarebbe voluto per montarlo (noi credevamo una settimana, poi in realtà ci vollero due mesi). Ma non era cinismo lo pensavamo davvero! Un giorno ricordo che arrivai apposta da Parigi, con la cravatta, per incontrare la sovrintendente che doveva darci il permesso di smontare le grate che dividevano la chiesa per allestire il nostro progetto. Era già sconsacrata ma visto che era stata una chiesa di clausura aveva ancora, ai lati dell’altare centrale, delle grate al di là delle quali stavano le suore. All’epoca c’era una sovrintendente bravissima e comunista! Per cui Gigi [Luigi Nono, ndr] ci disse: «Tranquilli, siamo a casa nostra!». E andammo a spiegarle questa cosa meravigliosa che volevamo fare: la musica, l’idea, l’arca, il concetto, il suono, ecc. Ci sentivamo molto seducenti! A un certo punto lei guardò l’orologio e disse:

«Ah sì, va be’ adesso è finita. Grazie. Vi farò sapere…»

Così noi rimanemmo a bocca asciutta: «Ma come, tutto il nostro fascino…e pensare che era comunista!»

Dopo due giorni ci fece sapere: non se ne parla nemmeno! Perchè non aveva fiducia sul fatto che, una volta smontate, le grate sarebbero tornate al loro posto e non bastava la nostra etica profondamente comunista come garanzia. Così inizialmente ci disse no, poi pian piano riuscimmo a convincerla. E comunque, a titolo di cronaca: le grate tornarono al loro posto e mantenemmo la promessa. Ma questo fu soltanto uno dei problemi, l’altro era che ogni tanto avevamo pure l’acqua alta: arrivava quasi in cima ai gradini…

È stata un’avventura pazzesca! Anche perchè la compagnia era fatta da Gigi, da Claudio [Abbado, ndr], il quale, sereno e tranquillo, diceva:  «Qual è il problema? Ci vogliono quattro direttori d’orchestra. Mettiamo degli schermi e facciamolo». Poi c’era Emilio Vedova che, quando cominciammo, doveva realizzare una sorta di accompagnamento iconografico. Una roba che, a un certo punto fu chiaro a tutti, sarebbe diventata son et lumière, e il giorno in cui qualcuno trovò il coraggio di dirglielo per Emilio fu un colpo. Era una delle persone più straordinarie e più dolci che io abbia conosciuto! Fu allora che decise di occuparsi delle luci. Solo che poi alla fine, e in pratica, lui accendeva e spegneva le luci. Ma lo dico perchè diede prova di una meravigliosa umiltà! L’unica libertà che si prese è che accendeva le luci con un gesto (e con le sue braccia di tre metri di apertura!) e poi, con un altro, le spegneva.

A.L

E quindi era in scena in qualche modo?

R.P

Certo, era in scena, al centro.

Poi c’era anche Massimo Cacciari che si occupava dei testi… insomma fu una bella avventura. L’altro problema era la durata! Secondo l’idea iniziale di Gigi la musica doveva durare cinque ore e mezza, e non voleva assolutamente che ci fosse alcun tipo di rottura. Claudio cercò di convincerlo che era difficile tenere i musicisti impegnati per tutto quel tempo finché un giorno l’idea vincente, devo dire, venne a me: nessuno sarebbe riuscito a stare fermo per cinque ore e mezza senza fare la pipì. Le interruzioni sarebbero state infinite e, dato che il pubblico era sistemato al centro dell’arca in un modo anche abbastanza complicato, uno che si muoveva in quello spazio non era come in un teatro al buio: l’avresti visto. Allora si lasciò convincere e diventarono più o meno due parti da un ora e mezza.

Fu un’esperienza straordinaria, e Gigi era una persona meravigliosa! Ho ancora adesso le sue cartoline: “Evviva!”, “Controvento, se possibile!”. Lui non andava in barca ma usava però il linguaggio della vela. Fu una di quelle esperienze che lasciano delle tracce indelebili.

A.L

Quindi è durato molto l’allestimento, complessivamente.

R.P

Dunque…per realizzarlo ci abbiamo messo sei mesi. Poi andò in scena a San Lorenzo e, più o meno un anno dopo, lo portammo a Milano all’ex Ansaldo. Dopo di che fu messo via.

{ Musica }

A.L

E ora dov’è l’arca?

R.P

Dopo l’esperienza milanese qualcuno parlava già di fare delle sfilate ma noi (che eravamo pazzi ma non stupidi) avevamo l’idea giusta. Andammo da Carlo Maria Badini e gli dicemmo chiaramente: «Senti, questa esperienza è nata per finire, un giorno. E il miglior modo per finire è che l’arca venga bruciata in mare», che era un’idea modestamente fantastica! «La lasciamo andare nella laguna e poi, a un certo punto, le diamo fuoco: questa è la fine giusta». Lui ci guardò e disse:

«Ma voi siete pazzi! Con quello che mi avete fatto spendere… come faccio io a metterlo a bilancio?!».

E difatti è rimasto un problema perché poi è finita in un deposito vicino a Milano. Ne abbiamo parlato tante volte su cosa farne, con Claudio e poi anche con Nuria [la moglie di Luigi Nono, ndr], ma non è facile: bisogna darle un ruolo nobile. Anche perchè l’arca non era una sala da concerto ma un contenitore all’interno di un altro contenitore. E dove lo si trova un altro spazio-contenitore analogo già esitente? Bisognerebbe costruirlo… Per cui la teoria che certe cose sono fatte per cominciare e finire non è sbagliata, era anche poeticamente corretta. Non era corretta dal punto di vista del bilancio, allora lasciammo perdere.

{ Musica }

Per me è diventato difficile separare la musica dalla vita e dall’architettura. Ma non per quella famosa storia che l’architettura è musica, per una cosa molto più pratica: è andata così!

A.L

Ritornati molto rapidamente a Venezia mi permetto di suggerirvi un gioco.

Un gioco che contiene sia un rischio che una rivelazione. Consiste nel camminare ad occhi chiusi, possibilmente tra le cinque e le sei del mattino, a Venezia. Il rischio, ovviamente, è quello di cadere in un canale ma la rivelazione che vi aspetta, canale permettendo, è quella di ritrovare i suoni del vostro apparente e personale silenzio. I suoni del vostro respiro, dei passi, delle chiavi che ciondolano appese alla cintura, e ritrovarli non tanto come suoni solitari ma in relazione profonda, proprio come una sorta di polifonia, con tutte le altre voci e suoni della città. Perchè Venezia, prima ancora di essere una città consumata dallo sguardo, dai selfie e via dicendo, è questa: un grandissimo strumento musicale, che peraltro non smette mai di suonare! Muoversi al suo interno con attenzione e delicatezza è come muoversi nella pancia di un enorme violoncello: proprio lì, vicinissimi a quella zona che negli sturanti ad arco viene chiamata anima, in quanto generatrice delle vibrazioni acustiche dello strumento medesimo.

{ Musica }

Sulle note inequivocabili di Antonio Vivaldi siamo arrivati alla fine non soltanto di questa puntata di VeneziAcustica ma di tutto il ciclo.

Sentitamente ringrazio la mia co-curatrice del programma: la musicologa Giada Viviani, e i giovanissimi “Cacciatori di suoni” dell’associazione culturale VERV Venice Electroacoustic Rendez-Vous.

Potete trovare tutte le informazioni sulle musiche trasmesse oppure riascoltare e scaricare tutte le puntate dal sito di Radio Tre, così possiamo continuare a stare insieme, o con l’app RaiPlay Radio.

VeneziAcustica Rai3

Tanti cari saluti da Venezia e alla prossima da Andrea Liberovici! Ciao!

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