E se fosse veramente un miracolo: Lombardia e Campania, sanità a confronto

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21 Aprile 2020

Nel 2019, il governatore Attilio Fontana presentando il documento “Sanità: regole 2019”, annunciò quella che a suo dire costituirebbe una “svolta epocale” nell’organizzazione dei servizi sanitari della Regione Lombardia.

Obiettivo era la riduzione dei tempi di attesa per poter accedere alle visite specialistiche e agli esami diagnostici.

La regione Lombardia sulla sanità, che costituisce oltre il 75% del suo bilancio, è in grande difficoltà e sta da mesi subendo una forte caduta d’immagine.

La corte dei conti nel 2018 evidenziava che:

–          …le entrate dedicate al finanziamento del servizio sanitario, pari a circa 20 miliardi di euro, rappresentano l’80 per cento degli stanziamenti totali e l’81 per cento degli accertamenti totali.

–          Sul fronte delle spese, si rileva che, al netto dei titoli 6 e 7, anche nell’esercizio 2018 la spesa sanitaria costituisce la componente principale del bilancio, raggiungendo il 79 per cento delle previsioni di bilancio, il 74 per cento degli stanziamenti assestati e l’83 per cento degli impegni complessivi (20.247,80 milioni di euro su 24.342,55).

–          2. La Sezione ha proseguito, anche nel 2018, le verifiche sull’attuazione, in ambito sanitario, degli adempimenti in materia di armonizzazione contabile imposti dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, con particolare riferimento alla Gestione Sanitaria Accentrata (G.S.A.), istituita presso la Regione Lombardia sin dal 2012.

–          In particolare, sono state oggetto di attenzione l’integrale accertamento e impegno, nell’esercizio, degli importi destinati al finanziamento sanitario, la congrua erogazione per cassa agli enti del S.S.R., entro la fine dell’esercizio, di almeno il 95 per cento delle somme incassate dallo Stato e di quelle destinate dalla Regione al finanziamento del servizio sanitario, nonché la corretta perimetrazione delle entrate e delle spese destinate al finanziamento del S.S.R.

–          3. Quanto all’attuazione delle disposizioni sulla gestione sanitaria accentrata, si è rilevato che, anche per il 2018, come accertato per gli esercizi precedenti, non risultano ancora approvati il bilancio d’esercizio della GSA ed il bilancio consolidato sanitario regionale (la cui scadenza è fissata dalla legge, rispettivamente, al 31 maggio ed al 30 giugno). Sul punto la Sezione ha richiamato, ancora una volta, l’esigenza di rispettare le tempistiche previste dal d.lgs. n. 118/2011 per l’approvazione dei bilanci GSA anche al fine di permettere le operazioni di consolidamento previste dal medesimo decreto legislativo sull’armonizzazione, con particolare riguardo alla riconciliazione fra le poste iscritte nel bilancio finanziario della Regione (residui attivi/passivi) e quelle risultanti dalla contabilità economico-patrimoniale degli enti del SSR (crediti/debiti).

–          4. Permangono le criticità già osservate nelle precedenti relazioni circa i ritardi, rispetto alla tempistica definita dalla D.G.R. n. 7009 del 31.7.2017, nell’attuazione del Percorso attuativo per la Certificabilità dei bilanci della GSA e degli enti sanitari. Sul tema la Sezione auspica, nuovamente, che vengano fornite puntuali direttive a tutti gli enti del S.S.R. per il rispetto della tempistica assegnata ai fini della completa attuazione del percorso in atto all’interno delle Aziende…

–          A tale riguardo la D.G.R. n. 1046 del 17/12/2018 ha segnato il superamento del sistema di gestione centralizzata della liquidità attraverso il canale Finlombarda S.p.A., in favore di un sistema, operativo dal 1° gennaio 2019, di pagamenti dei fornitori di beni e servizi effettuato esclusivamente tramite la gestione diretta aziendale.

Nel 2018 le spese autonome in ambito sanitario messe a disposizione dalla Regione Lombardia sono risultate pari a 218,8 milioni di euro, concentrate quasi integralmente, per 218,3 milioni di euro, per spese in conto capitale a sostegno di interventi di edilizia, ristrutturazione e ammodernamento tecnologico in ambito sanitario.

In sintesi, la regione Lombardia pensa di ridurre le liste d’attesa, semplicemente riducendo alcune prestazioni sanitarie fino ad ora erogate col Sistema Sanitario Regionale, direttamente o in convenzione, contribuendo in questo modo, a indirizzare le persone verso prestazioni totalmente private, quindi a pagamento.

I tragici paradossi che l’epidemia covid sta svelando agli occhi degli italiani, comprende anche quello di mettere in evidenza che la Lombardia, tradizionalmente considerata “locomotiva d’Italia” e punta di eccellenza della sanità del nostro Paese, porta invece all’Italia il primato del numero più alto di contagiati e decessi.

Ultimamente c’è chi comincia a dire ad alta voce che, forse, qualcosa non ha funzionato come ci si sarebbe aspettati.

I medici di medicina generale, primo baluardo contro il contagio, sono stati colpiti dalla malattia, ed è emerso che per questo motivo, molti malati sono rimasti nascosti, cioè non diagnosticati, nella sola provincia di Milano, contagiando i propri conviventi.

Il numero di positivi nella regione, insomma, sarebbe fortemente sottostimato, circostanza che spiegherebbe anche l’alta letalità registrata. Troppe persone arrivano in ospedale tardi, quasi tutti anziani con la polmonite, casi di Covid-19 non censiti.

Il sindaco di Milano, Beppe Sala, in un’intervista a La Repubblica, ha individuato due principali criticità nella gestione regionale, la prima è di “non aver fatto una zona rossa attorno a Bergamo, come chiedeva anche Giorgio Gori”, la seconda è che la Lombardia “ha puntato su grandi strutture ospedaliere penalizzando la rete sociosanitaria locale”.

I medici di base sono stati abbandonati con troppi pazienti e sono diventati dei produttori di ricette. Questo non è accaduto in altre regioni,

Ormai è certa la conclusione a cui tutti sono arrivati, ospedali e presidi sanitari veicoli di contagio a causa della debole sorveglianza sul territorio.

Questo poteva essere evitato soltanto con un massiccio spiegamento di servizi alla comunità, sul territorio. Cure a domicilio e cliniche mobili evitano spostamenti non necessari e allentano la pressione sugli ospedali, un approccio che limiterebbe l’ospedalizzazione diminuendo così il contagio, proteggendo i pazienti e il personale sanitario.

L’elemento spinoso è l’impatto che potrebbe aver avuto l’innegabile sbilanciamento a favore del privato del sistema sanitario regionale.

In questa situazione la regione Lombardia, accusata da più parti di lavorare alle dipendenze dei tanti potentati privati che si dividono fette cospicue della sanità lombarda. Dalla metà degli anni Novanta al 2018, i posti-letto pubblici sono stati più che dimezzati e, nello stesso arco temporale, i posti-letto privati sono considerevolmente aumentati.

Nel 2017, gli erogatori della sanità privata si sono aggiudicati il 35% dei casi di ricovero, che corrisponde al 40% del totale in euro speso dalla Regione per questi servizi.

Nello stesso anno, gli erogatori privati hanno realizzato il 42% delle visite ambulatoriali e degli esami, dato che corrisponde al 43% della valorizzazione totale per questo tipo di prestazioni.

In alcune province, il sorpasso dei privati è ampiamente avvenuto, come nella città metropolitana di Milano (54,4%) e Bergamo (60,9%).

Il 4 marzo scorso, una delibera di Regione Lombardia ha stabilito, almeno per i successivi 60 giorni, l’impiego del personale sanitario delle strutture private accreditate e la messa a disposizione di posti letto privati, in cambio di un indennizzo “pari a al 100 per cento di questo valore”.

Ma c’è chi ritiene che si sia agito tardi. Quando i focolai sono scoppiati nelle cliniche private che non erano ancora convertite in Covid, quante cliniche private hanno comunicato tempestivamente la situazione alla Asl? Quante hanno corso il rischio di venire chiuse all’istante e di perdere fatturato?

Domande a cui, si dovrà dare risposta, e che dovranno stimolare un doveroso dibattito sulle scelte politiche effettuate negli ultimi anni in tema di sanità.

In Campania, bisogna dire che Vincenzo De Luca ha investito, sin dall’inizio, buona parte delle sue aspettative di riuscita, proprio sulla sanità.

Da  dieci anni, la situazione di blocco determinata dal commissariamento, ha vincolato assunzioni, spesa, imposto il blocco del turn over, la perdita irreparabile di circa 13.500 unità lavorative e aggravato l’emigrazione sanitaria verso altre regioni (che costa 300 milioni l’anno).

Dal 2004 al 2008, i debiti per la spesa sanitaria, aumentarono vertiginosamente del 90%, passando da 2 miliardi 814 milioni a 5 miliardi 342 milioni.

Liste di attesa infinite, reparti fatiscenti o chiusi per mancanza di autorizzazioni, condizioni igieniche indegne e prevenzione oncologica ai minimi termini.

Ospedali pubblici chiusi, posti letto insufficienti e un blocco del turn over che ha lasciato le strutture in costante carenza di organico riducendo di oltre 45mila unità in otto anni il personale della sanità pubblica, da medici a infermieri, da ostetriche a radiologi. E ancora, liste di attesa infinite, reparti fatiscenti, condizioni igieniche indegne e prevenzione oncologica ai minimi termini, anche nella Terra dei fuochi.

Le immagini delle continue invasioni di formiche al San Giovanni Bosco di Napoli, dove a gennaio 2019 è anche crollato il soffitto della sala parto, sono ancora vive nei ricordi di tutti.

Una Spending Review necessaria a causa di un debito da nove miliardi di euro che ha portato nel 2010 al commissariamento della sanità regionale.

Al Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Regione ha portato i risultati fin qui raggiunti, uscendo fuori dallo stato di commissariamento.

In primis, la nota dolente:

–          i Lea, livelli essenziali di assistenza, per legge l’indice è 160, erano a 105 nel 2015, 124 nel 2016.

–          A marzo 2019 il ministero della Salute ha pubblicato i risultati: peggio della Campania (con 153 punti) ha fatto solo la Calabria (136), la Regione attendeva ora la certificazione del livello 163.

De Luca ha messo sul tavolo anche il consolidamento da cinque anni del pareggio di bilancio. Sono stati confermati, come comunicato dalla stessa Regione “l’equilibrio finanziario raggiunto dalla sanità campana e il superamento della soglia prevista per i Lea, che sarà formalizzato, sul 2018, come accade per ogni annualità, al termine del primo semestre di quest’anno”.

Questione economica a parte, è innegabile che oggi la sanità pubblica campana è ancora in crisi.

Non solo ospedali chiusi o che non rispettano i requisiti minimi per assicurare qualità e sicurezza delle attività.

La Corte dei Conti fa registrare che la Campania ha speso solo un terzo degli 1,7 miliardi circa attribuiti per l’edilizia sanitaria, cioè 535 milioni.

Walter Ricciardi affermava, l’anno scorso che, se il Sud d’Italia occupa l’ultimo posto in Europa in termini di aspettativa di vita, la zona di Napoli è in assoluto “la peggiore dove nascere” con un gap di otto anni rispetto ai Paesi dell’Unione.

La sezione regionale di controllo della Corte dei conti ha riscontrato che, se da un lato i conti erano tornati in ordine, dall’altro i “livelli essenziali di assistenza erano rimasti nettamente al di sotto della soglia di adempienza”.

La fotografia di una sanità al collasso, certificata dal fatto che per far rientrare i conti e mettere le carte a posto De Luca ha messo in atto un’operazione esclusivamente contabile che ha contribuito a negare, giorno dopo giorno, diritto alla salute ai cittadini della Campania.

De Luca è comunque soddisfatto del suo operato, un obiettivo di valore, dopo 10 anni di commissariamento è riuscito a rientrare in una gestione ordinaria. Un lavoro sicuramente di alto livello, sul piano del risanamento finanziario che dovrà avere seguito anche con l’avanzamento dei livelli essenziali di assistenza.

La Regione Campania si propone come un modello di un altro Sud, fatto di concretezza, rigore spartano, capacità amministrativa e trasparenza.

TAG: Attilio Fontana, avv Monica Mandico, covid emergenza sanitaria, vincenzo de luca
CAT: Napoli, Sanità

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