Il segretario Pd è meno sveglio del premier: perderà le città, Roma compresa?

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9 Ottobre 2015

In una delle ultime direzioni del Pd, a cui applico sempre massima concentrazione per minima resa peraltro, il segretario cristallizzò per qualche momento tutti gli altri discorsi per dire chiara una cosa: ”Cari amici, per le prossime città, fondamentali come Milano, Torino, Napoli (e adesso anche Roma), si dovrà fare un bel discorsino, perchè mi sono stancato di non scegliere e poi, a tragedia avvenuta, essere additato come l’incapace di turno che ha fatto perdere il partito. Per cui, a breve s’indirà una sessione per stabilire quelle quattro regolette base per poi poter procedere con un minimo di equilibrio”. Lucido, sintetico, minaccioso.

Voi cos’avreste capito da quelle poche ma significative parole? Che il nostro s’era ampiamente stancato della “meravigliosa” opzione democratica, come nella storia sono state vendute le primarie, che nella vita gli avevano reso sì il trionfo ancor più dolce, dopo averle perse la prima volta, ma ormai concepite come una sorta di contratto capestro e trasformate in un incubo. Un incubo a cui il Renzi medesimo aveva contribuito sbagliando molti ronzini che poi regolarmente negò e subendo altri cavalli che successivamente si intestò. Sul tema, un tipo piuttosto navigato come Ugo Sposetti rievoca un passato significativo: «Pure Veltroni fece quella adunata mevigliosa dei quattro milioni per legittimarsi, ma poi per scegliere un sindaco per Roma si chiuse in una stanza con Bettini e ne uscì Rutelli. Peccato che il popolo va sempre rispettato e quella volta non si fece prendere per il culo. Potrebbe risuccedere».

Oggi che la posizione di Roma è scoperta, i cronisti più avvertiti ci raccontano che Renzi ne avrebbe pieni i cabasisi di queste primarie e tenderebbe all’esercizio democratico della dittatura proponendo un suo nome, uno solo, secco. «Renzi ha già deciso: “Niente primarie, il nome lo scelgo io”», titola Repubblica a tutta pagina corredando l’informato pezzo di Goffredo De Marchis. Un atteggiamento conseguente, se volete, persino ragionevole dopo certe esperienze negative, una decisione forse costosa sotto il profilo della democrazia interna ma in fondo legittimata dall’eccezionalità della situazione.

E invece no. Pauroso d’apparire protervo e arrogante, il nostro rincula pericolosamente e fa dettare una nota nella quale smentisce se stesso, le sue paure, i suoi ragionamenti, le sue stesse parole, i suoi stessi concetti espressi appena pochi giorni fa in direzione. Dice così il comunicativo Sensi: «In merito a diverse ricostruzioni apparse oggi sui quotidiani, fonti del Nazareno sottolineano come i virgolettati atttribuiti al Segretario del Pd sulle vicende romane – ad esempio sulle primarie – siano del tutto destituiti di fondamento».

Del resto, che partito sarebbe quello che agisce a macchia di leopardo, qui le primarie,  là un nome secco, a seconda della forza dei territori? Su questo aspetto il segretario Renzi non è bravo quanto il premier che di nome fa egualmente Renzi ma che evidentemente dev’essere un’altra persona. Renzi premier non prende schiaffoni, quanto invece subisce il segretario. Milano, per esempio. Milano lo ha anticipato, paralizzandolo qualche mese fa, all’insorgere del problema Pisapia. In quel momento, e gli va dato atto, Pierfrancesco Majorino ha giocato d’anticipo, attaccando lo spazio come direbbe un qualsiasi Caressa. Tac, io ci sono, ha certificato il giovane assessore, aprendo fragorosamente il problema. Solo dopo, piuttosto dopo, è arrivato quel giuggiolone di Fiano che tenendo famiglia a Roma si è detto anche lui pronto, ma solo sussurrandolo e infatti, a oggi, se un cittadino milanese dovesse dire chi corre sicuramente per il sindaco di Milano, direbbe Majorino. Fiano scomparso dai radar, pur esistendone la candidatura.

Come uscire da questo impiccio non è semplice. Ed è persino facile dire che non ci sono più i nomi di una volta. Quelli che ti lasciavano subito favorevolmente sorpresi, quelli che non dovevi spiegare, quelli alla Pisapia tanto per intenderci. Chi scrive gli era amico quando – solo contro tutti – si candidò nel gelo del Pd, ma non così fesso da non considerarne l’enorme potenziale di credibilità sui milanesi. Lo vedi subito quando uno ce la può fare anche se il partitone non ti appoggia, lo dice la sua storia personale e politica, di sinistra, attento alle fasce deboli, ma superprofessionista dell’avvocatura, esercitata ai massimi livelli, con clienti eccezionali della buona borghesia. E parlamentare apprezzato per un pezzo. Adesso, ditemi voi i nomi che circolano per Roma: Malagò, Gentiloni, Marchini, Gabrielli, Lanzillotta (ma chi la vota!?), Madia, Giachetti e Barca (i meno scamuffi), Sabella, Montezemolo, Tocci, Cantone (buono per tutti gli usi, incredibile) e poi ragioniamoci insieme se non potrebbe vincere il grillino che passa di lì, magari con un filo di riconoscibilità.

Noi lo capiamo l’impaccio di Renzi, ma se il segretario del Partito Democratico non diventa rapidamente bravo come il presidente del Consiglio, in molte città, Roma compresa, rischierà di prendere una bella musata.

TAG: Ignazio Marino, Matteo Renzi, segretario del pd
CAT: Partiti e politici

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