Dai politici a Draghi, tutti rischiano di uscirne peggio (tranne una)

15 Luglio 2022

Appena qualche ora dopo, rivedere la prima puntata del film della crisi politica dell’estate 2022 può rivelare qualche dettaglio interessante e utile per immaginare la sceneggiatura della seconda. Analizzando la postura di Conte e Draghi, anzitutto, c’è più di un’anomalia rispetto alle premesse antropologiche e politiche che fondano le leadreship di entrambi e i mondi che rappresentano (o che credono di essere rappresentati da loro). Conte e il gruppo parlamentare dei 5 stelle, infatti, dopo settimane di crescente insofferenza e mesi di percepita indifferenza nei propri confronti, arrivano allo strappo ma lo consumano in maniera così politicista e calcolatrice da sembrare un tutt’uno con gli antichi riti del palazzo che volevano sventrare, appena dieci anni fa. Infatti, non votano la sfiducia, escono dall’aula con la certezza che il governo la fiducia la otterrà comunque, e si dichiarano comunque disponibili a interloquire col governo di cui comunque fanno parte. Giochini da vecchia politica.

Di fronte, peraltro, c’è un uomo che di quella vecchia politica è in qualche modo frutto, seppur maturato in altri lidi e avendo risciacquato i panni in tutti i più importanti fiumi d’Europa. Mario Draghi, infatti, è figlio e allievo di quella Roma che di rituali politici vive da sempre. La sua vita coincide con quella della Repubblica italiana, e il suo partito – se fossimo stati nella prima Repubblica – sarebbe stato con ogni probabilità la Democrazia Cristiana. Ma di fronte a una mossa politicista da professionisti del giochetto parlamentari, proprio Draghi ha una reazione avversa, diremmo quasi aliena. Potremmo dire perfino vagamente grillina. Fa prevalere la sostanza politica su ogni forma costituzionale, e tira dritto verso le dimissioni. Implicitamente sembra dire “io vi avevo avvisato”. La sua decisione sbatte sul muro di un democristiano che è rimasto democristiano, si chiama Sergio Mattarella, che lo rispedisce alle camere per mercoledì prossimo. Sui giornali è tutto un negare ogni contrasto tra loro, al massimo qualche lieve divergenza, qualche differenza di vedute, ma millimetrica. È così insistita e onnipresente, questa versione, che il dubbio che sia accentuata resta: e se non era venuto, viene.

E così, adesso, i guai stanno tutti davanti. I guai come le opportunità, perché i giorni passano veloce, quelli che ci dividono da mercoledì prossimo – giorno di comunicazioni alle Camere – sono comunque tanti. Le giornate poi sono estive e lunghe, e vuote di tante cose: occasione per parlarsi e stare al telefono ce n’è tanto, tantissimo. E anche per i ripensamenti, i dubbi, le paure di una campagna elettorale da fare a quaranta gradi e non avendo nessuna storia da raccontare, se non quella della fine della propria carriera politica. Con Mattarella che terrà fermissimo il punto formale e costituzionale difficilmente eludibile: una maggioranza per Draghi c’è, come si fa a non provare a governare? E con Draghi che per sottrarsi potrà solo opporre un punto di delusione che incrocia il carattere con la politica, il pubblico col privato. Abbastanza per andarsene, certo, forse non abbastanza per farlo in modo convincente. Tutto attorno – si vede a occhio nudo – si muove la politica italiana nel pieno della sua confusione. I piccoli centristi che cavalcano Draghi anche contro se stesso, sperando che accetti di governare senza i 5 Stelle, che era poi il sogno sconcio da cui tutto iniziò. La Lega che deve dire “al voto”, ma sa troppo bene che mettersi fretta in un momento come questo non è una grande idea, soprattutto se c’è davanti la possibilità di diventare il vero azionista forte del Pd. Forza Italia che preferirebbe congelare il parlamento attuale e non scioglierlo mai più, perchè da qui in avanti le truppe non potranno che rimpicciolirsi. Il Pd stretto tra i rimpianti per il campo largo che è diventato un giardino da villetta a schiera e il mantra di una responsabilità che sta diventando una cantilena ossessiva che si recita nelle vie dei centri urbani. Il Movimento 5 Stelle in cui il conteggio principale diventerà, col passare delle ore, quello di quanto ci si perde andandosene adesso: e fare 12 mila per 6 non è difficile anche per chi non è particolarmte bravo in matematica.

Se si tornerà indietro, in un modo o nell’altro, non sarà facilissimo spiegare perchè si è arrivati così avanti. Non lo sarà per il Movimento se dovesse rientrare, e non lo sarà per Draghi, soprattutto se dovesse accettare di farlo senza il Movimento. Di contro, pretendere di governare solo col Movimento perchè “così eravamo d’accordo” è una posizione politica legittima ma non del tutto lineare per chi ha assunto un incarico in un tempo di crisi – che tale continua a essere, peraltro – per ragioni di servizio istituzionale, e considerando che alla fine naturale della legislatura mancano poco più di sei mesi. Resta probabile, dunque, che a farne le ultime spese sia la reputazione della politica italia, e anche quella delle riserve della Repubblica. Di buono c’è che sia le scorte di reputazione che quelle delle riserve della Repubblica risultavano già quasi esaurite, ed era piuttosto evidente. Almeno non possiamo lamentarci del fatto che non ci avevano avvisato, e non possiamo dare la colpa a qualcuno che non siamo noi.

Giorgia Meloni e i suoi ragazzi, insomma, devono solo star fermi e aspettare: il consenso arriverà ancora una volta a chi non ha una classe dirigente e ci porremo il problema tra un paio d’anni. A patto di trovare ancora una riserva della Repubblica un po’ più fresca di Giuliano Amato.

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CAT: Partiti e politici

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