La notte oscura di Montesquieu

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30 Aprile 2015

Il voto di fiducia chiesto ad un ramo del Parlamento riguarda l’azione del Governo e verifica la condivisione da parte del potere legislativo degli indirizzi e dell’azione dell’organo del potere esecutivo per confermare, o no,  la volontà di sostenerlo.

Ma una riforma elettorale per cambiare il sistema di elezione degli organi del potere legislativo non può configurarsi, in un sistema liberal-democratico sano, come qualificante l’azione del Governo, che in questo modo rivendicherebbe  la volontà di costruirsi e dettare le regole secondo una logica di dominanza,  progettuale e strutturale, su un livello istituzionale dal quale dovrebbe dipendere la sua legittimazione, e non viceversa.

Montesquieu, ai tempi dell’Illuminismo, nel definire l’architettura giuridica e istituzionale dello Stato di diritto, contro l’assolutismo dei sovrani che imperava a quei tempi, aveva nettamente separato i tre poteri che reggono lo Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. La sovrapposizione di uno di essi anche su uno solo degli altri avrebbe avuto come conseguenza il dispotismo. E la cancellazione della libertà.

Negli anni del berlusconismo rampante la tentazione era stata quella di sovrapporre l’esecutivo al potere giudiziario, per condizionare la magistratura rispetto ai molteplici procedimenti giudiziari che la “creatività” di Berlusconi nel campo della legalità aveva generato.

In questi mesi di renzismo decisionista il gioco invece si è fatto ancora più duro e l’ambizione più radicale: agire sulla legge elettorale, in combinato-disposto con la mutazione genetica del Senato, per fare in modo che il capo dell’esecutivo si disegni le regole “ad personam” per nominarsi il Parlamento che vuole, monocamerale e dipendente dalle scelte del vertice politico che redige le liste elettorali bloccate, e che punta ad un premio di maggioranza capace di blindare il 55% dei seggi dei fedelissimi da tenere in pugno.

Le minoranze, le differenze di visione, di idee, la ricchezza del pluralismo sono un inciampo in questa logica di comando delle istituzioni. Istituzioni che, senza la dialettica delle posizioni da confrontare e su cui costruire mediazioni positive, perdono il valore della rappresentanza della società, e la loro stessa ragione sociale, che è quella di dare pari dignità a tutte le posizioni senza schiacciare ed escludere interessi e valori presenti nel Paese e non allineati con la maggioranza politica che pure ha il diritto-dovere di governare.

Che direbbe Montesquieu di questa notte oscura del sistema liberale nel nostro Paese? Di questo dilagare arrogante dell’esecutivo per procedere a tappe forzate a cambiare le regole elettorali ed esibire lo scalpo di un’altra riforma realizzata nella propaganda delle elezioni regionali e oltre?

Bisogna dire che troppo debole e anemica risulta la posizione di chi, minoranza nel PD, consapevole di combattere una battaglia decisiva per l’indirizzo democratico del Paese, si limita a dissentire “moralmente” uscendo dall’Aula per non partecipare al voto, mentre un’altra cinquantina di “responsabili” si dichiarano dissidenti rispetto al contenuto della riforma ma obbediscono poi docilmente all’ordine di scuderia.

Troppo trasparenti, purtroppo, le motivazioni  legate alla propria collocazione istituzionale nel prossimo futuro, unite alla consapevolezza triste di non avere e di non potere rappresentare autonomamente una proposta politica di centro-sinistra alternativa rispetto a Renzi, e su di essa aprire un confronto nel Paese, e, se occorre, proporla all’elettorato.

Un sistema politico diventa autoritario non soltanto se la maggioranza, o il leader più o meno carismatico che la rappresenta, impone la sua volontà senza rispettare i poteri del Parlamento e i diritti delle opposizioni. Diventa autoritario anche per l’omissione e la rinuncia alla battaglia politica, dentro e fuori dal Parlamento, da parte di quelle opposizioni che dicono di non condividerne le imposizioni ma poi si piegano, non importa quanto volentieri, e lasciano passare lo tsunami contro la democrazia per non mettere a repentaglio le proprie sicurezze elementari. Senza comprendere che se passa lo tsunami saranno i primi ad essere travolti e cancellati, e con loro le pallide luci del pluralismo democratico nel nostro Paese.

La democrazia vive di differenze che sanno interagire, di confronti, di conflitti e di mediazioni, e soprattutto di limiti reciproci dei poteri. Il limite è riconoscimento del valore dell’altro, presupposto del riconoscimento del valore della propria identità, non è un ostacolo alla volontà di cambiare, ma la coscienza critica di chi sa cambiare senza distruggere, senza annientare e cancellare le posizioni non allineate, ma sa riconoscere in esse il positivo che può nutrire la crescita di un Paese che deve continuare ad essere di tutti. Con la lucidità del “dubbio dei vincitori”, come scriveva Pietro Ingrao in una sua poesia, senza il quale rimane, amaro, “l’indicibile dei vinti”.

Notte oscura per Montesquieu, che i nostri ragazzi studiano a scuola come l’archetipo fondativo delle libertà politiche contemporanee. Ben altri “Illuminati”, non Illuministi, guidano oggi il Burattino mediatico che sta bombardando le istituzioni circondato da una comitiva di figuranti telecomandati.

“Sentinella, quanto resta della notte?” si chiedeva Giuseppe Dossetti, uno dei padri della nostra Costituzione, quando, nel 1994, interveniva profeticamente con un forte richiamo a contrastare una “diffusa indifferenza morale, in cui la stessa forma democratica è a rischio, trascinata dalla forte emotività imperniata su una figura di grande seduttore, e può assumere incontrollabili derive di carattere irrazionale e plebiscitario”.

Quanto durerà la nostra notte? Ma ci sono ancora sentinelle a cui chiederlo?

TAG: fiducia, giuseppe dossetti, italicum, Matteo Renzi, pietro ingrao
CAT: Parlamento, Partiti e politici

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