La tristezza del nome Noi con Salvini
In confronto, il nome Lega dei Popoli, con il quale sembrava che Matteo Salvini dovesse lanciare il suo nuovo partito meridionalista, sembra roba concepita dalla mente di un Don Draper alla massima forma. E invece ci ritroviamo con un “Noi con Salvini”, ennesima prova di una politica personalizzata oltre ogni limite che mostra come anche il segretario della Lega Nord non riesca a sfuggire alla tentazione di ingigantire il suo ego fino a farlo diventare un vero e proprio brand.
Certo, la decisione è legata anche al fatto che in questo modo sarà molto più facile declinare il nome del partito localmente in vista dell’informata di elezioni regionali e comunali che si terranno nel 2015: “Puglia con Salvini”, “Campania con Salvini”, “Andria con Salvini” e via dicendo. Ed è legata anche al fatto che è Salvini il nome che gli elettori conoscono, grazie alla sua onnipresenza televisiva. E però la sensazione vagamente di squallore rimane: un logo banalissimo, con sfondo blu e scritta in giallo e bianco, nessun lavoro creativo o concettuale dietro. A concepirlo ci sarà voluta un’oretta al massimo.
Il tutto a dimostrazione ulteriore di come quello che è nato per il centro-sud non è un partito vero e proprio, semmai una serie di comitati locali, slegati l’uno dall’altro, il cui unico collante sarà la figura sempre più imponente di Matteo Salvini. Se al nord rimarrà il nome “Lega Nord”, con il logo di Alberto da Giussano che alza lo spadone, al sud si potrà mettere la croce su un simbolo che sembra il marchio di un’iniziativa del comitato di quartiere.
C’è una grossa contraddizione in tutto questo: la Lega Nord, assieme al Pd, era rimasto l’unico partito non personalizzato, l’unico partito addirittura sopravvissuto alla prima Repubblica (almeno tra i principali), l’unico partito che si era dato da fare per costituire una classe dirigente vera e propria e che infatti non è morto con il declino politico del suo fondatore; grazie a una nuova generazione in cui, oltre a Salvini, ci sono anche Zaia, Tosi e parecchi altri.
Certo, il Senatùr era il simbolo vivente della Lega, era lui che portava i voti, era lui che interpretava meglio di chiunque altro la “pancia del nord”; ma alla sua ombra era cresciuto un partito vero e proprio, fatto di radicamento sul territorio, di amministratori locali spesso e volentieri molto apprezzati, addirittura di circoli pronti a diffondere direttamente in loco il verbo padano. Una lezione fondamentale ma che Salvini sembra aver dimenticato, decidendo di puntare tutto su se stesso.
E una volta che Salvini, inevitabilmente, intraprenderà la parabola discendente? Che ne sarà del suo esperimento meridionalista? A meno che questo non sia solo un primo test in vista della costituzione di qualcosa più serio, quello nato ieri è solo un comitato elettorale destinato a sparire appena le cose non andranno più così bene per l'”altro Matteo”. E forse questa è la prova lampante del fatto che i destini del sud, tutto sommato, a Matteo Salvini non interessano.
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