Ma l’elettore del Pd è nervoso almeno quanto l’elettore di Trump

14 Febbraio 2017

Il numero degli elefanti è quello che generalmente spacca in due il circo e che divide il pubblico tra chi sopporta con malinconica rassegnazione l’intollerabile mancanza di ritmo e chi invece accusa apertamente l’inconsapevole pachiderma d’essere lo strumento migliore per uccidere un’emozione. Nel Pd sono entrati gli elefanti. Il numero è antico e si richiama alla sana tradizione circense, solo che nel corso di questi anni il mondo si è leggermente velocizzato, inghiotte se stesso, smartizza persino le divinità animali, figuriamoci i politici. Gli elefanti del Partito Democratico, che rifiutano l’ipotesi di chiudere l’onesta carriera in Mato Grosso dove è stata creata un’area per “elefanti da circo in pensione”  vogliono continuare a imporre il loro piccolo mondo antico dove tra regole, statuti e cavilli si dipanerà la battaglia per una leadership che nasce già stanca e senza sorriso. Il sorriso, appunto. Era un’arma, e la ricordiamo bene, di Matteo Renzi. Volendo, anche una delle migliori. Perché il sorriso speso bene vale più di cento discorsi, semmai li contiene, li proietta nella condivisione sentimentale di una comunità. Nella comunità degli elefanti piddini quel sorriso è sparito.

La direzione del Pd non ha cercato una strada possibile, piuttosto ha battuto quelle vecchie che ormai anche noi elettori conosciamo a memoria. Eppure aveva l’aspetto di un appuntamento di una certa sostanza, il primo, vero, dopo il tracollo referendario, al punto che persino Enrico Mentana – spendendo un’inutile maratona – si è illuso che potesse creare valore. In realtà ognuno ha esibito il suo esercizio di stile, ha offerto al pubblico pagante il suo prestampato politico, ha lasciato che corresse l’idea di un regolamento di conti tutto interno al partito, senza interpellare le sensibilità del cosiddetto corpo elettorale. Già, ma poi cos’è questo benedetto corpo elettorale, che cosa è – oggi – un elettore del Partito Democratico? Ognuno naturalmente può esibire la carta delle sue sensibilità, ma quanti (di noi) possono dire con cognizione di causa di conoscere contorni e istanze che formano la responsabilità politica del buon cittadino? Che cosa vogliamo per noi e per i nostri figli che il Pd possa ricomprendere con una certà nobiltà di obiettivi?

Prendiamo per un attimo la questione Pisapia. Qui abbiamo tentato un piccolo esperimento psicanalitico. Concretamente, l’ex sindaco di Milano potrebbe andare in soccorso di Renzi. Con buone ragioni naturalmente, provando a scuotere le destre attitudini del nostro, attenuandone gli effetti più deleteri e generando valore a sinistra. Un esperimento da laboratorio al limite delle possibilità umane, ne converrete, ma assolutamente dovuto. Pisapia, chissà, potrebbe anche farcela. Il nostro esperimento ha cerato di capire quanta serenità alberga nel cuore dell’elettore di sinistra che per Renzi ha sempre avuto una generosa e chiara avversione. Cioè, se sia più forte il timore inconscio che l’avvocato milanese ce la possa fare davvero, chiudendo così il cerchio di un’alleanza strategica, augurandosi dunque una rottura tra i due, o se prevalga invece la speranza che Pisapia e Renzi riescano in qualche modo a stringere un patto per una sinistra più forte. Nessuno, neppure tra i più rancorosi antirenziani, vi confesserà mai “quel” timore, perché non è nobile e non è bello, ma quel sentimento è molto, molto, forte. Si preferirà comunque la caduta di Renzi all’ipotesi che la sinistra, con lui dentro e al comando, possa migliorare la sua condizione (anche in termini elettorali, naturalmente).

L’avversione per Matteo Renzi è palpabile ma non viene dal nulla. È ciò che il ragazzo ha seminato in questi tre anni in cui ha pensato di poter bastare a se stesso, evitando confronti alti, giocando in sicurezza con gli amici, illuso che al Potere con la p maiuscola si potesse credere davvero. Terribile quando ci credi davvero. Soprattutto se vieni dal bar, dove i sentimenti sono molto diretti, immediati, senza ulteriori sovrastrutture. Il ragazzo di campagna che crede di essere diventato Qualcuno, un’immagine così poco confidenziale e attrattiva da scatenare una reazione eguale e contraria. E se non è esattamente il rancore, è almeno quel sentimento di avversione molto umano per la verità, che non ti fa versare neanche una mezza lacrimuccia se per caso prendi una facciata.

Matteo Renzi ha plasmato incredibilmente degli elettori nervosissimi. Che non sono disposti a passar sopra sul passato, sugli atteggiamenti spocchiosi, che vedono con sospetto – oggi – tutte quelle aperture democratiche da burocrati del pensiero che rimettono in piedi congressi, statuti, regole e regolette. Dove si sa benissimo come andrà a finire se i tempi sono quelli che sono. Gli elettori nervosissimi non sono dei buoni elettori, perché sono generalmente intrattabili. Hanno scarsi margini di manovra intellettuale, non vogliono più sentire tante ragioni, vivono nella convinzione che qualcuno li abbia ampiamente presi per i fondelli. Questo elettore aspetta solo che qualcuno passi di lì e gli dica: “Hey man”, vuoi dare un bel calcio nel culo a Hillary? È accaduto solo qualche mese fa. Oggi l’elettore del Pd è in quella stessa condizione, è nervoso almeno quanto un elettore di Trump. Aspetta solo che qualcuno passi di lì e gli dica: “Ehi giovanotto, vuoi dare un bel calcio nel culo a Matteo Renzi?”

TAG: Donald Trump, Matteo Renzi, Pd
CAT: Partiti e politici

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