Chi oggi condanna Boldrini e Grasso cosa diceva di Fini cinque anni fa?

13 Novembre 2017

Serpeggia e giganteggia lo scandalo per la scorrettezza istituzionale che vede Laura Boldrini e Pietro Grasso, terza e seconda carica dello stato, apertamente schierati in vista di una campagna elettorale che si preannuncia bellissima. La presidente della Camera e il presidente del Senato stanno preparando le truppe (?) da muovere contro il renzismo, in un gioco di sponde politiche davvero avvincente, che ha come obiettivo – pare – quello di ridisegnare un centrosinistra “largo” (lo diranno gli elettori), “unito” e con un Renzi non più egemone.

Condivisibile o meno che risulti l’obiettivo, credibile o meno che sia la strategia, lo scandalo per l’azione politica di due figure per costituzione super partes è sicuramente condivisibile. Chi rappresenta lo stato presiedendo le aule parlamentari non dovrebbe fare politica di partito, men che mai scendere nella battaglia campale di una campagna elettorale. È inaccettabile, si tuona, non era mai successo. Ecco, no, questo non si può dire, perché c’è un precedente, ingombrante e recente. La scorsa volta, prima del voto del 2013, non per qualche mese ma per circa due anni, a far campagna elettorale fu il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Da quello scranno fondó addirittura un partito ovviamente ignorato dagli italiani. Da quello scranno non riuscì a nascondere la sua delusione quando, per un pelo, nel dicembre del 2011, l’allora premier vide confermata la fiducia delle camere. Non ricordo allora pensose articolesse sull’inopportunità istituzionale e politica: del resto bisognava abbattere Berlusconi, e ogni mezzo era buono. Perfino esaltare come coraggioso l’attivismo di un ex fascista cognato di Giancarlo Tulliani.

Come spesso capita in democrazia, sfondato un argine non lo si ricostruisce più. Ricordiamocene la prossima volta, prima di cercare riparo a Dubai.

TAG: Gianfranco Fini, Laura Boldrini, Pietro Grasso
CAT: Partiti e politici

4 Commenti

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  1. dionysos41 6 anni fa

    Ahinoi! Com’è vero! Anche da questo si misura la scarsa sensibilità degli italiani al gioco democratico. E non solo da parte di esponenti delle istituzioni, bensì dal popolo tutto. Del resto, un paese che confonde la volontà di una maggioranza, qualunque essa sia, come volontà del popolo, ne ha di strada da fare per capire i meccanismi della democrazia, che cosa sia il rispetto delle minoranze, e che rilievo fondamentale ricopra la separazione dei poteri legislativo ed esecutivo, da noi assai poco chiaro. com’è poco chiaro negli esponenti delle istituzioni il peso delle proprie esternazioni. Tutto questo rientra, mi sembra, in un cultura attenta più alle prescrizioni, e ai ruoli di appartenenza. che alla resposabilità dei propri comportamenti sia pubblici sia privati. O mi sbaglio?

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  2. silvia-bianchi 6 anni fa

    Mah io tutto questo scandalo non lo vedevo ai tempi di Fini e non lo vedo oggi. Chi ricopre un ruolo istituzionale deve essere capace di distinguere i momenti: quando è in aula non deve svolgere il suo ruolo a favore o contro l’una o l’altra forza politica, ma essere arbitro imparziale; quando è fuori dal suo ruolo istituzionale, invece, può esprimersi come qualunque cittadino… o altrimenti dovremmo sostenere che Giachetti non è un buon vicepresidente perché menava fendenti alla minoranza del suo partito (“hanno la faccia come il BEEP”) o Di Battista deve dimettersi dallo stesso ruolo perché fa campagna elettorale praticamente in continuazione?

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  3. evoque 6 anni fa

    Non confondiamoci: un conto è essere il presidente della Camera e del Senato – cariche previste dalla Costituzione – un conto è esserne il vice-presidente, anzi UNO dei vice-presidenti.
    E’ evidente che un vice-presidente abbia uno spazio di azione nella politica attiva rispetto a un presidente. E che quest’ultimo dovrebbe stare molto attento a non uscire dai propri compiti istituzionale. Se no diventa un attore della politica attiva e rischia di sminuire il prestigio l’istituzione che è chiamato a rappresentare, sia pure pro tempore.

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  4. evoque 6 anni fa

    Non confondiamoci: un conto è essere il presidente della Camera e del Senato – cariche previste dalla Costituzione – un conto è esserne il vice-presidente, anzi UNO dei vice-presidenti.
    E’ evidente che un vice-presidente abbia uno spazio di azione nella politica attiva rispetto a un presidente. E che quest’ultimo dovrebbe stare molto attento a non uscire dai propri compiti istituzionale. Se no diventa un attore della politica attiva e rischia di sminuire il prestigio l’istituzione che è chiamato a rappresentare, sia pure pro tempore.

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