Great Resignation: il fenomeno delle dimissioni volontarie tra i più giovani

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26 Marzo 2022

Gli strascichi di un grande esodo di lavoratori compresi tra i 18 e i 40 anni, che ad un certo punto decidono di progettare la vita altrove per riuscire a spiccare il volo. Ma cosa significa davvero l’espressione “Great Resignation”?

 

 

 

 

Con l’espressione americana Great Resignation (letteralmente, grandi dimissioni) si intende indicare un imponente fenomeno di dimissioni volontariamente rassegnate, che ha coinvolto in America solo nel 2021 circa 4 milioni e mezzo di cittadini, i quali hanno spontaneamente abbandonato il proprio posto di lavoro.

L’eco travolgente di questa tendenza “resettatrice” è sopraggiunta inevitabilmente anche in Italia, ripercuotendosi su di un incerto e complicato mercato professionale. E così, ben il 79% delle aziende nostrane sono state messe di fronte all’impazzare delle cosiddette Grandi Dimissioni, trovandosi assolutamente impreparate da un punto di vista organizzativo e normativo. Secondo i dati diffusi dal Ministero del Lavoro, nel lasso di tempo intercorrente tra aprile e giugno 2021, le dimissioni volontarie hanno riguardato 500.000 dipendenti.

Complice il clima di angosciante oppressione e fragilità diffusosi con lo scoppio della Pandemia da Covid-19, c’è chi ha sostanzialmente attuato una vera e propria rivoluzione nella propria vita, lasciando l’impiego del momento in cerca di nuove fortune. E, spesso e volentieri, questo grande esodo ha visto tantissimi giovani lavoratori, compresi tra i 18 ed i 40 anni, partire definitivamente dal Paese di origine, cioè l’Italia, per rinascere altrove. Oltre confine.

Che le ragioni profonde siano da imputare anche al frustrante assetto strutturale di molte delle nostre aziende, è risaputo. Infatti, stando ad una ricerca condotta dalla Harvard Business Review, circa l’85% dei dipendenti delle imprese italiane, riferisce di non sentirsi a proprio agio nel manifestare liberamente le proprie necessità, per timore di essere giudicato. Senza contare che, ad incidere ancora assai pesantemente sul rendimento e la serenità di un lavoratore, specialmente se appartenente alla categoria denominata “Generazione Z”, vi è l’incrostata e rigida piramide, al cui vertice siedono beati coloro i quali difficilmente concepiscono l’idea di lasciare campo ai giovani, magari mettendo a disposizione le proprie esperienze ed integrando virtù morali e competenze professionali con chi è in procinto di costruire la propria carriera. Il risultato è scontato: la frustrazione e le delusioni covate sotto le ceneri della necessità di sostentarsi economicamente in modo autonomo per i giovani, vengono soppiantate, appena possibile, da un balzo di incoscienza e coraggio di osare, per realizzare concretamente le proprie aspirazioni, con fatica e determinazione. Appare superfluo, seppur doveroso, aggiungere che, per le donne, il discorso si aggroviglia ancora di più, lastricando il percorso di ostacoli tossici e avvilenti per la dignità ed il vivere senza pregiudizi. Una giovane donna è perfettamente conscia del fatto che il suo ingresso nel mondo del lavoro, sarà esposto ad insidie più subdole rispetto a quelle riservate agli uomini. Ragione per cui, è doppiamente sorprendente e da incoraggiare, la decisione di rassegnare le dimissioni da un impiego umiliante per provare a realizzare il proprio futuro da qualche altra parte.

 

 

La sindrome del Burnout aziendale porta in superficie maggiore fedeltà a sè stessi

 

 

Ciò che precede l’evento delle dimissioni volontariamente rassegnate è la cosiddetta nausea da smarrimento, che afferra di frequente chi sviluppa una sindrome da Burnout aziendale, di fatto perdendo la propria serenità in ambito lavorativo per una serie di fattori ambientali prima e remunerativi dopo, trovandosi a svolgere mansioni professionali logoranti, e portando i soggetti in questione a confrontarsi in maniera non filtrata e brutale con la voglia di cambiamento, permettendo così di  far emergere il proprio modo di essere represso troppo a lungo, e quindi non barattando più la fedeltà a sè stessi, bensì alimentando la voglia di riprogrammare il futuro. Le aspettative sono tutte riposte in un salvifico processo di sensibilizzazione, consapevolezza, ed inclusione che deve interessare prima di tutto l’universo delle imprese ed il loro modo di considerare il lavoratore, assecondando e sostenendo le necessità imprescindibili per accrescerne rendimento e voglia di fare. Tenendo sempre a mente che, la valorizzazione umana del lavoratore, costituisce il fulcro di un azienda e di una economia sane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CAT: Occupazione, Qualità della vita

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