Tra perdita e rivincita: GionnyScandal si racconta senza filtri in Black Mood 2


per /CONFINI/ di Vera Pravda
Raccontaci di te: quali sono i campi che, per esperienza di vita o lavorativa ti sono più affini?
D.G: La mia vita artistica e professionale si fonda da sempre su un felice squilibrio, che io ho battezzato “dono dell’obliquità” (questo è anche il titolo di una canzone scritta per Hikobusha, il gruppo alt-rock che ho fondato anni fa). Muovo i miei passi ben distesi tra due mondi decisamente complessi e meravigliosamente intricati: da una parte c’è la psicologia, dall’altra la musica indipendente. Due territori che delineano una geografia personale dai tratti frastagliati, in continua evoluzione e ridefinizione. Il mio viaggio è iniziato ormai una trentina di anni fa e mi ha fatto conoscere un’infinità di storie e contesti. Ho una vasta collezione di cartoline e reperti che ritraggono bellissimi incontri, importanti sconfitte, incredibili rivincite e tanti preziosi scorci di vita (non solo la mia, è ovvio). Entrambi questi mondi si sono popolati di relazioni, amicizie, buoni e cattivi maestri (questi ultimi altrattanto importanti quanto quelli buoni). Il viaggio è ancora in corso, le provviste sono abbondanti, le mappe sembrano invece non bastare mai. Ma questo è il bello: quando ci si muove in perenne “obliquità” è utile saper cogliere nuove traiettorie e saper approfittare delle occasioni di collegamento tra territori (apparentemente) diversi.
Parlami del concetto di confine nella tua attività. Cosa significa ‘confine’ nel lavoro che fai?
D.G: Come avrai capito, il concetto di “confine” mi appassiona e mi ossessiona, qualche volta. Dove finisce la ricerca artistica e inizia quella personale e professionale? Qual è il limite che contrassegna l’ambito della “normalità?” (altro titolo di una mia canzone, con il punto di domanda compreso). Come psicologo e psicoterapeuta queste domande sorgono in me ripetutamente, nel corso della mia attività clinica. Ed ancora: fino a che punto è doveroso tenere separati i contesti, quello musicale, performativo ed autoreferenziale rispetto a quello “serio”, professionale e votato al sostegno dei bisogni altrui? Pasolini ha detto che “seri bisogna esserlo, non mostrarlo”. Questo ovviamente spiegherebbe il tenore delle mie pose in veste di performer ed artista, tutt’altro che seriose. Eppure rimango ostinatamente convinto che un confine debba essere tenuto presente nel proprio percorso di ricerca, proprio per poter aspirare alla sua trasgressione, intesa nel senso etimologico di “andare oltre”, nel tentativo di trovare possibilità di incontro con l’altro e di benessere reciproco. Ho sempre fatto musica con l’intento di incontrare persone, dal vivo, in occasione dei concerti e delle mie performance: credo che sia quello il momento e lo spazio in cui il confine tra autore e fruitore si rende al contempo visibile e più permeabile. L’attimo meraviglioso in cui risulta evidente che l’uno non può sussistere senza l’altro. Parimenti, si impara a diventare psicoterapeuti lavorando su di sé e con gli altri: il confine rende paradossalmente possibile l’incontro e il cambiamento. Se tutto va per il meglio, staremo meglio entrambi. Certo, il professionista ha il compito di rendersi disponibile, di accettare il contingente malessere dell’interlocutore, di incassare e restituire le proiezioni dell’altro senza che “facciano male” alla relazione. Anche il musicista indipendente accetta di salire su palchi talvolta male illuminati per consentire al suo pubblico di mettere da parte (anche solo per un momento) le paure, le noie, le preoccupazioni. Insomma, per poter vivere un momento di “bellezza”, di emozione, di contatto. Penso di poter dire che questo sia il confine a cui tendo, professionalmente e artisticamente; forse sarebbe meglio dire il traguardo. Ci sono state però innumerevoli occasioni in cui un traguardo si sia trasformato in un confine da attraversare, per poter migliorare, per scoprire nuovi orizzonti. Credo che sia questa la definizione di confine che preferisco.
Davide Gammon, clip da video
E nella vita privata quali sono i confini che senti maggiormente visibili?
D.G: Nel mio ultimo Ep (Sfashion, the house of love 2019) è contenuto un brano dal titolo “Tu non sai (chi sono Dio)”. Ho immaginato di prendermi bonariamente gioco di un certo narcisismo arrogante che sentivo piuttosto dilagante nei rapporti personali moderni. Forse questa spaventosa e drammatica congiuntura legata all’avvento della pandemia potrà restituirci un pò di umiltà e disponibilità all’ascolto e all’incontro senza troppi pregiudizi. Desidero essere ottimista e incline a rivedere innanzitutto i miei pregiudizi; mi auguro davvero che possa andare così. Nella mia sfera privata vorrei recuperare la capacità di “avvicinarmi” senza timori agli altri e non intendo in senso esclusivamente fisico (sebbene questa sia una mancanza fortissima, in questo periodo di distanziamento forzato ma purtroppo necessario). D’altro canto, per quanto riguarda la mia vicinanza emotiva a chi sta soffrendo, ritengo di essere molto fortunato ad avere scelto la professione di psicologo. Dall’inizio della pandemia, ho offerto il mio contributo volontario a uno sportello di ascolto riservato agli operatori sanitari impegnati nella gestione delle problematiche relative al Covid, organizzato dall’Università Bicocca di Milano e da Medicina Democratica. In Ottobre si è tenuta una giornata di incontro e studio presso lo spazio di mutuo soccorso “Ri-make”, in occasione del quale ho avuto, ancora una volta, la possibilità di unire il mio ruolo “serio” a quello di musicista, occupandomi della sonorizzazione di un reading-spettacolo incentrato sulle storie raccolte nel corso dell’attività di sportello da me e dai colleghi. E’ stato un momento preziosissimo e importante, anche a livello personale. Incontrare tante persone e vivere testimonianze intense di “vicinanza” è stato davvero rigenerante, dopo tanto “distanziamento”: un’occasione unica per lasciar cadere alcune delle barriere che questo periodo di incertezza ci ha costretto ad innalzare, a difesa del nostro privato e di chi amiamo. Colgo l’occasione quindi per ringraziare tutti i miei colleghi e coloro che si impegnano quotidianamente (presso Ri-Make e non solo) ad avvicinarsi a chi è nel bisogno, con la dovuta attenzione, prudenza, delicatezza e rispetto dei confini.
Davide Gammon, live
In questi giorni di ‘confino’ come è cambiata la tua percezione dei confini?
D.G: Come tanti altri amanti e bisognosi di “espressione”, ho usato questo lungo periodo di lockdown non solo per stare vicino a chi amo ma anche per comporre nuovo materiale. Oltre ad aver dato avvio nel primo lockdown alle “Pigiama Sessions” (una serie di videoclip su Instagram in cui interpreto cover a me care), proprio in questi giorni sto mantenendo una connessione quasi quotidiana col mio produttore artistico, Lory Muratti, la mente dietro a The House of Love, un laboratorio creativo unico e ultimamente molto vivace, che da qualche tempo ha deciso di accogliermi tra i suoi accoliti. Anche in questo caso, il confine che di solito demarca i rispettivi territori di autore e produttore, nel corso della genesi dei nuovi brani, è stato ripetutamente infranto, consentendomi di arrivare a creare canzoni che sono l’espressione dell’incontro di due sensibilità e poetiche molto diverse, ma che nuovamente (dopo aver collaborato alla produzione di Sfashion) hanno trovato un dialogo molto intenso e ricco di reciproche suggestioni. Lavorando sui suoni e sui testi, mi sono progressivamente accorto di avr approfondito e arricchito la trattazione di quei temi che da tempo mi stanno a cuore, come ad esempio la “chimica” dei rapporti interpersonali, la ricerca autobiografica svolta con piglio irriverente ma finalizzata al coinvolgimento dell’ascoltatore, la tensione verso la rinuncia agli orpelli e alle maschere della postmodernità. Seppur “confinato” nel mio studiolo, culla accogliente di sperimentazioni sonore, tanto quanto di lunghe videosessioni di colloqui con i pazienti, ho trovato il modo e l’energia per tenermi connesso al mio bisogno di espressione personale e di contatto attivo col mondo. Credo che tanti abbiano fatto altrettanto, non lasciandosi prostrare dal lungo periodo di astinenza o prudenza estrema nello stare a contatto con sé stessi (per evitare il rischio di estraniamento) e con gli altri (per evitare quello di contagio). La percezione dei confini personali e relazionali per me è quindi molto cambiata in quest’epoca di Covid: ho scoperto che si può comporre musica collaborando a distanza e che si può unire psicoterapia e tecnologia in modo fruttuoso.
Come pensi che cambieranno le nostre vite dopo questa esperienza? Quali saranno i nostri nuovi confini?
D.G: Penso che le vite di ciascuno di noi usciranno relativamente ma inevitabilmente trasformate da questo (quasi) s-confinato periodo di lockdown. Credo che manterremo il desiderio e il bisogno di incontrarci ad un concerto, con buona pace di coloro che stanno (per motivi di sopravvivenza) comprensibilmente tentando di convincerci che si possa optare per la partecipazione online agli eventi. Penso però che non abbandoneremo l’utilizzo della tecnologia per tutelare la continuità di tutti quei rapporti che sentiamo importanti per noi. Questo aspetto dovrà comunque renderci ancora più vigili sulla salvaguardia della nostra privacy e di quei “confini” che rendono stabile e pregna di significato la nostra identità e la nostra esistenza “fisica”… Al di là di ogni schermo e ben al di sopra di un mero “aggiornamento di stato” su una piattaforma social.
Davide Gammon
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Davide Gammon, nato a Legnano (Mi), classe 1973, navigato esponente del cantautorato post-punk in italiano, ha congiunto l’attività di psicologo con l’organizzazione e la direzione di eventi artisitici e culturali tramite il marchio MFA, da lui fondato nella metà degli anni Novanta. Performer e musicista, da tempo si avventura oltre i limiti della forma-canzone, sfruttando la sua passione per il blues avanguardista e l’elettronica sperimentale, col corredo di testi ricercati e spiazzanti. Ha frequentato i palchi di tutta Italia, collaborando con artisti nazionali ed internazionali, tra cui Nuas (Punkreas), Hugo Race (Nick Cave & the Bad Seeds) e, più recentemente con l’autore Lory Muratti. Ha fondato e lungamente militato in progetti seminali della scena milanese e varesina, come La Good Equipe ed Hikobusha.
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/CONFINI/
@Confiniartproject è un instaproject, un’opera d’arte partecipata creata con i contributi visivi inviati durante l’emergenza #coronavirus
È un progetto dell’artista visiva Vera Pravda in collaborazione con Viafarini DOCVA – Documentation Centre for Visual Arts per generare comunità culturali, stratificazione visiva, vicinanze virtuali in questo tempo sospeso.
Chi desidera può partecipare al progetto con uno o più immagini o video sui confini su www.confiniartproject.it o condividendo su instagram foto di libri sui confini con gli hashtags @confiniartproject e #confinibookchallenge
In affiancamento alla pagina Instagram, riportiamo qui highlights e approfondimenti.
www.instagram.com/confiniartproject
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